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L’inganno della Socialdemocrazia che abbandona al loro destino i più deboli

Si usa l’espressione Riformismo per qualificare una serie di politiche “illuminate” che apparentemente si oppongono al consevatorismo, ma “in realtà ne perpetuano il nucleo fondamentale, che è l’asservimento alla logica del capitalismo, al guadagno, al denaro”.

A sottolinearlo è Luciano Vasapollo, fondatore della Scuola di economia antropologica decoloniale nell’ambito dell’Università La Sapienza, che rilancia in quest’intervista a FarodiRoma il pensiero di Marx come “alternativo a questo asfittico e pernicioso Riformismo, che abbandona al loro destino milioni di vittime in nome del quieto vivere”. 

Si tratta di politiche, elenca l’economista, “che vanno dal dispotismo illuminato, al riformismo liberaldemocratico, riformismo cesaristico-bonapartista, riformismo socialdemocratico, sempre in riferimento a programmi e a misure di governo tesi, almeno in teoria, a migliorare la condizione di vita della popolazione con l’assegnazione di risorse sociali e diritti di cittadinanza”.

Nella realtà, osserva Vasapollo, “le misure concrete assunte in nome del Riformismo si rivelano poi non in linea con il coinvolgimento delle masse nel processo politico attraverso il principio asserito e di fatto sempre disatteso della sovranità popolare”.

L’accezione moderna e positiva del Riformismo, infatti, rinvia “a una società caratterizzata non solo dal crescente protagonismo delle masse, in conseguenza delle fasi dello sviluppo politico designate dagli studiosi come costruzione della nazione, crisi di partecipazione e crisi di distribuzione, ma altresì da un avanzato processo di secolarizzazione, ovvero da una ‘cultura civica’ laica, individualistica, pluralistica, tollerante che relega alla sfera solo privata fedi e credenze un tempo vincolanti per la sfera pubblica”.

In questo senso “il Riformismo appartiene alla sfera delle culture politiche liberaldemocratiche e socialdemocratiche, che rappresentano l’aspetto politico del processo di modernizzazione legato a sua volta all’industrializzazione, alla secolarizzazione e alla politicizzazione delle masse”.

Un “pacchetto” questo, osserva il prof. Vasapollo, che oggi, “con due guerre ai confini dell’Europa, mostra tutta la sua inadeguatezza, non riuscendo ad accogliere, là dove teoricamente è al potere, le istanze di pace e di uguaglianza che arrivano dai popoli, restando di fatto inchiodato alla iniqua realtà di un capitalismo imperialista che alimenta i conflitti per guadagnare sulle armi e per restare a capo dell’Occidente, dominandolo, cioè facendone uno strumento per i suoi fini.

Una situazione di evidente ingiustizia planetaria, che il Riformismo non riesce minimamente a condizionare nè tanto meno a intaccare o trasformare, limitandosi al massimo a migliorare parzialmente i trattamenti economici, assistenziali o sociali nei paesi del Nord. Uno stallo dalle tragiche conseguenze, se si considerano i morti delle due guerre (4/500 mila in Ucrainia, oltre 35 mila nel genocidio di Gaza) e le sofferenze che provocano, così come le ferite causate dalle sopraffazioni del capitalismo in tutte le latitudini, dai migranti morti in mare e/o respinti alle frontiere e dunque ugualmente condannati a morte, alle vittime degli incidenti sul lavoro, della tratta, della fame“…

Davanti a tutto questo male urge costruire, spiega Vasapollo citando Papa Francesco, “un ordine sociale alternativo. Ma questa proposta del Pontefice tutti sembrano oggi lasciarla cadere, accontentandosi di correzioni e aggiustamenti dell’ordine sociale. E a destra e a sinistra si contentendono la qualifica (abusata e ambigua) di riformisti, da intendersi come sinonimo di moderati. Negli stessi eredi del cattolicesimo sociale non si scorge un protagonismo ispirato all’alternatività dell’ordine sociale cui il Papa ci richiama”.

