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Roma. Report del primo appuntamento con l’Accademia Rebelde

La vera rivoluzione nasce ora, dopo il sette novembre del 1917. Nel giro di due mesi viene dichiarata la fine della guerra e la tregua con i tedeschi; viene nazionalizzata la terra; vengono nazionalizzate tutte le banche private in un’unica banca nazionale e statale; vengono pubblicati, cosa mai avvenuta prima, tutti i trattati segreti che lo zarismo aveva fatto con le potenze imperialiste, così dichiarando tutti i complotti contro il popolo che lo zarismo aveva fatto.

Dopo una settimana dalla presa del potere viene creata la giornata lavorativa di otto ore, una cosa che oggi ci sembra scontata; viene abolito il lavoro minorile. Tutti i decreti saranno reali, saranno radicati nella rivoluzione. La Rivoluzione d’Ottobre lascia un’eredità enorme.

Si è conclusa con queste parole la prima iniziativa dell’Accademia Rebelde, l’intervento stabile di formazione che inizia con un ciclo di tre appuntamenti su altrettante rivoluzioni, le NOSTRE rivoluzioni.

Con questa iniziativa vogliamo riannodare il “filo rosso” che ci collega a quella storia che trent’anni di offensiva neoliberista vorrebbero celare definitivamente, con un duplice intento: fornire soprattutto ai più giovani dei riferimenti fondamentali, degli strumenti per la formazione politica e teorica per poter affrontare le lotte del nostro tempo.

Insieme a ciò, rinforzare la necessità di un’ipotesi di società diversa, partendo da come Cina, Cuba e Vietnam siano stati i paesi decisamente più in grado di affrontare la pandemia (oltre che i più decisi nell’aiutarci a farlo). È dunque opportuno, a questa ipotesi, dare una voce stabile e costante, “un filo rosso – appunto – fra passato e presente verso il nuovo assalto al cielo”.

La storia della Rivoluzione bolscevica non è un evento fortuito, né un colpo di stato: è una storia di più rivoluzioni. Le rivoluzioni non sono un evento raro nella storia, ma questa è la storia di una stagione in cui la “rivoluzione” comincia, a differenza di tutte le precedenti, ad abbattere la divisione in classi, in oppressi e oppressori.

La rivoluzione appare chiaramente per ciò che è: un passaggio evolutivo – così è stato a partire dalle grandi rivoluzioni che ha fatto la borghesia, quella Francese e quella Industriale su tutte. Ma possiede un primato: è la prima rivoluzione che risponde a un progetto autocosciente lungamente maturato nel tempo.

L’anno con cui inizia il percorso rivoluzionario russo è il 1861. In quegli anni il faro del movimento socialista è la socialdemocrazia tedesca, consolidatosi con un’avanzata graduale anche nelle istituzioni del Reich tedesco, nonostante anni di leggi che lo hanno relegato nell’illegalità riuscì a svilupparsi come una potenza a tutto tondo di strutture politiche e sociali.

La situazione russa è del tutto diversa: in un contesto di monarchia assoluta ed economia arretrata, in quell’anno viene emanato dallo zar il decreto per la liberazione dei servi della gleba. Le illusioni di libertà saranno presto spazzate via, i contadini saranno per anni gravati da enormi debiti con lo stato con scadenza fino a cinquant’anni, anni in cui i contadini si troveranno a lavorare appezzamenti miseri e improduttivi.

È nelle università che si organizzano i primi nuclei di attività rivoluzionaria. La prima esigenza che avvertono i rivoluzionari è entrare in contatto col popolo, e nella Russia dopo il 1861 popolo significa contadini: nascono i narodniki, i celebri populisti russi. Nel “Che fare?”, Lenin dedicò importanti passaggi alla riflessione sull’esperienza storica dei rivoluzionari del secolo precedente e in particolare dei populisti russi.

Egli riteneva per esempio che i rivoluzionari russi dovessero essere i migliori eredi dei giacobini francesi, e accanto a ciò l’esperienza dei populisti russi la considerava un’avanguardia eroica, una tradizione di lotta e un’organizzazione politica da preservare, ma i cui metodi andavano inseriti su un impianto teorico diverso.

Per Lenin, il partito non si deve occupare solo degli aspetti diretti del conflitto fra gli operai e i padroni (la chiamava “coscienza tradeunionista”), ma deve essere avanguardia del proletariato, agendo su tutti gli aspetti della società, con una direzione strategica saldamente impiantata nel materialismo storico. Il Partito socialdemocratico deve essere l’organizzazione destinata alla rivoluzione proletaria.

Ma è proprio sulla concezione del partito che si crea la spaccatura fra bolscevichi e menscevichi: due visioni diverse della storia, due visioni diverse del ruolo del partito e dei suoi membri (che per i bolscevichi e Lenin erano i militanti, mentre per i menscevichi erano anche i generici collaboratori).

Nel bolscevismo di Lenin non c’è nulla di romantico: entro cinque mesi il militante poteva morire, finire in Siberia o esiliato. Già i rappresentanti al primo congresso del Partito socialdemocratico russo finirono quasi tutti arrestati in poco tempo.

Il primo tentativo di rivoluzione innescato con la domenica di sangue nel 22 gennaio 1905 fallì: a colpi di cannone i proletari in marcia verso il palazzo di inverno furono accolti dall’esercito zarista. Fu un sanguinoso fallimento ma fu, con le parole di Lenin, la prova generale della Rivoluzione: fu il primo grande movimento popolare insurrezionale, dove nacquero i primi soviet (il primo a Ivanovo, vicino Mosca, con quarantamila operai).

La rabbia delle masse scoppiò di nuovo nel 1917, in piena guerra mondiale. Nel marzo dello stesso anno, in seguito a una rivolta per il pane nei grandi centri, viene instaurato il governo provvisorio.

L’esplosione fu tale che gli stessi bolscevichi si trovarono in grande difficoltà – una gran parte dei membri del Comitato Centrale si trovava imprigionato in Siberia –, ma comunque le forze zariste e borghesi che si trovavano a gestire quelle sommosse non avevano alcun controllo politico sulla situazione, per quanto i soviet principali fossero ancora in mano ai partiti principali.

Non ascoltavano minimamente le richieste di pane, pace e terra che provenivano dal popolo. Lenin, sceso alla stazione Finlandia di Pietroburgo, intervenne e pubblicò le Tesi di aprile: trasformazione del Partito socialdemocratico in Partito comunista, fine della guerra, cancellare la grande proprietà della terra e redistribuirla, trasformazione della repubblica in una repubblica di soviet, costituzione di una nuova internazionale.

In questo modo si guadagnò la maggioranza nei soviet e una cospicua egemonia nell’esercito, creandosi di fatto la guarnigione che costituì il nucleo dell’armata rossa.

Il potere poteva essere preso e venne preso il sette novembre del 1917. La Rivoluzione poteva cominciare.

Prossimo appuntamento: venerdì 27 novembre, La lunga lotta per il socialismo. La rivoluzione cinese.

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