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Il virus nelle riforme costituzionali

Il governo della destra torna alla carica con la vecchia ambizione delle “riforme istituzionali”. 

La cifra di questa ambizione è la stessa con cui la destra da decenni cerca di rimettere in discussione un assetto costituzionale che non ha mai digerito.

Questo obiettivo era ben esplicitato (e in gran parte realizzato) dentro il Piano di Rinascita Nazionale della rete di potere facente riferimento alla P2 di Licio Gelli.

I fatti si sono però incaricati di dimostrare che tale ambizione non era una esclusiva dei neofascisti o della destra. Gli interessi delle classi dominanti non hanno mai nascosto di ritenere le garanzie costituzionali dei “lacci e lacciuoli” che ostacolavano il dispiegare del loro pieno controllo sulla società.

Lo stesso Pd, in modo particolarmente evidente durante la segreteria di Matteo Renzi, ha fatto storicamente di tutto per soddisfare questi interessi, verniciandoli con un po’ di “riformismo” sedicente “progressista”.

Hanno così tutti lavorato per un trentennio a svuotare la Costituzione dall’interno, depotenziandone tutte le garanzie sociali e democratiche e sostituendole con le leggi che venivano via via imposte dalla modifica dei rapporti di forza nella società.

Il diritto al lavoro, alla casa, all’istruzione è così diventato una subordinata rispetto alla competitività, al libero mercato, alla primazìa del diritto individuale di proprietà rispetto a quelli collettivi e costituzionali, all’attivismo militare all’estero in spregio all’art.11. La stessa distruzione della sanità pubblica e i grandi affari di quella privata sono forse l’esempio più evidente degli obiettivi sociali di questo procedere golpista.

Emblematicamente la banca d’affari JPMorgan nel 2013 aveva chiesto esplicitamente l’abolizione in Europa di Costituzioni ritenute troppo piene di garanzie sociali, definendole addirittura “socialiste”.

Un anno prima, nel 2012, era stato il governo Monti a picconare la Costituzione su diktat dell’Unione Europea, imponendo la modifica dell’art.81 e introducendo l’obbligo di pareggio nel bilancio. In pratica per impedire che qualsiasi futuro governo, indipendentemente dal “colore”, potesse agire diversamente da quanto stabilito a Bruxelles.

Ma prima ancora, nel 2001, a picconare la Costituzione era stato l’avventurismo dei governi di centrosinistra che, nel tentativo di inseguire-contenere la Lega sul terreno del federalismo, imposero la modifica del Titolo V relativo ai poteri delle Regioni.

Buon ultimo è stato l’avventurismo del M5S di Di Maio a imporre la riduzione della rappresentanza attraverso una inutile e demagogica riduzione del numero dei parlamentari.

Insomma non è stata solo la destra neofascista a voler rimettere mano all’assetto Costituzionale del paese. In questo si trova in ottima compagnia con i poteri forti finanziari, la gerarchizzazione di comando nell’Unione Europea e la complicità dei “liberali” del Pd.

Tale premessa era necessaria per inquadrare la nuova incursione della destra al governo per mettere mano alle riforme istituzionali e costituzionali.

In questo caso il combinato disposto è tra l’introduzione del presidenzialismo (o in subordine del “premierato forte”, con maggiori poteri al Presidente del Consiglio) e l’Autonomia Differenziata che disloca consistenti poteri dal centro verso le regioni.

Dunque un rafforzamento del potere decisionale al centro e la decentralizzazione alle Regioni di funzioni relative al mantenimento della coesione sociale, prima competenti allo Stato.

Ma proprio la coesione sociale e l’uguaglianza delle norme in tutto il paese da tempo hanno cessato di essere dei fondamenti costituzionali. Anzi le disuguaglianze sociali e territoriali vengono incensate come “stimoli alla competitività”.

Il progetto della destra ha una sua perversa coerenza. Massima centralizzazione strategica e decentramento di poteri amministrativi ai governi regionali non sono affatto in contraddizione.

In tal senso il meccanismo decisionale dell’Unione Europea ne è la dimostrazione. Nel Trattato di Maastricht la competitività tra le economie degli stati membri è uno dei punti fondativi insieme alla moneta unica. L’esecutivo europeo (la Commissione) decide e i governi nazionali attuano localmente quelle direttive, cercando di salvaguardare i margini di autonomia necessari a non screditarli del tutto agli occhi delle proprie opinioni pubbliche.

Quindi il virus che la destra vorrebbe inoculare nel sistema è da decenni già ben presente. Limitare la discussione e le divergenze al solo presidenzialismo è una mistificazione o, nel migliore dei casi, un falso bersaglio.

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