Il sistema capitalistico è riformabile? Qualche dubbio, sottolinea Vasapollo, il Papa pare averlo: “Il capitalismo conosce la filantropia, non la comunione. È semplice donare una parte dei profitti, senza abbracciare e toccare le persone che ricevono quelle briciole”, ha detto nel 2017. “Il modo migliore e più concreto per non fare del denaro un idolo è condividerlo, condividerlo con altri, soprattutto con i poveri, o per far studiare e lavorare i giovani”.

Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti – ha ripetuto Francesco nel 2021 commentando l’enciclica Fratelli tuttiè il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale, è un diritto naturale, originario e primario” e citava la Populorum Progressio di Paolo VI: “tutti gli altri diritti, incluso quello alla proprietà privata, non devono intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione”.

Per rafforzare il concetto della non assolutezza del diritto di proprietà, su cui si basa il capitalismo, di suo, Francesco così concludeva: “Ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica”.

Mentre sembra che solo Papa Francesco alzi la propria voce a difesa delle vittime di così gravi ingiustizie, lei, prof. Vasapollo, propone di riscoprire Marx?

Marx è attuale perché ci mostra quali sono le leggi dello sfruttamento, cioè del capitalismo, anche di quello odierno. E quindi ci fa comprendere i perché delle tragedie alle quali assistiamo. E indica con chiarezza il fondamento di proposte innovative come il salario minimo e la riduzione dell’orario del lavoro, oppure di una legge che disciplini fino in fondo quelli che vengono chiamati incidenti sul lavoro ma sono veri e propri omicidi sul lavoro.

Le teorie di Marx, infatti, sono di un’attualità incredibile perché smascherano le logiche dello sfruttamento. Ad esempio, l’opera “Miseria della filosofia” viene composta da Marx tra il 1846 e il 1847, ed è proprio una confutazione della socialdemocrazia teorizzata da Proudhon, un pensatore su cui Marx ironizza in un modo singolare.

In Francia – scrive Friedrich Engels nella prefazione del libro – egli ha il diritto di essere un cattivo economista perché passa per un buon filosofo tedesco. In Germania ha il diritto di essere un cattivo filosofo, perché passa per uno dei migliori economisti francesi. Noi, nella nostra duplice qualità di tedeschi e di economisti, abbiamo voluto protestare contro questo duplice errore. Il lettore comprenderà come, in tale opera ingrata, siamo stati spesso costretti ad abbandonare la critica di Proudhon per fare quella della filosofia tedesca, e a permetterci alcune osservazioni sull’economia politica in generale”.

Fin dalla prefazione, dunque, l’opera di Karl Marx, “La Miseria della filosofia” non è soltanto uno scritto contro Proudhon, ma è l’opera nella quale, per la prima volta, benché soltanto in forma polemica, furono indicati da Marx i punti decisivi della concezione materialistica della storia. 

Ma perché Marx si concentrò tanto sul lavoro di un filosofo ed economista che non può essere certo considerato alla sua altezza?

Confrontandosi con il pensiero di Proudhon, era apparso chiaro a Marx il rischio delle contraddizioni economiche contenute nel movimento dei socialisti francesi, che avevano discusso in diverse occasioni con lui sui problemi dell’economia. In particolare l’opera di Proudhon aveva da subito suscitato l’interesse di Marx che pensò ad una risposta per rompere con una logica che poteva essere sicuramente distorsiva per la classe operaia, cioè l’approccio socialdemocratico.

Il vero motivo era legato al desiderio di mettere in evidenza (per confutarli) gli aspetti fondamentali del socialismo moderno. In realtà il “socialismo di Proudhon”, come il socialismo moderno in generale, era parte dell’economia politica borghese.

