Menu

Pensioni, la cassaforte “prendi e taglia”

 Segnaliamo tra l’atro la solita acuta “analisi concreta della situazione concreta” fatta da Massimo Mucchetti, sul Corriere. Che egnala almeno due cose: l’introduzione della “previdenza complementare” ha portato via risorse all’Inps, che anche così sfiora il pareggio di gestione. Se si permettesse ai singoli di scegliere se versare il Tfr all’Inps piuttosto che “alle casse private”, entrerebbero nell’istituto pubblico altri 8-10 miliardi l’anno. Portandoli clamorosamente in positivo.

Secondo. Il problema fondamentale di “tenuta” dei conti previdenziali dipende dal ritmo di crescita dell’economia e dell’occupazione, quindi della platea dei cotribuenti. Aggiungeremmo anche dal livelo dei salari, visto che i contributi sono in proporzione allo stipendio. Se non si cresce le entrate dell’Inps diminuiscono, mentre le uscite (hanno caricato sul suo conto anche la cassa integrazione, che è invece una misura “a sostegno delle imprese”, che dovrebbe qundi andare a carico della fiscalità generale) aumentano.

In terzo luogo, l’evasione contributiva è ancora alta. Un controllo più capillare ed efficace – meno “conciliante con le imprese – darebbe un gettito assai maggiore.

M, come diciamo nel titolo, il monte pensioni non è un problema per il paese. E’ una cassaforte da cui ogni governo di incapaci cerca di trarre le risorse per tamponare le propri “diseconomie”.

*****

Per le pensioni rosa l’età comincia a salire dal 2012. Trattamenti di vecchiaia allineati a 67 anni nel 2025

di Marco Rogari

 

ROMA. Anticipo dal 2014 al 2012 della stretta sulle pensioni rosa nel settore privato. Questa dovrebbe essere l’unica vera novità dell’intesa raggiunta tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi sul pacchetto previdenza da presentare oggi a Bruxelles, che conferma il progressivo innalzamento a 67 anni nel 2025 della soglia di vecchiaia per tutti i lavoratori.

Un innalzamento dovuto a tutti gli interventi adottati negli ultimi anni, a cominciare dall’aggancio all’aspettativa di vita del momento dell’effettivo pensionamento e del ricorso alle finestra unica per le uscite, che a regime fanno lievitare di fatto di due anni il limite di vecchiaia dei 65 anni fissato dal nostro sistema previdenziale. Nessuna novità invece sulla “anzianità”, anche se fino a tarda notte si è cercata una mediazione sul ripristino dello scalone Maroni o, in alternativa, su un meccanismo di incentivi (e possibilmente disincentivi) per favorire il rinvio dei trattamenti anticipati.

Sulle anzianità la Lega ha imposto il suo stop. Nella lettera di intenti destinata alla Ue, che il premier ha limato fino a tarda notte, non sarebbero stati esplicitati nuovi interventi sulla previdenza, anche se sarebbe stata lasciata aperta la porta a qualche correttivo, come ad esempio quello sulle pensioni rosa. Anche in questo caso però la Lega ha continuato a resistere.

Bossi ha cercato in tutti i modi di bloccare il tentativo, proposto da Palazzo Chigi e dal Pdl, di anticipare al 2012 il meccanismo previsto dall’ultima manovra estiva per far salire gradualmente (dal 2014) a 65 anni (nel 2026) la soglia di pensionamento delle donne del settore privato. Ora il punto di arrivo verrebbe anticipato al 2025 per garantire il perfetto allineamento con i 65 anni previsti per gli uomini. Questo “limite” per effetto del meccanismo sull’aspettativa di vita e della finestra unica salirebbe per tutti i lavoratori pubblici e privati a 67 anni, ovvero allo stesso livello già fissato, in parte sempre con un percorso graduale, da Spagna e Germania. Proprio gli interventi per alzare l’età di vecchiaia e per rafforzare la sostenibilità del sistema previdenziale italiano, più volti apprezzati dalla Commissione europea, verrebbero sottolineati nella lettera d’intenti del premier.

