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Ballare col diavolo: lezioni dalla guerra civile libica

 

Per una generazione che ha visto il successo di pochissimi veri movimenti popolari nel condurre un processo di rivoluzione sociale dal basso e nella trasformazione degli stati in cui tali sollevazioni si sono formati, le rivolte popolari in Africa (Tunisia, Egitto, Marocco e Libia) e dell’Asia sud-occidentale (Yemen, Bahrain, Arabia Saudita, Giordania e Siria) stanno offrendo delle grandi lezioni. Principalmente ciò che tali movimenti sottolineano ripetutamente è che “la repressione costruisce infatti la resistenza”, anche se trovare il tempo e l’occasione giusta per maturarsi ed esprimersi può impiegare decenni. Tutti questi stati erano stati catturati e governati per anni, se non decenni o anche periodi più lunghi (secoli, nel caso del Marocco) da forze neocoloniali che hanno trovato innumerevoli modi per fare compromessi con l’imperialismo e per reprimere e limitare le aspirazioni democratiche di rivoluzione sociale dei popoli.

Sebbene ciascuna di queste insurrezioni meriti studio e analisi individuali e approfonditi, la situazione libica è a mio parere quella che, per la sua pertinenza, deve essere compresa dalle forze rivoluzionarie del mondo. L’attuale conflagrazione in Libia offre infatti delle lezioni di critica importanza su cosa fare e cosa evitare quando si conduce una lotta rivoluzionaria. La più centrale di queste lezioni s’incentra sull’importanza del fare affidamento sulle proprie forze per assicurare il successo delle lotte per l’ autodeterminazione, la sovranità nazionale e i diritti democratici. La storia illustra in maniera dolorosa che le forze politiche che aspirano a cambiamenti rivoluzionari e che non considerano l’affidamento sulle proprie forze una questione di prioritaria importanza in tutti gli aspetti del loro operare finiscono per non determinare il proprio destino. Le forze che non aderiscono a tale principio tipicamente gravitano verso l’opportunismo e cercano scorciatoie per arrivare alla vittoria. Ma le scorciatoie non servono a costruire l’organizzazione, né a sviluppare la base politica, o a trasformare la coscienza. Nella maggior parte dei casi le scorciatoie rendono più audace la controrivoluzione e inevitabilmente portano alla sconfitta. E peggio ancora, aprono la porta a “giocatori” meglio organizzati o più potenti nel quadro internazionale, i quali finiscono poi per dettare e determinare il risultato delle lotte.

Nel tentativo di deporre il governo di Gheddafi, l’opposizione libica ha violato il principio di fare affidamento sulle proprie forze e ha fatto un patto col diavolo che ne ha probabilmente determinato in maniera ineluttabile il destino. Nel fare appello all’intervento di forze esterne per ottenere importanti obiettivi strategici – in questo caso fornire la superiorità nello spazio aereo, intelligence militare, armi e addestramento (tutto ciò chiaramente in violazione della risoluzione ONU 1973)- l’opposizione libica ha preso una scorciatoia di cruciale che può soltanto condurre verso una vittoria pirrica. La “no-fly zone” amministrata dall’ONU e dalla NATO, sotto la bandiera della legittimazione dell’ONU, non solo cambia l’equilibrio totale delle forze in questa lotta, ma ha assicurato che alla fine sarà l’imperialismo a determinarne il risultato secondo i propri desideri e/o esigenze strategiche, perché i favori non si fanno mai gratis. Nonostante le confuse affermazioni sulla natura dell’opposizione, particolarmente da parte di un certo numero di forze della sinistra, la leadership dell’opposizione è nelle mani di importanti elementi fuoriusciti dal regime di Gheddafi che in maniera opportunista l’hanno abbandonato nella speranza di amministrare il proprio feudo con la sponsorizzazione imperialista. L’imperialismo farà in modo che qualsiasi nuovo regime libico sia un nuovo stato neo-liberale che continuerà a mantenere aperti i rubinetti del petrolio, che accetterà l’ulteriore privatizzazione di alcuni aspetti della produzione dello stesso, e che sarà completamente al servizio delle esigenze economiche e politiche del capitale transnazionale. Per l’opposizione, e più importante, per il popolo libico, questo significa che nel migliore dei casi ci saranno “elezioni democratiche” sotto approvazione e monitoraggio dell’ONU che serviranno solo a sostituire un regime fantoccio per un altro.

