La nuova “Strategia di sicurezza nazionale” statunitense va presa per quello che è: l’atteggiamento Usa nei confronti del resto del mondo. Indipendentemente dal considerarsi “nemici”, alleati o competitori, quella diventa la mappa concettuale che ogni non-americano deve aver presente quando dovrà misurare i propri passi tenendo conto di quella presenza incombente.
Fa ridere, insomma, la protesta-lamentela “europeista” che ne parla come di un “attacco all’Europa”, anzi “uno scontro”: perché non coglie l’essenziale. E’ un abbandono, una svalutazione, quella che in termini finanziari alcuni chiamerebbero un “sottopesare” l’investimento nel Vecchio Continente.
E fa ridere anche, ridicolo fin nella postura, il soprassalto “nazionalistico” dei partiti di destra che si dicono “pronti” a farne a meno, senza neanche saper dire se in chiave “unitaria” (assumendo dunque un “europeismo” che non hanno mai nutrito) oppure ognun per sé. Crosetto docet…
L’asset strategico di cui “l’Europa” non dispone è l’arsenale nucleare, in piccola parte presente solo per Gran Bretagna e Francia. E senza quello, nel mondo delle superpotenze, è meglio muoversi con grande cautela e bon ton diplomatico.
Proprio quello che non ha fatto l’Unione Europea in questi anni quando, sposando senza riserve la guerra in Ucraina perché sorretta dalla “copertura” Usa, si è costruita l’illusione di riuscire presto ad ottenere – senza neanche combattere direttamente – il potere di disporre almeno in parte dei territori e delle risorse naturali russe.
Ovvio che la perdita delle vecchie coordinate geostrategiche provochi disorientamento. Il pensiero di chiunque deve ora interrogarsi in forma dubitativa su punti di riferimento che prima erano così scontati da costituire “l’ambiente naturale”, il paesaggio e le corsie preferenziali. E’ come ritrovarsi a vivere in campagna invece che al centro della metropoli, o giocare in un campionato di serie B dopo aver annusato il profumo della Champions.
Basti pensare a cosa sarà della Nato dal 2027 che, secondo la nuova “dottrina”, non si espanderà più ad est all’infinito e non avrà più gli Usa alla guida, forse neanche in posizione preminente e quindi, con molta probabilità, assai meno “generosi” nel garantire l’attuale livello di copertura militare e nucleare. Non se ne andranno da tutte le basi in territorio europeo, ci mancherebbe, ma “dimagriranno” il numero degli effettivi e forse anche dei dispositivi.
E sarà ancora più evidente quando una pace in Ucraina sarà finalmente raggiunta, in forme che certamente non saranno soddisfacenti per i sogni e le ambizioni mal riposte.
Ma comunque sarà una pace che spiazzerà in primo luogo i “volenterosi” che ancora in questi giorni si sbattono come pazzi per prolungare la guerra garantendo con quello che non hanno, mentre fingono che “droni russi” scorazzino allegramente su tutti noi, a migliaia di chilometri dall’ipotetica base di lancio (o magari diranno che sono i “putiniani” nostrani che li fanno partire dal terrazzo…).
Per gestire gli equilibri della pace servono altre teste, altre competenze, altre visioni e capacità relazionali. L’Europa delle Kallas e dei Macron non può offrire nulla di credibile, si dovranno trovare altri attori.
E gli Stati Uniti sanno bene a chi rivolgersi. Le destre estreme, o malamente travestite da “moderate”, troveranno alla Casa Bianca finanziamenti e sponde per arrivare al potere. Poi basterà lasciarle al loro destino, con un riarmo disordinato ma già avviato che – come sempre – servirà più a regolare eventuali conti col vicino debole che non a “difendersi” da una superpotenza che neanche ti calcola…
*
Per il resto del mondo la chiave interpretativa più autentica della “nuova dottrina” Usa è stata forse fornita da quel semplicione di Pete Hegseth, “ministro della guerra” trumpiano, che l’ha sintetizzata così davanti al Reagan Defense Forum: “Fuori l’utopismo idealistico, dentro il realismo spietato“.
Gli Stati Uniti in versione “Maga” non si faranno più distrarre “dalla costruzione della democrazia, dall’interventismo, da guerre indefinite, dal cambio di regime, dal cambiamento climatico, dalla moralizzazione woke e dalla inefficace costruzione di nazioni. Metteremo invece al primo posto gli interessi pratici e concreti della nostra nazione”.