Tutto fermo invece sulle anzianità, anche se la questione, dopo i ripetuti no pronunciati da Bossi, è stata nuovamente affrontata in ultimo vertice notturno a palazzo Grazioli.Per tutta la giornata di ieri Silvio Berlusconi ha provato a convincere lo stato maggiore leghista della necessità di mettere nero su bianco misure per giungere all’abolizione dei pensionamenti anticipati. Ma Bossi ha rinnovato il suo stop all’ipotesi di giungere rapidamente a quota 100 (somma tra età anagrafica e contributiva), ovvero al superamento dei trattamenti anticipati. E ha anche bloccato il tentativo di ripristinare almeno parzialmente lo scalone Maroni anticipando quota 97, vincolata al pensionamento con meno di 62 anni di età, al 2012. Il Carroccio ha ripetuto la sua assoluta contrarietà a toccare gli assegni di anzianità raggiunti con il solo canale dei 40 anni di contribuzione.

L’unica disponibilità concessa dalla Lega è stata quella ad affrontare il capitolo degli incentivi per favorire il rinvio dei trattamenti anticipati, ed eventualmente di vecchiaia, rispolverando di fatto il bonus ideato da Roberto Maroni quando era ministro del Welfare. Nel tardo pomeriggio, però questa opzione è stata scartata per il timore di una bocciatura della Ue e anche per l’incertezza su eventuali sovracosti. Non a caso Bossi in serata ha garantito che non ci sarebbe stato alcun intervento sulle anzianità. Non tutte le porte sarebbero però state chiuse dalla Lega. Qualche chance, se proprio dovesse essere necessario, potrebbe averlo l’anticipo al 2012 del dispositivo riguardante l’aggancio all’aspettativa di vita dell’effettivo momento del pensionamento.

Il Carroccio, da parte sua, ha caldeggiato una stretta decisa sugli assegni di reversibilità e invalidità e si è di mostrata pronta a dare il via libera ad un eventuale prelievo (di solidarietà) sulle circa 500mila baby pensioni ancora in pagamento. Dalla Lega sarebbe arrivata anche una cauta disponibilità a discutere di un eventuale estensione del metodo contributivo, a discapito del retributivo, per il calcolo delle pensioni anche se senza penalizzare i trattamenti di anzianità.

*****

 

*****

 

Galapagos
PENSIONI
Sparare (e pescare risorse) nel mucchio è più facile

 

