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La grande crisi della piccola impresa agricola

Se gli agricoltori di tutta l’Europa occidentale scendono in strada con i loro trattori, o addirittura con le greggi, significa che c’è un problema comune, anche se le normative nazionali – e i rapporti di forza storici tra i vari paesi – sono spesso molto differenti.

Con uno sguardo superficiale è facile prendere lucciole per lanterne. Chi privilegi le “forme di lotta” sarà attirato dai blocchi stradali, condotti in modo molto determinato, ma scoprirebbe ben presto che – stavolta sì, al contrario delle mobilitazioni dei Gilets Jaunes o contro la riforma delle pensioni – la destra radicale, non solo in Francia e Germania, ci mette il suo zampino.

Basterebbe vedere il diverso atteggiamento del ministro dell’interno francese, Darmanin, che stavolta ordina alla polizia di “controllare da lontano” e non intervenire, mentre negli altri casi comandava cariche durissime e largo uso di proiettili di gomma o flashball. Si vede, insomma, che questi sono o erano “i loro”…

Chi privilegia l’ecologia, al contrario, non può che disprezzare una protesta che tra i vari punti (un altro tratto comune ai diversi paesi) ha la libertà di utilizzo di pesticidi e fertilizzanti chimici, nonché il mantenimento di forti sconti sul prezzo del “gasolio agricolo” (lo stesso usato per l’autotrazione, ma con accise e Iva molto ridotti).

Evidente, insomma, che questi approcci ideologici non aiutano a capire. E, come sempre, è meglio “follow the money” per districare nodi apparentemente inamovibili.

Di certo c’è che l’agricoltura europea è stata drogata per anni dalla “Pac” (politica agricola comunitaria), che ha distribuito risorse pubbliche per compensare le differenze di rendimento tra produzioni nazionali diverse o anche tra vari comparti della produzione nazionale.

Il passaggio alla nuova fase, però, sembra il brancolare di un cieco un po’ storpio che non sa dove andare né come farlo.

Le “direttive” provenienti da Bruxelles, in effetti, sono tra loro profondamente incoerenti, anche se ognuna viene scritta seguendo silenziosamente la regola annunciata da Giorgia Meloni fin dal suo esordio come “premier”: non disturbare le aziende.

Il problema è che “le aziende” sono diverse tra loro per dimensione, posizione di mercato, interessi immediati e di lungo periodo, specializzazione produttiva. E ciò che va bene ad un certo tipo di imprese è la morte per altre.

Gironzolando tra i trattori fermi a un casello stradale è piuttosto semplice sentirsi consegnare il cahier de doleance degli agricoltori di medio livello, titolari di aziende con pochi addetti (spesso familiari): a) il prezzo dei prodotti agricoli viene fatto e imposto dalle industrie di trasformazione o dalla grande distribuzione; b) il costo della lavorazione del terreno (aratura, semina, trebbiatura, eliminazione dei parassiti, ecc) segue le dinamiche dei prezzi energetici; c) il cambiamento climatico sta rendendo difficile proseguire con le colture storiche dei territori (l’anno scorso è stato durissimo per gli ulivi, l’uva, gli alberi da frutto, con raccolti limitati o nulli); d) alla fine, tra uscite ed entrate, “non ci si sta dentro”.

Si possono considerare ovviamente un po’ esagerate le dimensioni dei danni calcolate dai diretti protagonisti, ma c’è molto di vero.

L’Unione Europea, come detto, fa cadere su questo mondo (il settore primario dell’economia) una pioggia di regole contraddittorie. Le analizzava qualche giorno fa su Teleborsa, con il consueto acume, Guido Salerno Aletta, economista ed ex vicedirettore di Palazzo Chigi, tra l’altro ora anche produttore di vino e dunque conoscitore “da dentro” della materia.

La schizofrenia non è una malattia, a Bruxelles, ma una ben sperimentata tecnica di governo: basta dare ragione a tutte le proposte più estreme, dagli ecologisti che chiedono il ritorno alla Natura incontaminata alle Multinazionali che continuano a dettare legge con le loro tecnologie in campo agricolo e nella alimentazione sintetica, per vantarsi di essere sempre all’avanguardia.

Ma, appunto, le regole ecologicamente più sensate (“combattere l’abuso dei concimi chimici che bruciano il terreno, i diserbanti asserviti alle singole varietà coltivate, i pesticidi che da una parte contrastano gli insetti e gli organismi patogeni e dall’altra annientano gli agenti impollinatori, come le api. Nel settore dell’allevamento, si impongono giuste regole sul benessere animale, con il divieto di gabbie anguste e di metodi strazianti per l’abbattimento dei capi”)  in questo sistema di produzione si traducono in un aumento dei costi di produzione in capo agli agricoltori e allevatori. E dei consumatori, ovvio…

Sull’altro lato, la libertà d’azione concessa alle multinazionali – sia delle filiere agroalimentari che delle biotecnologie e della grande distribuzione – spinge per una riduzione continua dei prezzi della “materia prima” (i prodotti agricoli). Persino il Corriere è costretto ad ammettere che quanto preteso dalla multinazionale francese Lactalis – un litro di latte viene pagato solo 42 centesimi – riduce alla fame i fornitori.

In più, approvando programmi di “rinaturalizzazione” di alcune aree territoriali, in modo da ricostruire una biodiversità senza interventi biotecnologici, ma senza prevedere una politica complessiva che renda ordinariamente redditizia l’attività agricola, la stessa UE di fatto restringe le aree coltivabili per la produzione.

