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Siria. informazione di guerra

Secondo i media internazionali, quelli che non hanno corrispondenti sul posto ma influenzano migliaia di media locali in tutto il pianeta, ieri in Siria ci sarebbero stati decine, se non centinaia di morti. Il canale ‘all news’ Rai News, questa mattina apre i suoi notiziari affermando che “ieri a Damasco ci sono stati 112 morti nella repressione governativa delle manifestazioni, compresi inevitabilmente alcuni bambini. Lo affermano fonti dell’opposizione”. E poi? C’è qualche conferma da parte di fonti indipendenti locali? C’è qualche giornalista occidentale che si trova in Siria che possa testimoniare delle stragi di ieri? Non è dato sapere… Come per i primi giorni della rivolta di Bengasi contro Gheddafi, a trasformarsi in titoli da prima pagina sono i brevi e incontrollabili post su Facebook e su Twitter di qualche ‘blogger’ locale. Che poi, magari, vive a Londra o a Washington o a Dubai. E che scrive non quello che sa o che ha visto, ma quello che qualcuno gli ha raccontato o più semplicemente quello che va detto affinché i media del mondo possano avviare una campagna univoca fatta di ‘si dice’, ‘sembra che’ ecc. Le forze dell’opposizione, è ovvio, hanno tutto l’interesse ad amplificare i numeri della repressione. E’ nell’ordine delle cose. Ma dovrebbe essere anche nell’ordine delle cose che un giornalista controlli una notizia prima di spararla da una tv, da un sito internet, da una radio o da un quotidiano.
Come dicevamo sono pochissimi i media che hanno voluto o sono riusciti a mandare un corrispondente a Damasco. Perché quello siriano è un regime poliziesco e autoritario e non ama i ficcanaso. Ma anche perché per i giornali o influenti catene televisive come Al Arabiya, Al Jazeera o la Cnn non importa molto il reperimento diretto e incrociato delle notizie da divulgare. Anche molti media schierati a sinistra non stanno facendo eccezione, e come già avvenuto per la Libia, anche per la Siria si parla di stragi, di manifestazioni pacifiche, di opposizione e di repressione, senza preoccuparsi molto di analizzare la veridicità delle diverse fonti e di mettere insieme elementi storici, politici e geopolitici che comporrebbero altrimenti un quadro assai meno schematico e semplicistico rispetto a quello binario ‘dittatore vs opposizione democratica’. Che quello siriano sia un regime, lo ripetiamo, è certo. Che abbia fatto ricorso spesso alla repressione, agli arresti arbitrati, alla tortura dei dissidenti è altrettanto certo. Ma è certo anche che da anni le amministrazioni di Washington, Tel Aviv e Riyad si stiano adoperando, con tutti i mezzi a loro disposizione, per far saltare un regime – quello di Damasco – poco incline a piegarsi ai loro interessi. Così come è certo che le cosiddette ‘opposizioni democratiche’ che scendono in piazza da settimane in Siria spesso fanno riferimento a forze dell’estremismo islamico a volte anche legate ai Salafiti quando non a lobby di stanza a Londra e Washington o addirittura a pezzi del regime stesso caduti in disgrazia dopo faide interne finite per loro male. E’ possibile che una notizia bomba diffusa da Wikileaks – gli ingenti finanziamenti dell’amministrazione Bush prima e di quella Obama dopo all’opposizione siriana – sia stata presto accantonata dai media? Grazie a delle comunicazioni tra pezzi dell’amministrazione USA (segrete, ma pubblicate dal sito di Assange e poi riprese dal Washington Post) è emerso come finanziamenti per almeno 6 milioni di dollari, se non di più, siano stati autorizzati da Washington per sostenere gruppi politici e attività antigovernative in Siria. Tra le altre, anche quelle di Barada Tv, una televisione di esiliati siriani basata a Londra. I principali beneficiari dei finanziamenti USA sarebbero i ‘dissidenti’ riuniti nel Movimento per la Giustizia e lo Sviluppo, anche questo con sede a Londra. Uno sparuto gruppo che però, grazie ai biglietti verdi ottenuti da Washinton, ha potuto mettere su una tv satellitare, Barada Tv, tramite la quale aizzare e disinformare la già scontenta popolazione siriana. Una popolazione scontenta per la crisi economica e per la disoccupazione, causate in qualche modo proprio da quelle aperture all’economia di mercato e alle liberalizzazioni che il regime siriano ha adottato per venire incontro alle pressioni della cosiddetta ‘comunità internazionale’ e che ha impoverito i settori più deboli della società siriana. Un malcontento che, come spesso avviene nel mondo arabo, ha assunto la forma di una disputa religiosa, con i gruppi della cosiddetta opposizione che soffiano sul fuoco in un paese che, nel bene e nel male, ha sempre assicurato la pace e la convivenza tra le varie comunità: sunniti, cattolici, ortodossi, maroniti ecc. E così, aizzati dai gruppi estremisti foraggiati dalle petromonarchie del Golfo o dai gruppi dell’esilio dorato di Londra, alcuni settori della popolazione siriana hanno cominciato a denunciare quella che viene descritta come la dittatura laicista degli alauiti di Assad sostenuti dai cristiani. Strano paradosso quello di chi in Italia addossa la colpa del degrado della nostra società al monopolio televisivo berlusconiano e poi non riconosce gli stessi meccanismi manipolatori nell’opera quotidiana di disinformazione delle più potenti tv del Qatar o dell’Arabia Saudita…