La verità l’ha detta ieri mattina in tv Guido Crosetto: le pensioni non sono un problema e non c’è da rattoppare squilibri finanziari. E allora, perché si toccano le pensioni? Perché lì c’è «ciccia» in abbondanza e nel mucchio è più facile, oltre che sparare, anche pescare risorse, anche se i leghisti si oppongono.Non tanto all’innalzamento dell’età delle pensione di vecchiaia quanto per la modifica delle pensioni di anzianità. Ma non è certo un problema di giustizia sociale che spinge la Lega a tenere duro sulle pensioni di anzianità; è solo un problema di «bottega»: oltre il 65% di queste pensioni sono pagate a ex lavorati del Nord. I dati Inps sono chiari: i 2/3 delle circa 4 milioni pensioni di anzianità sono pagate al Nord. CONTINUA|PAGINA 4 Oltre un milione di queste pensioni sono pagate in Lombardia, anche se è il Piemonte la regione nella quale il rapporto tra la popolazione e i pensionati di anzianità è più alto: 100 assegni, ogni mille abitati. In Campania e Calabria il rapporto tra pensioni di anzianità e abitanti è quattro volte inferiore a quello del Piemonte. Ovvero 25 assegni ogni 1000 abitanti.
Le pensioni di anzianità sono, quindi, un «problema» al Nord. Capire perché non è difficile: al Sud trovare lavoro per i giovani è difficilissimo è il lavoro nero la norma; al Nord trovare lavoro nelle fabbriche e fabbrichette è estremamente facile e si comincia a lavorare anche a 16 anni o, al massimo, a 19 anni appena conseguito il diploma in uno dei tanti istituti tecnici professionali. E non è un lavoro in nero: al massimo si dovrà fare la trafila di alcuni anni di apprendistato. Questo spiega perché moltissimi lavoratori al Nord maturano il diritto alla pensione di anzianità (con 35 anni di contributi) abbastanza presto, con meno di 60 anni. Nel 2004 fu varata una riforma preparata da Maroni che introduceva uno «scalone» (un aumento improvviso) per poter percepire la pensione di anzianità: almeno 35 anni di contributi e almeno 60 anni (anziché 57) di età anagrafica. Con il centro-sinistra, lo «scalone» fu trasformato in scalini: ovvero i 60 anni di età anagrafica maturavano progressivamente. A regime la quota (somma di età e contributi) matura dal primo gennaio 2013, mentre per il periodo primo gennaio 2011-31 dicembre 2012 la quota è stata fissata a 96. Il che significa che per percepire la pensione di anzianità bisogni avere non meno di 60 anni e almeno 36 anni di contributi. Nel frattempo il governo ha anche varato un sistema di «finestre» che obbligano il lavoratore a andare in pensione a scadenze precise. In generale alcuni mesi più tardi di quando matura il diritto. Con l’ipotesi di ritorno dello scalone, sarebbe anticipata di un anno la riforma che per legge andrebbe a regime nel 2013. Risultato: un lavoratore che maturava il diritto il 30 giugno 2012 (con 36 anni di contributi a 60 anni di età) ora potrà andare in pensione solo (viste le finestre) nel luglio del 2014 con 38 anni di contributi e a 62 anni.
Di più: i lavoratori nati nel 1952 rischiano di lavorare oltre tre anni e mezzo in più rispetto a quelli nati nel dicembre del 1951. Effetti ancora più devastanti per le donne. Con il paradosso che tra mamma nata nel 1946 e figlia nata nel 1966 potrebbero essere necessari fino a 21 anni e mezzo di lavoro in più e un divario di età per l’uscita che può superare i 27 anni. È evidente che modificare il regime di pensionamento anticipato produce sperequazioni enormi. Ne vale la pena? Certamente no. In alternativa il governo dovrebbe cercare risorse in altre direzioni. La strada più semplice è quella di una imposta patrimoniale o di una imposta sulle grandi ricchezze. Ma per Berlusconi sono fumo negli occhi.
*****
dal Corriere della sera

 

La nostra previdenza, i conti dell’Inps – Ecco i conti delle nostre pensioni, nel 2012 l’Inps chiuderà in rosso

di Mucchetti Massimo

 

Non si è ancora l 31 depositato il polverone sollevato da Silvio Berlusconi con la proposta di non mandare più nessuno in pensione prima dei 67 anni, che comincia a circolare il preventivo 2012 dell’Inps in rosso per 736 milioni, un disavanzo della gestione finanziaria di competenza doppio rispetto al preconsuntivo 2011 e ancor più rispetto al bilancio 2010, che avrebbe dato un sostanziale pareggio senza la svalutazione di vecchi crediti inesigibili per 4 miliardi.

La manovra sulle pensioni s’intreccia, dunque, con la dura realtà di un Paese stagnante. Ed è probabile che, alla prova dei fatti, il disavanzo dell’anno prossimo si riveli maggiore, non foss’altro perché il preventivo si basa sulle assunzioni macroeconomiche di maggio, peggiorate a settembre.

L’annuncio del premier è ancora generico. L’innalzamento dell’età pensionabile e il conseguente annullamento delle pensioni di anzianità possono avvenire in una notte, in 12 mesi o in 20 anni. In Germania, per capirci, al traguardo dei 67 anni si arriverà nel 2029. In Francia si fatica a salire da 6o a 62 anni. In Italia l’età per la pensione di vecchiaia, ormai legata alle aspettative di vita, è destinata a crescere a ritmi tedeschi. Ma restano i trattamenti di anzianità, che assorbono gran parte della spesa pensionistica.

Prima di decidere si vorrebbe sapere qualcosa di più impegnativo delle simulazioni ufficiose di fonte Inps. Ne riferiamo comunque due: a) sospendendo una tantum dal 2012 ai 2014 la pensione di anzianità anche a quanti ne abbiano maturato il diritto nei 2011, l’Inps risparmierebbe 11,6 miliardi in 3 anni a carico di 386 mila pensionandi, escluse quindi le persone in mobilità o reduci da lavori usuranti; b) se invece si decidesse di innalzare l’età pensionabile, superando definitivamente il criterio dell’anzianità, ed elevando la soglia fino ai 70 anni e 3 mesi nel 2022, avremmo risparmi che salgono rapidamente fino a 7,4 miliardi nel 2022 e poi, naturalmente, aumentano ancora per l’effetto cumulo. La riduzione della spesa pensionistica rispetto al Pil, ottenuta per tale via, passerebbe dallo 0,02% allo 0,33% nel 2022 fino all’1,3% dei 2050. E’ tanto? Dipende: 1’1,3% è più o meno l’attuale impatto dell’accantonamento annuale al Tfr sul Pil che Eurostat include, sbagliando, nella spesa pensionistica.

La questione previdenziale si presta alla lotta politica. In Italia si va in pensione di anzianità in media a meno di 59 anni; si tratta di meno di 150 mila persone l’anno. L’età, in effetti, è bassa. Ma anche il numero degli interessati, comprendendovi pure quanti sono vicini al traguardo, non è enorme. La Lega impugna lo spadone. La sinistra radicale pure. Nel Pd non si vorrebbe sostenere un premier a fine corsa. E tuttavia, sulla carta, chi facesse dell’anzianità un totem intoccabile e al tempo stesso coltivasse ambizioni di governo rischia la stessa fine della Cgil e del Pci che, credendosi maggioritari, persero la sfida referendaria con Craxi sulla scala mobile. Ma Silvio non sembra Bettino.

La manovra sulle pensioni, in realtà, andrebbe giustificata in funzione sia dei conti pubblici sia di quelli previdenziali. Com’è noto, i contributi vengono consolidati dallo Stato come ricavi. Va bene l’anzianità, ma non c’è anche dell’altro da fare? Ora, la previdenza complementare dirotta fuori dal bilancio pubblico 5-6 miliardi l’anno. Dopo una ventina d’anni di esperienza, s’imporrebbe un check up. E magari andrebbe considerato se non sia il caso di dare la facoltà di versare all’Inps il Tfr oggi riservato ai soli fondi pensione. Si avrebbe un flusso annuo di 8-10 miliardi, destinato a migliorare le prestazioni in regime contributivo.

Conti previdenziali. Vale la pena di ricordare che il budget 2012 considera un recupero dell’evasione contributiva di almeno 5 miliardi. Ma Equitalia, oltre a colpire, educa. Nei primi 9 mesi del 2011, l’Inps ha aumentato le entrate del 2,2% quando il monte salari è calato dello 0,7% e il numero dei lavoratori contribuenti è sceso del 2,7%. È vero, c’è stata meno cassa integrazione. È stato più forte il contrasto delle truffe. Ma migliora anche la lealtà contributiva. E tuttavia proprio questi dati illuminano le difficoltà della gestione ordinaria, per quanto efficiente, quando la crescita ristagna sotto 1’1,5%.

L’alternativa, ai fini della sostenibilità dei conti dell’Inps, sarebbe il passaggio accelerato dal sistema retributivo al contributivo per tutti. Ma siccome non esistono i miracoli, l’entità delle pensioni prossime venture sarebbe così più bassa e si vedrebbe prima la modestia delle pensioni future delle nuove generazioni. Si dovrebbero versare più contributi all’Inps o ai fondi pensione privati. Ma come farlo se il reddito cala e il posto è incerto?

 


- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *