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Appropriazione privata delle conoscenze e comunicazione deviante. Così il capitale raggiunge la massima desocializzazione

Intervista a Luciano Vasapollo.

La guerra in Ucraina viene presentata unilateralmente dai media occidentali come difesa lecita della sovranità, ignorando che i territori contesi hanno scelto la propria identità e appartenenza russa. Un conflitto che miete decine di migliaia di vittime ma spinge in alto i fatturati dei comparti militari-industriali dei paesi NATO.

Così come il genocidio dei palestinesi a Gaza, giustificato come una risposta agli attacchi del 7 ottobre, è stato pianificato per accaparrarsi un territorio ricco di giacimenti di gas e di possibili opportunità immobiliari. Mentre, a livello internazionale e nazionale, l’opinione pubblica viene distratta dai continui rinvii di accordi seri e stringenti per la riduzione delle emissioni di Co2, decisi per tutelare, invece dell’ambiente (e dunque la sopravvivenza delle popolazioni più esposte ai cambiamenti climatici), gli interessi di industrie che non sono state capaci di sviluppare soluzioni alternative ai motori termici più inquinanti.

Per non parlare dei morti e feriti, e dei danni all’ambiente, causati dalle migliaia di missili esplosi nei combattimenti o lanciati nei bombardamenti che stanno riguardando peraltro anche Siria, Yemen e Libano. Scenari diversi ma che hanno in comune una medesima strategia criminale, il controllo delle informazioni, un problema complesso analizzato in diversi libri dal prof. Luciano Vasapollo, decano di economia alla Sapienza e fondatore della Scuola di economia antropologica e decoloniale nel medesimo ateneo.

«Il tema della comunicazione deviante – avverte il docente – non riguarda soltanto l’utilizzo fraudolento dei media allo scopo di influenzare l’opinione pubblica, che pure è evidente, ma anche il ruolo che gioca la comunicazione nelle strutture organizzative delle imprese e nel modo di essere del controllo sociale generale sul territorio. In proposito va segnalata allora l’importanza assunta dalla comunicazione come strumento a servizio del capitalismo, in quanto permette a tutti i soggetti economici di interagire con il modello culturale di impresa, operando le scelte di ogni tipo sulla base di informazioni ottenute in modo non sempre etico (e che infatti spesso si rivela ingannevole)».

S.I.: Professor Vasapollo, dalle sue parole emerge un quadro a dir poco drammatico, quello di una società immersa in pratica in una “bolla”, quasi una realtà parallela…

L.V.: In effetti si tratta di guardare al rapporto tra Capitale e Informazione non limitandosi a considerare la manipolazione della verità con le fake news, ma il discorso è più ampio: si assiste alla costruzione di una realtà economico-sociale manipolata, che chiama in causa, ad esempio, le fuorvianti analisi di mercato su cui si basano campagne pubblicitarie capaci di instillare nelle persone bisogni che non hanno. Tanto più ampia è la rete di informazioni cui l’impresa può accedere, tanto maggiore sarà la conoscenza dei mercati, dei prodotti, delle esigenze dei consumatori, dei lavoratori e delle varie soggettualità presenti nel territorio, da piegare alle logiche aziendali e, in genere, di controllo sociale.

Così, in una stessa logica e in uno stesso tempo, attraverso la comunicazione deviante, la cultura d’impresa e del profitto invade il sociale. Ed è necessario, però, che il capitale umano intellettuale possa diventare un valore di scambio per il profitto, in una società in cui la comunicazione, con la telematica e l’automazione, si inserisce all’interno della produzione come risorsa strategica. Nell’attuale fase di comunicazione globale, cioè totale e mondiale, il sistema di produzione capitalistico raggiunge il massimo livello della desocializzazione.

S.I.: Sembra un meccanismo perverso, che prende d’assalto la formazione stessa delle coscienze a vantaggio unicamente del profitto delle grandi imprese

L.V.: Si può in sintesi certamente sostenere che la gestione di una qualsiasi organizzazione sociale, e non solo aziendale, è ormai riconducibile al circuito informazione-descrizione-azione, per poi ritornare nuovamente al capitale informazione. Se la decisione è l’elemento motore del circuito, l’informazione è l’elemento che lega strettamente il circuito e l’assemblaggio, come una comunicazione internazionale nomade post-fortista rappresenta ormai una dottrina consolidata. In effetti senza un sistema informativo l’organizzazione aziendale non ha senso di esistere, poiché essa ne costituisce la struttura nevralgica formata dall’insieme coerente ed organico di tutti i flussi informativi a carattere quali-quantitativo.