La conseguenza di questa decisione è aberrante: voler ridurre il territorio da destinare all’agricoltura, per restituirlo alla Natura incontaminata, significa dover sfruttare maggiormente quello che rimane. Invece di favorire il ritorno all’agricoltura sostenibile e all’allevamento brado, si aumenta il differenziale naturalistico tra le aree protette e le aree coltivate.”

Che va di pari passo con l’impostazione neoliberista per cui, in assenza di interventi “dirigistici” degli Stati, i prodotti biologici costano inevitabilmente di più di quelli “normali”, tirati fuori usando pesticidi, ecc.

Ovvero quei prodotti che altre multinazionali (sia dell’agroalimentare che della distribuzione) cercano di ottenere a prezzi sempre più bassi, in modo da massimizzare i propri profitti a scapito di altre imprese (e ovviamente del consumatore finale, impossibilitato a risalire le filiere per sapere cosa mangia).

E già si intravede un ulteriore salto di qualità, naturalmente peggiorativo: “Non è un caso, a questo punto, che la Food and Drug Administration statunitense abbia già dato la sua autorizzazione alla commercializzazione della carne di pollo prodotta in laboratorio: dopo gli OGM in agricoltura, le Multinazionali puntano a spiantare l’allevamento tradizionale con la carne sintetica.

E’ la descrizione di un processo di violenta  concentrazione dei capitali. Con quelli più grandi che come sempre cannibalizzano quelli più piccoli e impossibilitati a “differenziare gli investimenti” (i terreni non si spostano, al massimo puoi cambiare cambiare prodotto finale, ma cambia poco).

Ricostruita così la mobilitazione degli agricoltori risulta a tutti gli effetti una “lotta di classe”… all’interno della borghesia. E i governi europei si trovano a dover gestire la crisi del consenso piccolo-borghese – da cui traggono sia il grosso dei voti che la “narrazione” con cui orientare il grosso della società – senza mai scontentare “i mercati” (definizione “immateriale” dietro cui si nascondono i gruppi multinazionali, sia industriali che finanziari).

Un rebus che la UE, come si è visto, ha deciso di non sfiorare nemmeno (“dando ragione a tutti”). Coltivando così – è il caso di dire – le condizione per uno scontro sociale interno sempre più complicato e duro. Con molte guerre alle porte…

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5 Commenti


  • Giacomo Chiodi

    Il premio PAC come sostegno al reddito dall’ anno scorso è stato ridotto. quasi della metà! per evidenti problemi di bilancio Comunitario. A mio modesto parere di Agronomo/piccolo coltivatore. Il premio PAC andrebbe assegnato solo ai coltivatori professionali e non più alle multinazionali con Società immobiliari agricole..!!!


  • luigi Tozzi

    Articolo in parte vero, che non tiene conto di un fattore iniziale. Secondo la Commissione il costo della “transizione” doveva pesare sulle famiglie e sulle imprese. E’ scritto nel budget con cui hanno finanziato il Green deal, lo trovate facilmente in rete. Già all’epoca era una scommessa, poi con la crisi economica del Covid e quella della guerra in Ucraina le famiglie e le imprese i soldi per la transizione non li hanno avuti più. Da qui l’aumento della povertà (solo lo scorso anno nella UE + 3 milioni) e la chiusura di migliaia di imprese.
    Tutto tra l’altro pompato utilizzando la scusa “green”. Perché se è vero che l’agricoltura usa pesticidi e gasolio,quella europa ha un impatto dello 0, qualcosa sul riscaldamento globale.
    Io ci vedo una cosa più semplice. La Finanza ha bisogno di “prestare” i soldi. Se non ne hai bisogno devo trovare il modo di farmeli chiedere. Così ti massacro con misure assurde per gestire un epidemia, e partecipo ad una guerra ben sapendo che porterà alla distruzione dell’economia europea. A cui non resterà altro ch esvendere a basso costo o..chiedere denaro.


  • Emilio Dedè

    D’accordo pienamente sulla P.A.C. , chi più ettari aveva, più percepiva, al di là dello status del produttore. Così si sono dilapidati molti soldi che, se gestiti meglio con plafond più bassi, cioè aiutando di più le imprese familiari che sono medio,piccole e sicuramente le più bisognose, avrebbero aiutato di più l’agricoltura e ne avremmo ancora a bilancio, mentre adesso li hanno dimezzati. P.S. Sono un piccolol agricoltore del sud Milano . Mais, soia e frumento, da quattro generazioni ma, io sarò l’ultimo. Anche diversi miei amici, pur se piccoli proprietari con figli, stanno smettendo, ormai i figli hanno studiato ed hanno già intrapreso strade diverse.


  • Aldino

    la verità, nessuno si vuole assumere colpe per quanto fatto negli ultimi 20 anni per l agricoltura. Basta pensare all allargamento ai Paesi dell est, fatto solo per dimostrare che l UE è sempre più grande, ma senza nessuna programmazione studiata per il comparto primario, dove una montagna di soldi, sono finiti per diventare spiccioli in contributi dati a pioggia. L altro, come il lasciapassare ai prodotti agricoli fatti fuori UE. I nostri, costretti a produrre con tanti paletti, anzi anche a NON produrre, come per il grano, uno dei tanti prodotti, per poi farlo arrivare da paesi extra UE coltivato dalle multinazionali e pieni di glifosate. Bene la protesta, sperando che l UE si svegli e corra ai ripari.


  • Walter Gaggero

    lotta di classe all’interno della borghesia,
    fosse anche Leninisticamente occorre intervenire.

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