Scriviamo spesso che essere a favore della libertà della Palestina, del diritto del popolo palestinese a vivere sulla terra in cui vive da sempre, non ha nulla a che vedere con l’”antisemitismo”. Una di quelle parole-stigma che chiudono ogni discussione e lasciano, perciò, la parola alle mazzate oppure al lasciar perdere.
Per fortuna non mancano ebrei capaci di spiegare meglio di noi – per internità a quell’universo culturale – che le cose stanno in tutt’altro modo. E che la religione, anche in quel mondo, viene usata strumentalmente dai “sionisti” per giustificare una politica di colonizzazione e apartheid.
Sono “sionisti” coloro che hanno voluto e costruito uno Stato confessionale – Israele è per legge, oggi, uno “stato ebraico”, che per noi atei non è diverso da uno “stato islamico” o uno “cristiano” – ben poco parente delle “democrazie liberali”.
Sono “ebrei” quelli che condividono quella religione, tradizione, cultura, che ha dato grandi menti all’umanità, in tutti i campi (Marx ed Einstein su tutti).
Sono “semiti” coloro che invece appartengono ad un ceppo linguistico che “che in origine occupava la regione compresa fra i monti Tauro e Antitauro a nord, l’altopiano iranico a est, l’Oceano Indiano a sud, il Mar Rosso e il Mediterraneo a ovest”. E dunque parlano “siriaco, aramaico, arabo, ebraico e fenicio”. Cinque lingue, non una sola. Cinque etnie, almeno, non una sola.
Si può insomma essere ebreo ma non sionista, semita ma non ebreo (i palestinesi lo sono, e gli arabi anche), e così via. Così come si può essere arabi ma non islamici; e soprattutto “terroristi” sia da islamici che da ebrei o anglosassoni.
Sono differenze chiare, semplici da capire per chi – nel mondo che si dice “liberale” – si riconosce nella laicità dello Stato in quanto garante della libertà di pensiero, compresa quella religiosa (nella misura in cui non contrasta le leggi esistenti, ovviamente).
Nel dibattito pubblico occidentale queste differenze sono però quotidianamente annullate in un sovrapporsi di piani che producono un solo risultato: quello che identificare ebraismo, semitismo e sionismo, e facendo di Israele – uno Stato – un totem indiscutibile, in cui volontà di potenza, ambizioni territoriali, pratiche genocidiarie sarebbero giustificate da antiche leggende di dubbio fondamento nonché dalle persecuzioni effettivamente subite dagli ebrei in vari periodi storici.
Ogni paese ha i suoi problemi e i suoi avventurieri politici, che provano a giustificare scelte concrete immonde agitando miti e simboli religiosi (basti citare un certo Salvini, da queste parti, almeno quando non balla al Papeete…). E Israele certo ha manipolatori più professionali, abilissimi nel mescolare politica, storia reale e leggende bibliche.
Ma è davvero incomprensibile perché l’intero Occidente debba avallare un simile grumo di follia suprematista che va contro ogni valore e conquista degli ultimi cinque secoli. A meno che le ragioni non siano – sì – razionali, ma inconfessabili (interessi economici e geostrategici, niente affatto “umanitari”).
Così viene in soccorso di noi poveri atei, fedeli alla Ragione, quanto di più lontano esiste dal nostro ambito culturale. Ad esempio il gruppo che si è dato il non equivoco nome di Torah Judaism riesce a produrre prese di posizione che, di questi tempi, risultano un distillato di onestà intellettuale ed equilibrio politico.
Qualche squarcio:
“Come ebrei, chiediamo la restituzione di tutte le terre palestinesi, dal mare alla terra, al popolo palestinese. Siamo addolorati e preghiamo per tutte le persone che sono morte. Gli unici responsabili di queste morti sono Israele e il sionismo.
Prima che i sionisti invadessero la Palestina, ebrei e musulmani vivevano lì pacificamente. La Palestina era un rifugio sicuro per gli ebrei.