E quindi si richiamava alla teoria del valore di David Ricardo, le cui posizioni, sviluppate all’inizio dell’Ottocento, ponevano al centro due fattori fondamentali: il primo, che il valore di ogni merce fosse determinato solo dalla quantità di lavoro necessario per la sua produzione; il secondo, che il prodotto del lavoro sociale andasse ripartito nelle tre classi, quella dei lavoratori salariati, quella dei capitalisti e quella dei proprietari terrieri, la rendita dei capitalisti, il profitto dei terrieri e il salario dei lavoratori.

Questa visione rappresenta un passo avanti rispetto alle teorie economiche precedenti. Ma certo non spinge a rompere le catene dello sfruttamento. 

Marx invece indica dei passi concreti per affrancarsi dalla subalternità economica e politica…

A questa posizione Marx risponde nel 1859, con la “Critica dell’economia politica”, mettendo in evidenza un fatto fondamentale, cioè che se il valore di scambio di un prodotto è uguale a quello del tempo di lavoro, allora il valore di scambio di una giornata di lavoro deve necessariamente essere uguale a quella del relativo prodotto della giornata di lavoro, cioè il salario deve essere uguale al prodotto del lavoro.

Invece quello che avviene nella realtà è esattamente il contrario, come ci evidenzia bene Engels nella sua prefazione alla prima edizione tedesca dell’opera “Miseria della filosofia”, che mette in evidenza gli aspetti che Marx poteva trarre anche dalle conclusioni di Ricardo. Infatti l’applicazione socialista più semplice che deriva da Ricardo, è quella che ha portato a una teoria del plusvalore che supera sicuramente le posizioni tradizionali. 

Deriva da questo la lotta di classe che caratterizza il marxismo?
Secondo le leggi dell’economia borghese, la maggior parte del prodotto non deve appartenere ai lavoratori che l’hanno creato e quindi si entra con i socialisti utopisti in una sorta di teorizzazione dell’ingiustizia. Mentre il problema morale deve essere superato da quella che è la scienza dell’economia e le rivendicazioni che porta avanti.

Marx riparte dall’analisi del sistema produttivo capitalistico e da quella che può essere appunto la sua configurazione in termini di ineluttabile crollo di questo sistema produttivo. Quindi la questione, per così dire morale, della teoria ricardiana parte dal fatto che il mondo è ingiusto, fatto male.

Questo fa comodo anche, ovviamente, alla borghesia, perché è tipico di queste analisi rifarsi ad un senso generale morale di giustizia, cioè giustizia ed uguaglianza dei diritti, ma diritti che sembrano essere basati su un superamento dei privilegi feudali, ma non su un metodo scientifico che determini invece i fondamenti su cui è stata identificata l’ideologia borghese, e quindi quali debbano essere poi le maniere per abbatterla. 

In altri termini, è la legge della produzione delle merci, con la soppressione della condizione che rende valide tutte le leggi della produzione delle merci. Vogliano eliminare le storture del capitalismo, le crisi industriali e commerciali, servendosi semplicemente di un processo utopico, cioè di un processo che abbia in se fortemente soltanto il senso morale della giustizia.

Il problema serio è però che bisogna porsi la domanda su dove e in che modo la produzione dei singoli produttori corrisponde al fabbisogno sociale. In realtà qualunque processo utopico non porterebbe mai ad alcun tipo di risposta. 

Ma è possibile oggi per chi si sente progressista fare a meno di un approccio socialdemocratico?

Io credo che sia necessario superare questa visione che impedisce un reale cambiamento. Con la concezione del divenire storico, cioè dello sviluppo storico dell’umanità, Marx risponde in maniera chiara alle analisi di Proudhon dicendo che la società è il prodotto dell’azione reciproca per gli uomini, quindi la base primaria è quella di un determinato stadio di sviluppo delle capacità produttive degli uomini. 

In sostanza Marx propone il discorso dell’economia eliminando quindi l’impalcatura metafisica di Proudhon, puntando sulle facoltà che costituiscono il movimento storico, e mettendo in evidenza che l’errore di Proudhon circa la proprietà è quello di rimanere legato all’esistente, cioè di non comprendere minimamente il carattere storico e transitorio delle forme di produzione.