Lo sviluppo dei sistemi informativi aziendali è avvenuto per gradi con una successione di fasi che ha interessato progressivamente il livello operativo settoriale e direzionale, in parte in concomitanza con l’evoluzione sociologica delle apparecchiature per l’elaborazione dei dati e delle tecniche ad essa connesse. Ma in questi ultimi anni è sorta l’esigenza da parte del management d’impresa di affrontare il problema della gestione delle informazioni non più con isole di meccanizzazione separate ma in un quadro organico, in cui si abbracciano i vari aspetti organizzativi considerando così l’informazione stessa come risorsa strategica e il sistema informativo come struttura e finalità produttiva a lungo ciclo di utilizzo.

Questo è il modo di incidere in maniera determinante sulla competitività ed efficienza aziendale. In questo senso nasce il capitale informativo come risorsa intangibile complessa, in un sistema di fabbrica sociale generalizzata. E tale elemento del capitale dell’estrazione, come tutte le altre risorse immateriali presenta come caratteristica fondamentale quella di essere utilizzabile per fini diversi, ma è di difficile cumulazione. Il capitale informazione necessita quindi di continui ingenti investimenti se se ne vuole ottimizzare l’efficienza ed efficacia, evitando una sua rapida obsolescenza tecnica ed economica.

Infatti, oggi, con la dirompente innovazione tecnologica in atto nell’ambito dell’informatica e della matematica, i sistemi informativi aziendali invecchiano con estrema facilità e necessitano pertanto di forti investimenti durante la fase della loro implementazione, realizzando da subito un sistema integrato altamente efficiente.

S.I.: Tutto questo mette in evidenza i limiti del neocapitalismo e il suo potenziale distruttivo. Ma ci sono alternative? L’immagine dell’avanzare ineluttabile del mercato sulla pianificazione, sistema che tutela i deboli che il capitalismo abbandona al proprio destino, è realistica?

L.V.: Direi che la realtà del mondo occidentale, a partire dalla situazione sociale degli USA, ci mostra che le cose stanno in modo diverso. Non esiste ad esempio una relazione astratta tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, indipendentemente dal modo di produzione in cui avviene la riproduzione sociale generale, cioè il processo generale mediante il quale una entità sociale produce e riproduce i suoi mezzi di sussistenza. All’interno di questo processo si colloca il fondamentale rapporto tra lavoro e capitale che lo contraddistingue.

Vale la pena ricordare che il processo lavorativo in astratto, in generale, non è lo stesso della forma capitalista. Il processo del lavoro in astratto ha, infatti, elementi che lo caratterizzano in primo luogo e indipendentemente dalla forma storica che assume, perché caratteristico dell’attività umana in relazione alla natura. Questi elementi sono, quindi, l’attività lavorativa, i mezzi di lavoro, l’oggetto del lavoro, la individuazione di uno scopo.

S.I.: Ed è qui che si inserisce una lettura marxista del tema delle conoscenze, ovvero del diritto al sapere

L.V.: La conoscenza non sorge spontanea, non è il risultato di un atteggiamento individuale di intima riflessione sulla realtà al di fuori dell’individuo pensante, ma piuttosto appare nel processo di produzione della vita sociale come espressione della vita materiale. In ogni epoca storica, la conoscenza è determinata dalle condizioni di sviluppo sociale, esprimendo la portata e i limiti della società del momento. È per questo motivo che la conoscenza è storicamente determinata; la conoscenza non è neutra, ma basata sulla classe.

Il cambiamento del modello di accumulazione e la sua trasformazione in senso “postfordista” non può avvenire pienamente se le trasformazioni che avvengono nell’economia, nel contesto della riorganizzazione dei processi produttivi, non sono accompagnate da mutamenti organizzativi e conflittuali di confronto tra classi e gruppi sociali, oltre che nell’ideologia e nella cultura, intese come stile di vita. Ciò significa che una nuova unità organica tra economia politica, ideologia e cultura deve essere stabilita, gramscianamente.

