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L’Italia “anello debole” del blocco euroatlantico? Discutiamone

Al momento del suo insediamento come capo del governo, Giorgia Meloni ha affermato che “L’Italia non sarà più l’anello debole”. Una affermazione con molti significati, molte ambizioni e altrettante fragilità.

Già Draghi aveva operato affinchè l’Italia si collocasse magari ultima, “ma tra i primi” cioè nel Triangolo di comando insieme a Francia e Germania nella leadership dell’Unione Europea.

Sullo sfondo, dopo due anni di pandemia/sindemia, il boom dell’inflazione e la crisi dei prezzi energetici, è arrivata come uno tsunami la guerra in Europa, in quell’Ucraina in cui Usa e Ue hanno titillato da anni tutte le forze più reazionarie e bellicose in funzione anti-Russia.

E di fronte all’ultima variabile imprevista, sia Draghi che Meloni hanno scelto consapevolmente di essere della partita, collocando l’Italia nel fronte della guerra a oltranza contro la Russia, allineandola totalmente alla Nato – e alle fazioni atlantiste in Europa – piuttosto che giocare di sponda con Francia e Germania sul piano di una soluzione diplomatica e non bellicista alla guerra che vedesse – quasi naturalmente – la Ue soggetto attivo e non subalterno agli Stati Uniti.

L’effetto boomerang è stato vistoso e pesantissimo per le economie di Italia e Germania. Talmente vistoso che la maggioranza delle opinioni pubbliche – con maggiore lungimiranza delle classi dirigenti – si sono apertamente dette contrarie al coinvolgimento nella guerra in Ucraina e alle sanzioni alla Russia, soprattutto quando da queste ultime è apparso evidente che se ne avvantaggiano solo gli Stati Uniti a discapito dell’Europa.

La classe dirigente italiana, prima con Draghi poi con Meloni, ha scelto consapevolmente di collocare il paese dentro il nuovo blocco euroatlantico, risorto dopo anni di divergenze e divaricazioni sia dentro la Nato che nelle relazioni tra Usa e Ue.

L’Italia viene dunque sottoposta ad un doppio vincolo esterno: quello economico/sociale imposto dai Trattati europei e quello politico/militare imposto dalla Nato.

Questo vincolo ha logorato nella fondamenta la struttura economica e industriale del paese. Ha scatenato sia la vendetta di classe contro i lavoratori sia la resa dei conti interna al capitalismo piccolo piccolo del modello produttivo italiano. Ha reso il paese più asimmetrico sul piano geoeconomico e più disuguale sul piano sociale. Ha reciso bruscamente relazioni internazionali proficue e sviluppatesi nei decenni scorsi. Ha portato il paese dentro una spirale fondata sulla guerra, le spese militari e il militarismo.

Dentro questa gabbia “l’Italia muore”, soprattutto perché entrambi – la Ue e la Nato – somministrano ricette dolorose e coerenti con gli “spiriti animali del capitalismo”, quelli che vedono nelle accresciute disuguaglianze sociali una realtà inamovibile e nella guerra l’affermazione di una civilizzazione superiore a quella nel resto del mondo.

Il bellicoso rappresentante della politica estera europea, Josep Borrell, ha metaforizzato tutto questo come lo scontro “tra il giardino e la jungla”, dove il primo è l’Occidente e la seconda una eterogenea selva di autocrati minacciosi e inclini alla doppiezza.

In questi giorni la Rete dei Comunisti sta promuovendo su questi temi incontri e dibattiti pubblici in varie città per confrontarsi sulle alternative possibili e necessarie al piano inclinato sul quale le classi dominanti stanno trascinando il mondo e il nostro paese. A cominciare da un possibile “anello debole” della catena come l’Italia.

A questo confronto nelle varie città sono stati invitati a portare il loro contributo studiosi e militanti politici, giornalisti e sindacalisti come Paolo Ferrero, Leonardo Bargigli, Max Gazzola, Francesco Dall’Aglio, Guido Ortona, Monica Di Sisto, Leonardo Bargigli, Soumaila Diawara, Francesco Schettino, Angelo Baracca, Antonio Perillo, Giovanni Ceraolo, Andrea Vento, Matteo Bortolon, Silvano Cacciari, Francesco Tramontano, Rosa Sica, Giovanni Pagano, gli attivisti di Cambiare Rotta, e tanti altri.

Ma se si parla del futuro possibile e necessario, è tempo di rimettere in campo una soggettività comunista e il Socialismo del XXI Secolo come scenario alternativo a quello esistente, e inquietante.

Alcuni sono convinti che occorra invece tenere anocra la testa bassa e proseguire in quella tattica del “ripiegamento permanente” che da due decenni ha sgominato le soggettività e liquidato le ipotesi comuniste nel nostro paese. Ma è evidente che senza una soggettività comunista attiva non esiste più neanche una “sinistra” capace di contendere il campo all’avversario di classe, nè alle elezioni nè sul piano del conflitto.

Inevitabile dunque che ogni cambiamento passi attraverso la rimessa al centro di una rottura del quadro esistente, a cominciare dalla gabbia euroatlantica in cui le classi dirigenti in Italia e in Europa vincolano e subordinano ogni ipotesi alternativa di un futuro diverso per le priorità sociali, politiche, economiche e la collocazione internazionale del paese.

 

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3 Commenti


  • Giuseppe

    Buongiorno.
    Sicilia, qualcosa si sta pensando?


    • Redazione Contropiano

      se qualcuno organizza, si può fare…


  • Giancarlo Staffo

    “Ma è evidente che senza una soggettività comunista attiva non esiste più neanche una “sinistra” capace di contendere il campo all’avversario di classe, nè alle elezioni nè sul piano del conflitto.”
    il modello militante di RdC è un percorso serio e credibile in senso Leninista attualizzato, unico in Italia. Su cui perseverare.
    Mi permetto però di dubitare apertamente del modello di soggettività finora proposto dal Prc in tanti anni, tra” movimentismo, personalismo e governismo” è che finora nella sostanza non è cambiato affatto.

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