Per essere giusti con l’opposizione libica, l’opportunismo e i ripieghi di convenienza a cui hanno fatto ricorso nell’appellarsi all’appoggio militare degli USA e della NATO sono in parte il risultato della sua insufficiente organizzazione e unità politica. L’opposizione libica non è una realtà consolidata: nel migliore dei casi si tratta di un patchwork di forze miste ed incongrue, che sono state unificate dalla particolare circostanza delle rivolte popolari nel nord Africa del 2011. In tutta probabilità non tutte le forze all’interno dell’opposizione sostengono gli aiuti e l’intervento dell’imperialismo. Esisterà pure un certo livello di coscienza dei pericoli costituiti dall’intervento imperialista, emerso chiaramente espresso nelle dichiarazioni iniziali secondo le quali l’opposizione non vuole “stivali occidentali sul suolo libico”. Gli avvertimenti di questa fazione dell’opposizione sono stati comunque minimizzati e alla fine scartati, ora che la CIA e altre forze speciali degli imperialisti operano apertamente sul suolo libico (e probabilmente erano presenti sin dall’inizio).

Nonostante la disparità delle esperienze e la varietà degli orientamenti politici tra le forze dell’opposizione, esiste un orientamento e una leadership predominante visibili e promossi, e sono questi che al momento stanno conducendo la rivolta libica sulla strada senza sbocco della sottomissione a e della dipendenza dall’imperialismo. Possiamo soltanto sperare che questa leadership sbagliata non sarà talmente infida da seguire il sentiero intrapreso da tante altre forze opportuniste nella storia, cioè quello di liquidare il suo fianco sinistro dopo aver ottenuto le redini dello stato, eliminando così la possibilità di una resistenza anti-imperialista e le rivendicazioni di una giustizia trasformativa reale. Lo spettro della liquidazione della sinistra, con gli esempi che si sono avuti in Indonesia, Iran, Etiopia, Sudan, Siria, Messico, Nigeria, Zimbabwe, Kenia, Egitto e molti altri stati non deve essere sottovalutata. Per proteggersi da tale involuzione è imperativo che le forze rivoluzionarie all’interno dell’opposizione si consolidino e si preparino a condurre una lotta protratta su tre fronti contro il regime di Gheddafi, contro le forze reazionarie e collaborazioniste che operano nel Consiglio Nazionale Transitorio, e, più importante, contro l’imperialismo e i suoi innumerevoli tentacoli.

Nella lotta rivoluzionaria non si può evitare o cercare di aggirare l’importanza dell’affidamento sulle proprie forze. Mentre i tentativi di sfruttare tatticamente e a proprio vantaggio le contraddizioni tra gli imperialisti fanno certamente parte della strategia rivoluzionari, in un’epoca come la presente in cui il governo statunitense fa da organizzatore principale ed è quello che dà forma alle alleanze che eseguono i dettami del capitale transnazionale, esistono ben poche rivalità interimperialiste da sfruttare in maniera sostanziale. Sebbene esistano molte facce e manifestazioni dell’imperialismo – alcune sembrano di natura regionale, come nell’Unione Europea, altre emergono durante iniziative frontali unitarie, come quella ad Haiti tra USA, Francia e Canada, altre ancora si manifestano in schieramenti che sembrano essere contrapposti, come i paesi del BRIC e quelli del G8, nessuna di queste alleanze costituisce ancora una sfida aperta all’egemonia USA. Ci auguriamo che l’opposizione libica, e tutte le forze oneste all’interno delle rivolte popolari africane ed arabe, assimilino le dure lezioni che la storia ci ha insegnato sulla necessità di fare affidamento sulle proprie forze e di non cadere nella trappola di un opportunismo dalla vista corta utile solo a consentire all’imperialismo di deformare il processo rivoluzionario e distruggere il suo potenziale di trasformazione.

Traduzione di Pina Piccolo

 

*Kali Akuno è il cordinatore nazionale del Malcolm X Grassroots Movement (MXMG)

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