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Il “punto zero” di Asor Rosa

Avevamo guardato stupefatti la “logica binaria” in cui s’era adagiata Rossana Rossanda, da sempre una delle menti analitiche più lucide della sinistra italiana, alla prova della guerra in Libia.

Oggi ci tocca ripetere l’esercizio con Alberto Asor Rosa su un punto altrettanto decisivo: i limiti operativi della democrazia formale. Quand’è che uno stato democratico, per difendersi o essere difeso, può rinunciare al suo sistema di regole e autorizzare una “mossa” di forza, che risolva uno stallo, che rimuova l’anomalia che lo va distruggendo? La domanda è antica quanto la democrazia, perché ogni “sistema di regole” si trova davanti situazioni per cui quelle regole non erano pensate. Oppure, in fisiologia, il “punto cieco” della retina. O, se volete pensare informatico, ogni procedura risolutiva di problemi noti prima o poi entra in loop; e chiede un reset.

Il loop di Asor Rosa è anche il punto zero del pensiero di centrosinistra italiano. Un tipo particolarmente povero di “logica binaria” che ha assunto la tattica del “meno peggio” come l’unica strategia praticabile in ogni tempo, in ogni luogo e davanti a qualsiasi avversario. Sul piano politico, questa logica ha prodotto una vasta serie di formule-contenitore sempre uguali: uniamoci tutti per battere Berlusconi, poi vedremo cosa bisogna fare per governare e migliorare questo paese, la vita della sua gente, restituire qualche speranza alla sua gioventù. Per riuscirci, specie noi “di sinistra”, dovremmo tacere, derubricare i nostri valori, nascondere l’alterità del nostro pensiero, accettare le priorità altrui; anzi, dateci un programma e un candidato “centrista”, così facciamo anche prima e “vinciamo” di sicuro.

Una strategia sistematicamente perdente, nonostante due vittorie elettorali (insomma, una e ‘na ‘nticchia) che non sono neppure servite a impostare – “furbescamente” – la soluzione di quel che era ed è l’architrave del potere berlusconiano: il conflitto di interessi, l’indistinguibilità tra azione di governo e azione privata, tra bene pubblico e bene personale, che ora si concentra nella “distruzione della giustizia” (e solo secondariamente “dei giudici”).

Un loop che, al punto zero asor-rosiano, veniva di solito scherzosamente rinchiuso nella battuta: “piuttosto che tener lì Berlusconi, voto anche una sedia vuota”. Sorriso, senso di finezza intellettuale, riposo. Intanto gli eversori scavavano voragini nel tessuto sociale, minavano i ponti delle relazioni sociali e industriali, avvelenavano i pozzi del senso comune costruendolo – alla maniera neocon ben descritta ieri da Lucio Caracciolo su Repubblica (https://www.contropiano.org/it/archivio-news/documenti/item/744-il-collasso-dellinformazione) – a propria immagine e somiglianza.

Quando infine tutto il sistema di regole istituzionali e costituzionali sembra crollare sotto i colpi di maglio di una maggioranza di munnizza acquistati a un tanto al voto, ecco che la battuta della “sedia vuota” si rivela più vuota della sedia. E quando ti scopri solo in una situazione pericolosa, come ogni cittadino ben nato, chiami i carabinieri. Sperando – ma la storia del dopoguerra qualche cautela dovrebbe suggerirla – che siano “sempre fedeli” alla Costituzione e non invece al potere di turno. Dal “Piano Solo” al solitario, in poco più di 40 anni.

In sostanza, quando il sistema di regole non tiene più, la parola passa alle “mosse non convenzionali”. E la forza sostituisce la legge per statuirne una nuova o ripristinare l’antica. Ma quali interessi sociali e quali forze possono agire su questo piano? Qui, il lontano autore di Scrittori e popolo si ferma e chiede aiuto. Non può più andare avanti, con le categorie che usa.

Il punto zero asorrosiano è quello dell’impotenza di un non pensiero politico: “cambiare il mondo non si può, meglio assecondarlo smussandone i lati spigolosi”. Ma è arrivata una crisi sistemica di proporzioni mai viste e non ancora misurate, come la radioattività di Fukushima o lo sciame di terremoti nipponici. La realtà presente è fatta tutta e solo di spigoli. Dovunque si metta mano, il rischio è di ferirsi. Intanto, manovrando concetti. Un po’ di approssimazione in meno sarebbe consigliabile, prima di azzardare il lancio di “indicazioni politiche” suicide.

Se la politica – come pensiamo – è fatta di soggetti sociali, configurazione di interessi, corpi intermedi, organizzazioni e progetti espliciti, beh, il punto zero di Asor Rosa rischia d’essere solo la certificazione di una resa intellettuale, prima che politica. Con cui nessuno vuole avere a che fare.

Un “eversore culturale” di professione, come l’ex piccì po prestato alla Cia, Ferrara Giuliano, l’ha capito al volo. E utilizzato.

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