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Cosa dice Gramsci a chi vuole ribellarsi alle schiavitù di oggi

Come ci ha insegnato Gramsci, “la crisi consiste precisamente nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. Analizzando i conflitti inter-imperialisti e la loro evoluzione storica, siamo obbligati a guardare alla storia dei rapporti di forza, dell’oggettività e dei soggetti rivoluzionari e, talvolta dei giganti della storia, come gli eterni comandanti Fidel e Chavez.

La crisi di oggi ha accentuato l’emergere e lo scontro di diversi poli imperialisti, portando alla luce i diversi interessi e contraddizioni finora nascosti tra Stati Uniti e Unione Europea.

Le posizioni che fanno coincidere antimperialismo e antiamericanismo sono ora ampiamente superate da più di trent’anni di evoluzione storica dei beni capitalistici; tuttavia, quanto sta accadendo sotto i nostri occhi sembra negare la visione teorica di un confronto che coinvolge solo i poli dell’Europa e degli Stati Uniti.

In definitiva, è necessario analizzare le complesse fratture create dalla perdita dell’egemonia americana, in aree poco considerate da un marxismo che ha spesso peccato di eurocentrismo.

Riappropriarsi del significato della Storia è un’esigenza affrontata non solo dall’intellettuale individuale, ma anche dall’intellettuale collettivo o, in verità, dall’organizzazione che mira alla trasformazione radicale delle relazioni sociali esistenti.

Senza il senso della storia, infatti, è facile cedere alle volgarizzazioni ideologiche della tendenza dominante, che vorrebbe la storia finita con il crollo dell’Unione Sovietica e il trionfo dell’unico mondo possibile, il capitalismo; e non sarebbe possibile leggere e comprendere adeguatamente le esperienze concrete dell’uscita dal modo di produzione capitalistico e della sperimentazione del socialismo del XXI secolo, che hanno sviluppato e continuano il loro cammino pieno di difficoltà, prime fra tutti in America Latina.

Ad esempio, l’attacco contro la rivoluzione bolivariana, iniziato con la presa del potere di Chávez, è stato realizzato, in parte, con il colpo di stato del 2002, e ha visto le sue mille forme attuarsi con maggiore intensità dopo la morte del Comandante e l’arrivo alla presidenza di Nicolás Maduro.

È ovvio che il primo impegno, oggi, delle forze sociali popolari, della politica democratica popolare e rivoluzionaria accompagnata da intellettuali e media democratici, non sarà quello di sviluppare una battaglia di potere meramente sostitutiva e portatrice di interessi simili, ma di procedere su un terreno di potere alternativo.

Chi ragiona per modelli astratti, anche nella cosiddetta sinistra radicale, è stato spiazzato negli ultimi anni dai processi in corso in Venezuela, oltre al giudizio sull’evoluzione del processo rivoluzionario cubano, interpretato non di rado come deviazione dal modello socialista originario e ora “irrimediabilmente contaminato da forme capitaliste”.

Ma il socialismo non è un modello astratto applicato alla realtà concreta; piuttosto, rappresenta una fase storica completa di superamento del modo di produzione capitalistico (MPC), che avviene non in una linea retta di progresso inarrestabile, ma attraverso momenti di avanzamento e ritirata.

Attualmente, la soggettività politica che vuole porsi nella prospettiva strategica per superare il MPC, ovunque operi, a Cuba, in Venezuela o nel cuore del polo imperialista europeo, non può in alcun modo eludere queste questioni: la transizione, il rapporto tra teoria e pratica politica, tra strategia e tattica, e pianificazione come forma concreta del processo di transizione.

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