Il rapporto tra lavoro manuale e lavoro intellettuale si sviluppa secondo le leggi del modo di produzione dominante. Oggi, nella “società della conoscenza” di cui abbiamo delineato le ambiguità, il consenso prevale e si produce con una forma di vero totalitarismo culturale. L’intellettuale diventa una funzione organica della classe dirigente, subordinata e funzionale in primis ai bisogni, ai valori, alle logiche del profitto, del mercato, degli affari, tentando con ogni mezzo la distruzione sociale e culturale dei ribelli, dei non approvati. Questo, almeno nei punti più alti dello sviluppo capitalistico, ha portato con sé nuove modalità di dominio che hanno fatto anche della ricerca del consenso attivo dei governati un punto centrale della loro ragione d’essere.

Quella che Gramsci chiama egemonia è proprio la rappresentazione plastica di questa nuova tendenza del potere a proiettarsi con decisione anche a livello politico-culturale in senso lato, delle rappresentazioni del mondo, e così via. L’accumulazione di conoscenza e capacità di abilità, delle forze produttive generali del cervello sociale e, quindi, delle scuole come fabbrica di conoscenza per il capitale, è assorbita dal capitale in relazione al lavoro e si presenta come proprietà del capitale e, più precisamente, di capitale fisso, in quanto entra come mezzo di produzione reale nel processo produttivo.

S.I.: Ma non è utopico e dunque inutile tentare di invertire una rotta che il pensiero occidentale considera non modificabile?

L.V.: Credo che al contrario il fallimento di questo modello rimetta in gioco le analisi di Marx e Gramsci, che stanno peraltro ispirando la politica sociale e internazionale di paesi a forte potenzialità come Cuba, Venezuela e Bolivia. È ora responsabilità dei marxisti evidenziare le condizioni di ampia diffusione delle scuole come direzione della conoscenza del fattore capitale e della sua mercificazione, esaminare le basi metodologiche e concettuali attraverso le quali passa la creazione di valore nell’era dell’economia della conoscenza. E il valore mercantile non ha contenuto altro che il valore del lavoro, l’applicazione dell’energia umana, fisica e mentale, la produzione di beni, tra cui ora c’è la conoscenza stessa.

Dal nostro punto di vista, la conoscenza è un lavoro complesso, cioè, nelle parole di Marx, un semplice lavoro potenziato che include il processo di produzione, i servizi e la conoscenza stessa, compreso un alto livello di produttività e, quindi, tanta competitività. Questa conoscenza incorporata può generare e genera innovazione di prodotto, così come nuove tecnologie e nuove conoscenze. Il lavoro intellettuale come opera complessa ha un valore creativo.

S.I.: Dunque, la nostra critica al sistema potrebbe innescare un cambiamento?

L.V.: L’epoca storica in cui viviamo si denomina capitalismo ma in realtà si dovrebbe parlare di capitalismi in quanto si caratterizza con il sottomettere tutti i processi di produzione sociale alla relazione di sfruttamento capitalista, cioè alla produzione mediante lavoro altrui di merci appropriate in forma privata e suscettibili di essere alienati mediante uno scambio mercantile monetario. In questo modo le forme di espressione della realtà sociale della nostra epoca si riducono sempre più alla produzione mercantile di quelle forme sociali trasformate in merci. Nella fase attuale di evoluzione del capitalismo l’aspetto più rilevante è il processo di mercificazione della vita sociale al quale assistiamo segmenti.

Questo è precisamente quello che concerne la conoscenza e ciò non vuol dire solamente che la conoscenza, la quale viveva con il prodotto materiale in forma di idee e di pensiero, si è trasformata in un’attività umana suscettibile di esprimersi come merce, cosa che avviene da molto tempo, cioè almeno da quando l’uomo pagò per la prima volta anche affinché gli predicessero il futuro. Ma oggi le forme che adotta il processo di produzione della conoscenza si strutturarono sempre di più sotto forma di relazione mercantile.

Oggi anche nei paesi in cui le piccole medie imprese sono forti, la loro esistenza dipende in gran parte degli sbocchi che vengono loro offerti dai grandi gruppi ormai essenzialmente multinazionali della comunicazione cioè, più in generale dell’economia della conoscenza.

Su scala internazionale il passaggio di conversione economica contemporaneo è dominato dai grandi gruppi di industria manifatturiera che subiscono una rivalità molto forte da parte dei gruppi della distribuzione concentrata punto comunque, le dipendono da meccanismi all’interno dei settori finanziari ai quali l’investimento industriale si è momentaneamente adattato e sottomesso anche se si comincia a intravedere un conflitto inter-capitalistico per ritorno al predominio caratterizzante dell’investimento produttivo. Infatti, terminato il processo di fusione lunghe e complesse, le grandi aziende multinazionali USA ed europee concentrano nelle loro mani attività strategiche decisive.

Oggi oltre l’80% della spesa di ricerca e sviluppo, quella più legata al controllo del capitale intellettuale omologato, del settore delle imprese dei paesi dell’OCSE, viene effettuata in società classificate come grandi imprese.

S.I.: E allora si può dire che la comunicazione ritenuta per molto tempo sinonimo di libertà di diffusione della conoscenza e del sapere, sia diventato ormai il contrario?

L.V.: Infatti ha assoggettato tutti gli aspetti della vita sociale politica e culturale diventando espressione di oppressione, dominio sociale totalizzante, nuova forma di istituzione totale, nuovo sistema di carcere a vita sociale, una compressione coatta di ogni forma di ribellione al modello di solitudine sociale. Dobbiamo ribellarci alla omologazione imposta dalla competizione capitalistica globale. Nei suoi risvolti questa situazione di surrettizio dominio esercitata attraverso la gestione dei flussi informativi si manifesta nelle forme di un ulteriore simulazione della realtà dei fenomeni con cui l’esperienza dei soggetti viene allontanata dai contesti concreti.

La virtualizzazione, realizzata con scientifica efficienza, delle relazioni e dei bisogni, persino degli affetti degli individui, riducendo di fatto gli spazi della critica, proponendo un modello unico di società che può soltanto essere declinato in modi diversi, ma non lascia spazi culturali di rilievo alle possibili alternative. Un tale processo, già focalizzato acutamente da Theodore W. Adorno ha consentito di fatto l’insinuarsi di nuove forme di dominio mediale, che usano flussi informativi e sistemi rappresentazionali per realizzare tra le altre cose il controllo sociale.

Questa comunicazione nomade strategica deviante interagisce non come semplice trasferimento di informazioni ma come ottimizzazione di processi di produzione di conoscenza, di idee, immagini, cultura e stimolo alla comprensione dell’idea forma del mercato da parte della società e di controllo sulla società da parte della fabbrica sociale generalizzata, in un modello concertato che si muove nell’ottica di affrontare e risolvere i reciproci interessi. Elementi che nei fatti agiscono in modo totalitario per la compressione di ogni forma di antagonismo sociale. E così viene del tutto superata la concezione circoscritta delle attività prettamente divulgative, in senso generale, della comunicazione.

Con tutt’al più l’attività comunicazionale definita, pianificata e gestita dalle istituzioni, dai Profit State e dall’impresa, che deve far convivere l’aspetto produttivo di elementi materiali atti a riqualificare i beni e servizi offerti, aumentandone l’appetibilità da parte del mercato con un capitale intellettuale umano omologato che determina e guida l’attività comunicazionale interattiva deviante, indirizza la produzione e diffusione della attrattività dell’immagine aziendale, della cultura del profitto.

Allora l’intera attività comunicazionale, che diventa interattiva e deviante, rappresenta un elemento fondamentale della formulazione flessibile, veicolato attraverso un capitale umano intellettuale omologato, che trasforma i veri valori sociali in capitale aziendale attraverso il ruolo del capitale intangibile e l’entità dello spazio cibernetico.

In tal modo, con il ruolo del capitale umano intellettuale omologato, si mantiene sempre nel tempo in corrispondenza tra i vari processi sociali che puntano in una continua evoluzione ad adattamento del sistema produttivo flessibile, con meccanismi capacità di accelerare i processi di determinazione del dominio totale tecnico-sociale in una contestualizzazione paradigmatica della fabbrica sociale generalizzata, un processo che distrugge la polifonia che è connaturata invece alla dignità umana.

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