Marx dice che in pratica è come se Proudhon si muovesse in un presunto piano segreto voluto da Dio, mentre lui fin dall’inizio parla della questione del conflitto fra forze produttive e i rapporti sociali e quindi la questione centrale per Marx è quella del momento storico. Dal divenire storico, infatti, scaturisce il conflitto fra forze produttive già acquisite dagli uomini e i rapporti sociali che non corrispondono più alle forze produttive.

Quando questa conciliazione non è più data, ecco lì che si propone la fase del cambiamento, della trasformazione, del rovesciamento della società.a trasformazione, il cambiamento per il futuro non può essere affidata a un progetto, a una, diciamo così, inconscia tensione verso la giustizia, verso l’uguaglianza, ma si può proporre attraverso solo il conflitto di classe, l’antagonismo di classe, una capacità della classe di diventare forza politica.

Lo slogan di questi mesi “meno armi più salari” ripropone dunque un binomio reale, fondato sulla visione di Marx?

Certamente, si tratta di incanalare la protesta per la scarsità dei redditi da lavoro in una visione ampia dell’ingiustizia, che dal capitalismo scaturisce nell’imperialismo. Ma bisogna distinguere l’uguaglianza dei salari come la propone Proudhon, che trasforma il rapporto della classe operaia al suo lavoro in un rapporto di tutti gli uomini al lavoro. E la società allora è concepita come un astratto capitalista. 

Marx invece pone il problema del rapporto del lavoro alienato alla proprietà privata da cui deve risultare che l’emancipazione della società, dalla proprietà privata, dalla servitù, si esprime in chiave assolutamente politica, di emancipazione di classe, non come se si trattasse soltanto di un emancipazione dell’operaio, bensì come emancipazione complessiva del popolo.

Il proletariato non si può riconoscere nelle posizioni anche di compatibilità borghese, ma il proletariato poi si riconoscerà nell’opera di Marx perché proietta, diciamo così, la sua costruzione oltre la fumosità del perbenismo incentrato sull’equità, perché si possono trarre delle conclusioni che pongono al centro il problema che gli operai, la classe operaia supera la società del profitto, proprio perché capisce che l’avvenire deve seguire una direzione che va al di là della teoria ricardiana.

Un processo che sviluppi una teoria in cui la direzione non può essere quella sbagliata dell’utopia, ma bisogna riconquistare le condizioni necessarie di ogni critica, che deve essere centrata sul fatto che il linguaggio deve essere un linguaggio portato alla pratica della lotta di classe. Quindi, la realtà deve superare ogni possibilità utopica.

Il confronto scontro di Marx con Proudhon mostra la capacità di separare la scienza del momento storico e sociale dai valori, chiamiamoli immaginari utopistici, che vogliono invece sovrapporsi a questo momento e per sovrapporsi poi lo vanno a fermare. E questo è quello che fanno nella società attuale i cosiddetti socialdemocratici o social liberisti.

Il concetto quindi di socialismo scientifico è legato al movimento delle classi, all’organizzazione della classe, all’organizzazione nell’antagonismo, allo sciopero. Sì alle coalizioni, al sindacato, ma che abbia esiti politici che assumano quindi il momento della costituzione di una nuova classe.

Confondere quindi valori e dialettica significa non capire che Marx non vuole togliere il male dal mondo, ma vuole costruire una scienza che rafforzi la consapevolezza teorica per combattere lo Stato presente delle cose, per superarlo, quindi.

I processi di cambiamento che portiamo avanti come marxisti possono avere sicuramente dei limiti, possono avere sicuramente degli errori però si basano sul rispetto della verità di metodo e verità di scienza e questo fa sì che si possa procedere nell’interesse della classe, attraverso l’antagonismo di classe e attraverso, ovviamente, il superamento di ogni concezione prettamente idealista.

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