Quando un banchiere la butta in ideologia populista e battutine vuol dire che la situazione è grave.
Mario Draghi ha scelto una chiave retorica vecchia come il cucco – “Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?” – per sgomberare il campo dalle obiezioni all’aumento delle spese militari e, allo stesso tempo, preannunciare velatamente che ci sarà da stringere moltissimo la cinghia. Anche a causa delle sanzioni alla Russia che – relativamente a gas e petrolio – sono soprattutto auto-sanzioni.
Nascondere i problemi reali con slogan da quattro soldi è tipico di ogni regime (“volete burro o cannoni?”, gridava il criminale poi finito a testa in giù, quasi ottanta anni fa), ma stavolta Draghi ha pestato la classica buccia di banana.
Il meno dotato dei commentatori, se solo avesse osato mostrare un briciolo di autonomia cerebrale, avrebbe potuto obiettare che – “tecnicamente” – i condizionatori possono restare accesi solo se si resta in pace.
Ossia se il gas e altre materie prime energetiche continuano ad arrivare in quantità sufficiente da tutta una serie di fornitori, Russia compresa. Il 43% del gas che consumiamo per ora arriva da lì e non ci sono alternative immediate delle stesse dimensioni, né allo stesso prezzo.
Se si va alla guerra – per ora sotto forma di sanzioni e invio di armi all’Ucraina– è certo che ci sarà presto meno energia per alimentare tutto, non solo i condizionatori.
Qualcuno, per esempio in Confindustria, ha già fatto notare che il rischio è un po’ più serio della semplice possibilità di mantenere i condizionatori accesi (sono state subito emesse regole per abbassare la potenza in quelli degli uffici pubblici), perché la penuria energetica risultante da un prossimo (o eventuale) blocco delle importazioni di gas e greggio russi avrà conseguenze pesanti sulla funzionalità produttiva delle imprese.
Ma un banchiere non pensa mai all’economia reale in termini realistici. Il bello della finanza, infatti, sta nel poter bypassare la “noiosa” produzione di merci, rastrellando profitti stratosferici sulle variazioni dei tassi di interesse, del debito, degli indici di borsa, delle cartolarizzazioni e altre cento “innovazioni creative” dell’economia di carta, informatizzata.
Se Draghi avesse annunciato una nuova stagione di austerità, sarebbe stato più tecnico e preciso. Quella era ed è la sua specializzazione. Avrebbe fatto arricciare il naso a qualcuno, avrebbe fatto incazzare noi e il sindacalismo conflittuale. Poca roba, in fondo…
Il problema è che persino gli anni dell’austerità, nei prossimi mesi, potrebbero sembrare un periodo felice. Davanti a noi c’è la penuria reale, di beni ed energia. E dunque anche di lavoro, reddito, livelli di vita e riproduzione. La fame, detto in modo più brutale. Non per tutti, ma per un numero sempre maggiore…
Veniamo da oltre dieci anni di crisi economica, cui sono seguiti due anni di pandemia, con relativo crollo (-8,9%) e poi modesto recupero (+6,6%) del Pil. Quindi un’esplosione di inflazione che trova facile nutrimento in un decennio di quantitative easing, aprendo le porte alla stagflazione. E ora un’escalation di guerra che minaccia le forniture di materie prime energetiche e non (grano, mais, ecc).
Bisognerebbe avere una politica industriale ed economica, sapere e poter decidere dove reperire risorse finanziarie e dove destinarle per risolvere problemi giganteschi che possono far crollare la struttura produttiva (già “scossa” di suo…) e il reddito di intere classi sociali, ossia di decine di milioni di persone.
Ma abbiamo una classe dirigente – in tutta Europa, peraltro – cresciuta a lusso per sé e politiche di bilancio per tutti. Che dunque sa come muovere lo spread e scaricare il peso dei tagli di spesa sui moltissimi che non possono far altro che subire. Ma non come progettare – programmare e pianificare – uno sviluppo economico e sociale fatto di cose, servizi, certezze, che siano fisiche, ossia incidenti in positivo sulla vita della popolazione tutta.
E’ una classe politica irresponsabile in senso anche “tecnico”, perché inchiodata a decisioni strategiche che vengono prese altrove (a Bruxelles per quanto riguarda il bilancio, a Washington per gli aspetti diplomatico-militari), che ha fatto dell’incompetenza sulle questioni strategiche un must indiscutibile.
Draghi è competente, certo. Ma in quella materia “incorporea” che si chiama finanza. I problemi reali non sono affar suo. A quelli, per quelli con la sua formazione, ci deve pensare il “libero mercato”.
Ma il libero mercato ci sta portando alla guerra mondiale. Quelli come lui non sanno far altro che “accompagnare” questa “naturale tendenza”, sgombrando il campo – finché possono – dagli ostacoli e dalle resistenze.
Ha già accennato all’”economia di guerra” e ai razionamenti (ore di corrente elettrica, ecc). Ma nell’economia di guerra ogni sforzo e risorsa va ad alimentare l’impegno bellico, impoverendo la popolazione in proporzione.
E’ lo scenario della penuria, cioè della “fame” e del “freddo”, non quello dell’austerità.
In diverse parti del mondo – dalla Tunisia alla Grecia, dall’Africa al Libano, ecc – già cominciano scioperi e “tumulti” contro l’aumento dei prezzi, la scarsità di alimenti ed energia.
Draghi lo sa e prova a buttarla in ideologia patriottarda. Ma quella “patria bastarda” di ogni guerrafondaio si è dissolta nell’identità “europea” e “occidentale”. In qualcosa, insomma, di altrettanto impalpabile, respingente e vago della “finanza creativa”.
Il tempo dei “migliori” volge alla fine. Sotto la maschera di bonomia “competente” si intravede ormai chiaramente il ghigno dello sceriffo di Nottingham.
Lo sciopero del 22 aprile, l’ingresso in campo unitario dei figli della stessa rabbia, è il primo vero passo nella direzione indispensabile.
Questa gente, questa politica, queste servitù militari e diplomatiche, vanno spazzate via. Prima che ci trascinino nel baratro.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa