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L’Italia non sarà più la stessa

Replicando nel dibattito al Senato, Mario Draghi ha affermato che dopo il Recovery Fund, l’Italia – paese fragile – “non sarà più la stessa”.

Solo su questo, probabilmente, dobbiamo convenire con il “commissario” Draghi. Non stanno cambiando solo la quantità e le modalità dei finanziamenti pubblici, ma anche le regole di funzionamento costituzionale del nostro paese, per costruire un altro “modello” più coerente con le indicazioni europee.

Dopo quasi trenta anni di tagli, privatizzazioni, crollo degli investimenti, lacrime e sangue, il sistema dovrebbe ora mettere a disposizione fondi significativi – ma a ben vedere assai inferiori a quanto decantato – per procedere sul piano della modernizzazione capitalista dell’Italia.

Ma per procedere in questa direzione, almeno per qualche anno, non dovrà solo allentare parzialmente i cordoni della borsa, dovrà anche imporre un ritmo di marcia che metterà definitivamente in soffitta le procedure costituzionali previste per i vari passaggi.

In questi anni li hanno più volte sprezzantemente illustrati come “lacci e lacciuoli”, ostacoli insopportabili per il dispiegarsi della “mano invisibile del mercato” e dunque della competizione selvaggia tra soggetti privati.

Da un certo punto di vista è innegabile che le procedure costituzionali e legislative si siano rivelate spesso come una gestione burocratica artatamente presentata come “oggettiva”. In realtà la burocrazia è servita per bloccare alcune cose, o alcune cordate, e facilitare la corsa ad altre cose e ad altre cordate. Dipendeva sempre dal burocrate – un funzionario di altissimo livello, non certo l’impiegato allo sportello – che in quel momento disponeva delle chiavi degli uffici decisivi.

Contro questa deriva burocratica è sorta una nuova visione altrettanto mefitica e probabilmente ancora peggiore: quella tecnocratica.

Quando quest’ultima si è innestata sulla prima, è emersa quella che possiamo definire come tecno-burocrazia, la quale rappresenta il combinato disposto più micidiale a cui stiamo assistendo e che ha il suo nucleo vitale proprio dentro la ragione di esistenza e il progetto dell’Unione Europea. Che non a caso riduce ogni problema politico a “trattati e procedure”…

Da un lato la molto presunta “neutralità” dei tecnici – e Draghi come tale viene presentato – dall’altra la macchina statale e/o locale che viene chiamata a rendere compatibile la mera logica dei costi con le esigenze di coesione e sviluppo sociale di un paese, priorità che non sono certo la ragione di esistenza dei tecnocrati.

Loro ragionano su altri parametri, raramente o quasi mai sincronizzati con quelli delle esigenze sociali. Nella migliore delle ipotesi propongono la tesi dei costi/benefici, che appartiene però più alla “razionalità” dei militari che non alla politica.

Lo stiamo vedendo molto nitidamente nel nuovo approccio alla gestione della pandemia, dove i discorsi su una quota di popolazione sacrificabile in nome dell’economia (soprattutto gli anziani), emerge ormai continuamente e con sempre minori inibizioni.

Gli atti concreti sono lì a dimostrarlo, inclusi i 120mila morti di Covid che nessuno riesce o vuole spiegare. E di cui ben pochi si scandalizzano, se non quando qualche “rivelazione” fa uscir fuori come realmente discutono tra loro i governanti del Vecchio Continente.

La dittatura del Partito Trasversale del Pil ha trovato in Draghi, più che nella rodomontate di Salvini, il suo leader naturale.

Passo felpato e denti d’acciaio, si è assunto l’incarico di gestire una fase di modernizzazione capitalistica del nostro paese. Draghi ha definito l’Italia “uno dei paesi più fragili” nel contesto europeo. Continuamente oscillante tra l’ambizione di essere ultima tra i primi o prima tra gli ultimi, l’Italia – per le sue dimensioni e ricchezza – dovrà essere integrata a forza dentro il nucleo centrale della nuova Unione Europea che si appresta a combattere la competizione globale.

Ma non avendo più alcuna industria capace di funzionare da capo-filiera, nazionale o continentale, dovrà essere ridisegnata sulla base delle filiere altrui (più tedesche che francesi, secondo molto analisti).

Ragione per cui le sue asimmetrie (tra Nord e Sud, innanzitutto) e le sue vulnerabilità infrastrutturali e burocratiche (parlamentarismo, giustizia civile, ecc) vanno piegate con ogni mezzo necessario.

E allora è meglio che il bastone sia nascosto dentro la carota o, meglio ancora, la percezione della carota. Se tutti si aspettano che per fare questi passaggi pioveranno soldi, saranno disposti ad ingoiare tutto. Quando scopriranno che i soldi non ci sono, che sono andati altrove o che sono molti meno di quello che ci si aspettava, potrebbe essere troppo tardi per rimettere le cose a posto.

Nel frattempo le procedure costituzionali saranno state liquidate, la politica già ridotta ad un circo Barnum privo di credibilità (viene chiamata “opposizione” quella dei fascisti di Meloni, che si sono soltanto astenuti…), i vari segmenti e interessi sociali saranno stati confusi o tramortiti da non essere più riconoscibili, identificabili, organizzabili come tali.

Almeno: questo è ciò che sperano di riuscire a fare… Spetta a noi sbarrargli la strada

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