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Meloni sente il fiato sul collo

Le ombre sul governo Meloni si vanno facendo così consistenti da aver convinto “la capa” a giocare d’anticipo nominando il fantasma del “governo tecnico”, che da quasi 30 anni accompagna ogni esecutivo con problemi nella gestione del debito pubblico.

Non è stata infatti una specialità dei soli governi di destra – il Berlusconi del 1995 e del 2011 – ma anche di quelli più “euro-obbedienti”, come il Conte II che inseriva il Pd al posto della Lega poi sostituito dal “tecnico” Draghi.

Guardando alla composizione del Parlamento e alla “dialogica” politica, in effetti, non si capisce perché sia venuto in mente di evocare questo spettro. La maggioranza è ampia, la competizione interna è tutta a destra, incentrata su chi è più duro con i migranti che arrivano via mare.

Un problema secondario, stando ai numeri, che viene però fatto percepire alla popolazione come “terribile”, portando consensi senza alcuna fatica ai più consolidati “imprenditori della paura”.

Per capire qualcosa di più, dunque, è bene guardare all’economia e soprattutto alle finanze dello Stato, che è il vero problema di ogni governo. Sia per le dimensioni sempre crescenti del debito pubblico (persino durante la reggenza di Mario Draghi), sia per i problemi che pone al rifinanziamento del debito stesso (i titoli di stato in scadenza vengono sostituiti con nuove emissioni, ma il costo in interessi aumenta).

Nel mentre si va definendo una legge di stabilità effettivamente “lacrime e sangue” – checché racconti la “narrativa” sia di maggioranza che di demente opposizione – e ci si prepara a un 2024 decisamente peggiore; nel mentre bisogna rinegoziare le regole del “patto di stabilità”, smontate dall’accoppiata micidiale pandemia e guerra, e dunque trovare alleati potenti all’interno dell’Unione Europea… in cui il governo prende di mira quasi tutti i giorni, alternativamente, proprio la Francia e la Germania.

I nostri lettori sanno cosa pensiamo della UE (siamo per la sua “rottura”) e quindi non siamo scandalizzati per questo.

Ma chi – come il governo Meloni – si muove comunque dentro il campo euro-atlantico, in difesa degli interessi del capitale contro quelli dei lavoratori, cosa pensa di guadagnare da una conflittualità continua contro i “padrini della UE” su un problema secondario?

Sul piano tattico è un suicidio. Su quello strategico, pure. Certo, porta voti, allettanti in vista delle elezioni europee di giugno. Ma porta anche problemi che alla lunga ti scavano la fossa, sul fronte della gestione del debito pubblico.

Non parliamo soltanto degli aumenti dei tassi di interesse decisi dalla Bce, che hanno reso molto meno appetibili i bond in generale e quelli italiani in particolare. Parliamo dei meccanismi che stanno governando attualmente gli interventi della stessa Bce sul mercato dei titoli stato, attraverso il Pepp.

Questo meccanismo consentiva alla Bce, durante la pandemia (quando tutti i membri dell’Eurozona erano costretti a spendere in deficit), di comprare titoli di stato “a discrezione”, senza dover rispettare una certa proporzionalità tra i diversi stati.

Poteva insomma comprare più titoli italiani rispetto ad altri, sostenendone così il prezzo e mantenendo sotto controllo i rendimenti (gli interessi da pagare).

Da due anni il Pepp non viene più usato da Francoforte, ma la sua sola esistenza funziona ancora da “ombrello” per i titoli dei paesi più indebitati. Un attacco speculativo, insomma, è di fatto scoraggiato dalla sua possibile attivazione.

Ma i “falchi” nella Bce – Germania, Olanda e gli altri sedicenti “paesi frugali” del Nord Europa – stanno da tempo premendo per eliminare del tutto il Pepp. Lasciando così scoperto un fianco alla speculazione.

Non sembra dunque una mossa geniale aumentare la conflittualità con la Germania proprio nel momento in cui lo spread naviga sul limite dei 200 punti (190, stamattina). Ogni punto in più sono circa 3 miliardi spesi nel pagamento degli interessi invece che su altro…

Detto altrimenti: il governo italiano, comunque sia composto, è tenuto a guinzaglio stretto. Bisognerebbe liberarsene, ma per farlo occorrerebbe almeno una visione strategica diversa per la collocazione internazionale del paese.

E questa visione, a destra come nel cosiddetto centrosinistra, ovviamente non c’è. L’orizzonte è tutto rinchiuso nel binomio blindatissimo UE-Nato.

Dunque “l’agitazione” di cui fa mostra tutto l’esecutivo non può produrre altro che una maggiore strozzatura del guinzaglio, di quelle che tagliano il fiato e rallentano la corsa. Fino a quando, come accaduto ad altri esecutivi, non diverrà inevitabile passare la mano.

Il fantasma del “governo tecnico” può essere più o meno consistente. Ma che questo esecutivo possa davvero durare cinque anni, non ci crede più neanche chi lo guida.

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1 Commento


  • andrea

    Contributo lucido.
    Solo non capisco da cosa nasca il presupposto, apparentemente dato per serio, che “durante la reggenza di Mario Draghi” non ci si sarebbero dovute attendere “dimensioni sempre crescenti del debito pubblico”, visto il “persino” che, nel testo, le lega le due circostanze.
    Sembra quasi che il presupposto del testo sia quello secondo cui Draghi sia un vero… “drago”, come pensa un Molinari qualsiasi, o che Draghi stesso si sia sentito chiamato a rispondere alla cittadinanza italiana piuttosto che a una delle cosche del capitale internazionale, come risulta in effetti.
    Spero che ci sia del sarcasmo…

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