Del resto, come dice l’assai più esperto Thomas Barrack – altro immobiliarista, inviato di Trump per la Siria – “I cambiamenti di regime in realtà non hanno mai funzionato. Dal 1946 a oggi… in tutti questi anni, con l’intervento degli Stati Uniti, ci sono stati 93 colpi di Stato o cambiamenti di regime. Tutti sono falliti. Per questo i miei capi, il Segretario di Stato Rubio e il Presidente Trump, sono contrari ai cambiamenti di regime”.
In pratica, gli Stati Uniti prendono atto di non essere più in grado di governare il mondo (“unipolarismo”) e cercano di salvarsi dal declino (produttivo, culturale, demografico, persino militare) scegliendo di volta in volta il teatro su cui impegnarsi. Brutalmente, ovvio…
Fine della narrazione hollywoodiana sulla “più grande democrazia del mondo”, fine del “nuovo secolo americano” in cui si fingeva di voler affermare valori universali e regole comuni, fine degli organismi sovranazionali cui affidare apparentemente almeno un minimo di legislazione internazionale.
Avanti con la politica fondata sugli interessi e gli affari, usando la forza ma stando ben attenti nel valutare la potenza altrui, per non farsi troppo male. Si chiamavano “sfere di influenza”, non stupivano nessuno.
Uno spostamento radicale: dalla narrazione falsaria che verniciava di “princìpi” l’irruzione violenta nella vita degli altri popoli (“l’ingerenza umanitaria” che ha accompagnato tutte le guerre asimmetriche degli ultimi 40 anni) all’affermazione nuda e cruda del proprio interesse materiale prevalente su quelli altrui. Se abbastanza deboli, ovvio… Affari con quasi tutti, amici di nessuno, qualche rapina se non costa troppo.
L’assalto promesso al Venezuela è forse la prima esibizione di questa nuova “dottrina”, anche se la retorica ufficiale ancora arranca, perseguendo di fatto un “cambio di regime” pur sapendo che “non hanno mai funzionato” e cercando qualche giustificazione vecchio stile (la “guerra al narcotraffico”, invece dei “diritti umani”), anche perché all’interno dell’America la stretta del governo non è del tutto completata.
*
Per noi comunisti, diciamo la verità, non c’è quasi nulla di davvero sorprendente. Abbiamo sempre cercato di analizzare le cose senza farci troppo distrarre dalla retorica “buonista”. Non perché i diritti umani non siano davvero importantissimi, ma perché vedevamo – e vediamo – che valgono a seconda dei soggetti in campo (per i lavoratori, come per i palestinesi, non c’è neanche il diritto alla vita, figuriamoci gli altri che ne derivano).
E quindi sentire gli “amerikani” dire che si muoveranno ora soltanto in base agli interessi loro – hanno multinazionali che toccano quasi ogni paese, non è che si rinchiudono in casa – è come scoprire l’acqua calda. Anzi, si semplifica il lavoro, riducendo gli sforzi di “decodificazione”…
Per i liberal-liberisti invece è una catastrofe. Intanto sul piano della “narrazione”, mentre tracollano uno dopo l’altro i castelli delle favole costruiti per nascondere la cruda realtà (due anni di genocidio in diretta avevano già destabilizzato parecchio la presa del “pensiero unico” sulle popolazioni).
La guerra è un orrore, lo sfruttamento anche, il capitalismo fa schifo e non ha alcuna morale, tanto meno “superiore”. Ma si nutre di suprematismo. Che poi sia aziendale, razziale, religioso, etnico o d’altra natura… sempre suprematismo – cioè fascismo – è. Inutile abbellire il palcoscenico…
I più devastati, anche se ancora tacciono o berciano un po’ più “a sinistra” dei liberal-liberisti, sono i riformisti di tutte le sfumature (tipo Avs, diciamo).
Avevano investito tutto sul “capitalismo dal volto umano”, sulla “transizione energetica” fatta senza disturbare le imprese, sull’ecologia ridotta a giardinaggio, sul “terzo settore” come correttivo dei tagli alla spesa sociale, sull’”Europa” che avrebbe cancellato i nazionalismi… Sui cerotti da mettere sulle piaghe più purulente, insomma.
Ora devono ricostruirsi da zero una funzione sociale e politica. Ma il tempo è poco e il terremoto è grande.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa