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La lezione di Genova

Da quasi 60 anni le cariche contro gli operai in una manifestazione con CgilCislUil segnano il superamento di una linea rossa che quasi nessun governo ha osato oltrepassare.

L’ultimo episodio rilevante erano state le cariche contro i metalmeccanici della Fiom, a Roma, guidati da Maurizio Landini, il 30 ottobre del 2014. Il presidente del consiglio era Matteo Renzi, e gli operai venivano dalle acciaierie di Terni, già aggrediti dalla polizia un anno prima nella cittadina umbra con un pestaggio che aveva ferito persino l’allora sindaco Di Girolamo. La crisi dell’acciaio in Italia ha ormai una lunga storia…

Ieri a Genova mancava la Uil, famosa nell’ex Ilva più come “ufficio raccomandazioni” che come sindacato (a Taranto bisognava iscriversi prima ancora di venire assunti), sostituita però dalla molto più conflittuale Usb, che oggi può vantare una presenza operaia in continua ascesa.

Il ruolo del governo Meloni nella crisi dell’Ilva era ieri molto ben rappresentato dalla blindatura della piazzetta sede della Prefettura (il “palazzo del Governo”, in ogni capoluogo di provincia). Riesumate le grate, utilizzate ai tempi del G8, saldate a chiudere ogni passaggio e con dietro i blindati della polizia.

L’istantanea perfetta di un esecutivo sordo, cieco, inabile a tutto, che però non vuol essere “disturbato” da coloro che sta mandando sul lastrico. E da un paese in declino…

Il piano presentato dal ministro Urso è stato unanimemente considerato un piano di chiusura, con i dipendenti buttati mezzo alla strada e basta. Una scelta idiota sotto molti e diversi punti di vista. Non solo e non tanto per l’occupazione (20.000 persone, tra “interni” ed indotto), quanto per il ruolo strategico da sempre svolto dall’industria dell’acciaio, senza la quale un paese diventa dipendente dalle forniture altrui.

Per misurare quanto sia idiota questa scelta basti pensare che avviene mentre contemporaneamente il governo aumenta gli stanziamenti per le armi, che notoriamente sono destinatarie primarie della produzione di acciaio di tutti i tipi. Noi siamo per il disarmo, è noto, ma stupisce che i reazionari guerrafondai pensino sia possibile fare a meno della “materia prima” per quello che hanno in testa.

Nella fase alta della cosiddetta “globalizzazione” si era pensato che la produzione “indigena” potesse essere sostituita con quella meno costosa proveniente dall’India o dall’Ucraina. Ma oggi sappiamo che Nuova Delhi viaggia su una rotta meno amichevole con l’Occidente coloniale. E l’Azovstal di Mariupol è saldamente tornata in mani russe, quindi con qualche problema di comunicazione creato dalle “nostre” stesse sanzioni.

E dire che persino un manager delle privatizzazioni come Franco Bernabè ha fatto notare che “ristrutturare l’Ilva e continuare la produzione costerebbe meno che chiuderla”. 4 miliardi contro 10-12 da buttare a fondo perduto per la cassa integrazione, i “corsi di riqualificazione” dei licenziati, la bonifica dei siti produttivi (16 kmq a Taranto, oltre un kmq a Cornegliano, ecc).

Ma è sul piano del conflitto sociale e politico che la giornata di ieri a Genova segna il superamento di una “linea rossa”. Un governo che attacca militarmente gli operai non può più spacciarsi come “vicino al popolo”, per quanto si sforzi di “parlare alla pancia” dei più poveri. Entra in crisi la “narrazione populista” con cui questi post-fascisti si erano travestiti.

Ma nello stesso tempo è anche andata in pensione la divisione tra “buoni e cattivi” nei cortei, utile da sempre a criminalizzare una parte dei movimenti per paralizzarli nel loro insieme. La reazione operaia alla blindatura della Prefettura è stata da manuale: solo chi tratta quotidianamente con l’acciaio sa come fare per sbragare le”difese” erette a protezione del Palazzo. E il “trattore” gigante utilizzato per la movimentazione dei carichi è diventato lo strumento adatto a divellere le grate.

Di lì la pioggia di lacrimogeni, anche di tipo proibito a livello europeo. In particolare, il gas CS (o-chlorobenzylidene malononitrile) è considerato un’arma chimica e il suo uso è regolamentato dalla Convenzione sulle armi di quel tipo.

Stavolta però nessuno ha provato ad imbastire teorie strane sui “black-bloc”, gli “anarchici” o gli “autonomi”. Persino la sindaca di centrosinistra e il presidente regionale di centrodestra si sono precipitati a dare solidarietà e/o disponibilità alla mediazione col governo sordo.

Nella piazza di Genova c’è la classe operaia più classica dell’immaginario novecentesco: i siderurgici, gli uomini dell’acciaio. A viso aperto, con determinazione granitica, competenza meccanica ed intelligenza politica.

Tre mesi fa erano stati i portuali di Genova a “suonare la sveglia” contro il genocidio dei palestinesi indicando le forme della mobilitazione attraverso quel “Blocchiamo tutto” che si è materializzato in tutto il paese.

Questi operai hanno dato una lezione al potere, ma anche al resto del movimento che da mesi – e per fortuna – va montando contro il genocidio, il riarmo, i tagli alla spesa sociale, la militarizzazione strisciante ed esplicita, la repressione, ecc.

Si parte e si torna insieme, sempre. Ci si comporta in piazza come è stato deciso. Nessuna scelta è preclusa, ma deve sempre essere condivisa, altrimenti serve solo ad indebolirci.

E’ una lezione antica ma sempre attuale. La lotta è una cosa seria e l’unico modo di vincere è nel partire e tornare insieme.

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