I sionisti hanno creato uno stato occupante e razzista rubando la loro identità ebraica. Gli ebrei non accetteranno mai questo stato sionista.
https://twitter.com/i/status/1721869883254673510
O anche:
“Musulmani ed ebrei in fratellanza
Non c’erano problemi tra ebrei e musulmani e per secoli hanno vissuto pacificamente come vicini.
Poi venne fondato un movimento terroristico chiamato sionismo, che non aveva nulla a che fare con il giudaismo.
Hanno seminato i semi della discordia nelle terre sante e hanno cercato di legittimare l’occupazione utilizzando l’ebraismo. Gli ebrei combattono contro il movimento sionista sin dal giorno della sua fondazione.”
Muslims and Jews in brotherhood –
There was no problem between Jews and Muslims and they lived peacefully as neighbors for centuries.
Then a terrorist movement called Zionism, which had nothing to do with Judaism, was established. They sowed the seeds of discord in the holy… pic.twitter.com/pYqHcwkXKT
— Torah Judaism (@TorahJudaism) November 6, 2023
E crescono:
“Sapete che ci sono centinaia di migliaia di ebrei ortodossi che non vogliono avere niente a che fare con lo Stato di Israele?
Lasciate che vi diamo i numeri reali in modo che possiate vedere che il numero degli ebrei antisionisti è in aumento.
Comunità ebraica antisionista Neturei Karta: numero di 10.000 nel mondo, inclusa la Terra Santa.
Comunità ebraica antisionista Satmar: 100.000 in tutto il mondo, compresa la Terra Santa.
Oltre a queste, esistono dozzine di altre comunità ebraiche antisioniste e, insieme a queste, il numero totale di ebrei antisionisti supera i 150.000 e il loro numero è in costante aumento.”
https://twitter.com/TorahJudaism/status/1721246181987127767
E non si limitano a scrivere ma, insieme ad altri gruppi di ebrei decisamente “ortodossi” (certamente più dei Netanyahu e dei Ben-Gvir), scendono nelle strade di tutto il mondo al fianco dei pacifisti e dei solidali con la Palestina. E vengono anche loro attaccati dalla polizia, pestati, arrestati. Anche nella stessa Israele.
Qualche zucca marcia è arrivato anche a definirli “antisemiti”, chiudendo così il cerchio della follia di un linguaggio impazzito…
Bene (si fa per dire…). A questo punto anche l’analisi degli stigmi usuali in questi giorni (“antiebraico” e naturalmente “antisemita”) diventa un po’ più razionale, consentendo anche di precisare meglio la valenza positiva del termine “antisionista”.
Da quanto detto sopra – anche dagli ebrei ultra-ortodossi, come abbiamo visto – possiamo operare le seguenti distinzioni e trarne una logica politica chiarificatrice.
Sono “anti-ebraiche” tutte quelle concezioni e pratiche che identificano come “nemico” coloro che condividono una tradizione culturale e religiosa millenaria. In questo il nazismo e il fascismo hanno rappresentato e rappresentano il massimo tentativo di sterminio mai messo in atto (sei milioni di uccisi nei lager e altrove). E sono, com’è evidente, un prodotto totalmente appartenente all’Occidente “cristiano”, non certo alle altre culture.
Per stare agli ultimi episodi della cronaca occidentale spicciola sono esempi di antiebraismo i danneggiamenti alle “pietre di inciampo” avvenuti a Roma, verosimilmente ad opera di qualche “fascista non conforme”, ossia non ancora “recuperato” all’euro-atlantismo del partito di Meloni.
L’”antiebraismo” è a tutti gli effetti una manifestazione di razzismo e suprematismo, che come tale va combattuto da tutti, senza esitazioni.
Sono “antisioniste”, al contrario, tutte quelle posizioni che non riconoscono allo Stato di Israele alcuno “statuto speciale” che lo sottragga alle convenzioni e trattati internazionali, che ne renda “espandibili” a piacere i confini, che ne perdoni le pratiche genocide, il regime di apartheid, le detenzioni arbitrarie senza processo (“amministrative”), la pratica delle tortura (eufemisticamente accompagnata dalla “fitness for interrogation”) e tutti gli orrori che da 75 anni commette contro i palestinesi.
Il sionismo, peraltro, è un’invenzione piuttosto recente, avvenuta interamente nella sfera della politica, con la fondazione di un movimento intenzionato a garantire agli ebrei «la creazione di una patria sicura per coloro che non possono e non vogliono assimilarsi» alle diverse popolazioni dei paesi in cui vivevano.
Non condividere il progetto sionista è insomma una posizione così legittima da esser fatta propria anche da una parte consistente della popolazione di fede ebraica sparsa per i mondo, e persino in Israele. E’ infatti una posizione politica, opinabile come tutte le posizioni politiche, possibile in qualsiasi contesto culturale ed ideologico (tanto più al di fuori delle comunità ebraiche), ma niente affatto “mostruosa”. Anzi.
Il terzo insulto abituale – “antisemita” – è a questo punto chiaramente solo una parola-stigma, un randello verbale che precede quelli fisici, perché privo persino di un contenuto certo (sono “semiti” tutti coloro che parlano una delle lingue appartenenti a quel ceppo “siriaco, aramaico, arabo, ebraico e fenicio”). Ma non c’è nessuno al mondo che odia qualcun altro solo per la lingua che parla…
Dunque è un insulto che sta per altro, un “segno-contenitore” che raccoglie altri significati decisamente negativi. Un “minestrone infernale” di cui è vietato persino analizzare i componenti…
E’ banale ripetere che questo insulto viene oggi usato come sinonimo di “antiebraico” e colpisce chiunque, secondo uno spettro di possibilità davvero ampio. Si può andare dai nazisti veri e propri ai critici delle pratiche israeliane contro i palestinesi (dall’ideologia a fatti concreti, insomma). Può colpire persino ebrei critici verso Israele….
E’ il frutto di un’operazione politica sul linguaggio compiuta nel corso del dopoguerra e che finisce per fare di Israele uno Stato “intoccabile e non criticabile”, qualsiasi cosa faccia.
E’ un’operazione ovviamente truffaldina a sostegno o giustificazione dell’esplicito suprematismo messo in atto dai governi israeliani nei confronti del resto del mondo, in primo luogo di palestinesi e paesi vicini. Ne vediamo ormai esempi quotidiani in una escalation apparentemente senza limiti.
Finiscono sotto accusa il Segretario generale dell’Onu che, banalmente, faceva notare come anche il “Diluvio di Al Aqsa” del 7 ottobre non potesse essere “venuto dal nulla”, richiamando così le responsabilità storiche di Israele contro i palestinesi.
Persino gli Usa di Biden sembrano ormai in difficoltà nel gestire una dirigenza politica a Tel Aviv che ha perso ogni freno inibitore e proclama un proprio “eccezionalismo” richiamandosi a leggende bibliche con toni da “jihad ebraica” (il mito di Amalek, ecc).
Però la situazione è purtroppo questa. Abbiamo uno Stato di non enormi dimensioni e popolazione, ma dotato di armi nucleari (circa 200 testate, si stima), che pretende di espandersi indefinitamente ai danni della popolazione palestinese e dei paesi vicini.
La sua forza materiale è peraltro supportata fin qui dalla potenza che è stata egemone sul mondo per oltre 30 anni (gli Usa).
La forza “morale” dei suoi argomenti affonda invece nella capacità narrativa di monopolizzare il linguaggio politico dell’Occidente euro-atlantico, utilizzando la storia reale delle vittime ebree della Shoah come giustificazione delle scelte arbitrarie e genocide di oggi. Anche se questa narrativa riscuote credito solo nella parte di mondo euro-atlantico (e neanche tutto…).
In questo gioco di specchi c’è davvero (quasi) un unicuum. Abbiamo un suprematismo bianco su base religiosa che pretende, come ogni altro suprematismo, di imporsi senza alcun contrasto. Ma che si giustifica come vittima.
Ci mancava solo il suprematismo vittimista, trasfigurazione ipermoderna del millenario chiagn’ e fotte, per completare l’antologia degli orrori dell’umanità.
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