Anche un sito solitamente ben informato come Peacereporter cade nella trappola dello schema binario, secondo il quale se Assad è un dittatore chi gli si oppone non può che essere democratico. Di seguito riportiamo la spigolosa corrispondenza di ieri di Peacereporter scritta da Noemi Deledda (che comunque ha almeno il pregio di essere stata scritta da Damasco):

“In questi giorni la televisione siriana va avanti trasmettendo immagini da Lattakia, Homs e Damasco della serie: Suriyya al-iawm (Siria oggi). Immagini attraverso le quali il telespettatore può ammirare le bellezze, la gastronomia e gli antichi mercati di queste città.
Le stesse città dove in questi giorni le forze di sicurezza – una delle quattro agenzie di controllo e repressione del regime siriano – hanno provocato bagni di sangue nella dura repressione contro i manifestanti che a gran voce scandiscono l’ormai celebre slogan: “Il popolo vuole la caduta del regime”. Mentre WikiLeaks, il regime e alcuni media puntano il dito contro alcuni gruppi salafiti, finanziati dall’Arabia Saudita, responsabili di terrorizzare i cittadini, in realtà nessuna accusa diretta da parte di Bashar al Assad è stata fatta contro il re saudita. Anzi questo ultimo ha anche telefonato il presidente siriano per ricordargli tutto il suo sostegno.
L’analista siriano Bassem Haddad aveva ricordato ieri in un’intervista sul sito al-Jadaliyya che “in realtà affermare che gli Stati Uniti finanziano l’opposizione non è scoprire niente di nuovo, in quanto aiuti finanziari all’opposizione stanno arrivando dal 2005 in Siria e che peraltro, cospirazione o meno, le richieste del popolo siriano sono sempre piu legittime in quanto stanco del regime Baath”.
Il discorso settario, invocato in prima linea da Bashar al Assad, sembra dare i suoi frutti. A Homs, teatro di scontro tra bande armate e forze di sicurezza siriana, sono stati tre i poliziotti uccisi e altri feriti. Se per molti qui queste “bande armate di fanatici islamici” che hanno cominciato a invocare il jihad (la guerra santa) e uno Stato islamico (che poi nemmeno nel Corano esiste proprio perchè la nozione di Stato è moderna ndr) sono prodotti da un “nemico esterno”, (vedi Stati Uniti e Israele) per altri si tratta solo di propaganda da regime.
Si fanno sempre piu numerose le voci, anche se restano minoritarie, che vedono proprio nel regime di Assad il “regista” di queste “squadre delle morte” a tutti gli effetti. Queste ultime che avrebbero almeno due obiettivi principali: creare una tensione settaria soprattutto tra cristiani (12% della popolazione) e alawiti (10% della popolazione) contro il pericolo dell’integrismo “sunnita”, e mascherare il vero senso di queste rivolte che é quello di richiedere ancora una volta: Pane, libertà e lavoro. Se cosi fosse gli obiettivi di questa propaganda stanno andando a gonfie vele: i cristiani si dicono terrorizzati e mostrano ad oltranza il loro sostegno a Bashar mentre sulla scena internazionale le voci di una cospirazione si fanno sempre piu’ numerose anche perché a nessun attore internazionale e arabo giovirebbe una caduta del regime degli Assad”.

Il pezzo della Deledda liquida in poche righe le pressioni e le interferenze straniere di vari regimi – Arabia Saudita, USA e Israele – contro Damasco e ribalta contro alawiti e cristiani l’accusa di farsi strumentalizzare dal regime attraverso la classica carta della denuncia del ‘complotto esterno’. E accusa la comunità internazionale di non intervenire, chiedendo quasi, implicitamente, un intervento duro contro Damasco. Lo stesso appello sta venendo in questi giorni dal Tg3. A quale intervento si allude? Alle sanzioni, o anche ai bombardamenti?
Più equilibrata la corrispondenza di M. I. pubblicata da NenaNews, anche questa scritta da Damasco. Anche se i ‘si dice’ e i ‘sembra che’ anche qui abbondano…:

“Migliaia di partecipanti sono scesi in strada oggi a Daraa, Bania, Homs, Hama, Deir Al Zoor, Ain al Arab, Qameishi, Aleppo, in numerosi villaggi e nei sobborghi di Damasco (Duma, Harasta, Mohamaya, Darraya). Le forze di sicurezza hanno disperso le proteste con lacrimogeni, cannoni ad acqua ed in alcune situazioni hanno aperto il fuoco. Le agenzie internazionali parlano di vittime a Duma (sobborgo di Damasco), a Izraa (villaggio vicino Daraa), a Mohamadiya (altro sobborgo di Damasco), a Barzeh (sobborgo di Damasco), ad Homs. Secondo gli attivisti il numero delle vittime, fissato stasera ad almeno 60, é destinato a crescere. Inoltre molti feriti non si recano presso gli ospedali per le medicazioni per paura di essere identificati ed arrestati dalle forze di sicurezza.
Da parte sua  il sito dell’agenzia ufficiale SANA non riporta vittime, afferma che la popolazione non ha seguito i consigli del Ministro dell’Interno che aveva chiesto di non partecipare a manifestazioni e che le forze dell’ordine sono dovute intervenire con lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere le proteste al fine di proteggere i cittadini e la proprietà privata. Le notizie giungono ancora da filmati di manifestanti e testimoni oculari.
Ieri, con la firma del presidente Bashar al Assad, é stata ufficialmente adottata la legge che cancella lo stato d’emergenza. Allo stesso tempo é stato approvata la norma che regolamenta le manifestazioni pacifiche, per cui é necessario ottenere un’autorizzazione dal Ministero dell’interno 5 giorni prima, specificare il luogo, l’oggetto ed anche gli slogans delle manifestazioni.
La tensione in previsione della giornata di oggi era salita da giorni. Teatro principale delle proteste (20 vittime) é dalla scorsa settimana Homs, terza città della Siria, importante centro industriale, dove lunedì si era tenuto un sit-in nella centrale piazza dell’orologio che i manifestanti avevano rinominato “Tahrir square” in omaggio alla piazza della rivoluzione egiziana, piantando delle tende, disperso dalle forze dell’ordine.
Da lunedì sera l’esercito circonda Homs e da ieri carri armati sono appostati nel centro della città. L’esercito é presente anche a Banias e Daraa, le altre due città teatro delle proteste. Anche a Damasco ieri era aumentata visibilmente la presenza di forze di sicurezza. Nei dintorni della capitale, nei sobborghi dove nelle scorse settimane si sono registrati disordini come Duma, Harasta, Barzeh, la polizia hanno allestito posti di blocco.
Oggi il centro di Damasco era letteralmente deserto, con gran parte della popolazione chiusa in casa. Nelle vie adiacenti a piazza degli Abbasseen, grande rotonda vicina al centro, dove lo scorso venerdi’ le forze di sicurezza hanno disperso un corteo proveniente dai sobborghi di Damasco, si vedevano appostati ad ogni angolo bande di uomini in borghese con manganelli, bastoni elettrici e qualche fucile.
Damasco, con oltre quattro milioni di abitanti su una popolazione di 22 milioni di siriani, non ha visto scendere in piazza numeri significativi. Sono nei sobborghi della capitale, come Darayya e Mohamaya, si sono registrate proteste. Secondo un giovane, Munir: “molti degli abitanti di Damasco sono commercianti, parteggiano per lo status quo per non rovinare gli affari. Nel corso della storia Damasco non e’ mai stata conquistata e distrutta, ne’ dagli ommaiadi, né dagli ottomani. Scenderanno in piazza quando sara’ chiaro chi sara’ il vincitore”.
Con il passare delle settimane, gli slogan dei manifestanti si stanno trasformando da richieste di liberta’ e riforme alla domanda di un cambiamento di regime. Il fronte delle proteste appare variegato, molto legato al contesto delle varie localita’, ma con il tempo cresce la capacita’ organizzativa ed il numero dei partecipanti. Le concessioni del governo, anche se significative, non sembrano più in grado di soddisfare quella domanda di cambiamento radicale che sta emergendo, anche se a tratti confusamente.”

La collaboratrice di Lettera 43 Antonella Appiano, sempre da Damasco, si fa qualche domanda in più su quanto sta accadendo, e soprattutto si preoccupa di dar voce a quei settori della società siriana che forse non amano più di tanto gli Assad, ma che si chiedono se l’alternativa proposta dalle opposizioni non sia peggiore rispetto all’attuale status quo:

“La minoranza cristiana di Damasco e la parte moderata della città continuano a esprimere quindi il timore che la situazione possa precipitare e portare il Paese nel caos dell’Iraq o in una suddivisione simile a quella del Libano. Nella capitale, ora si parla con insistenza della presenza di gruppi armati salafiti, un ramo radicale dell’Islam sunnita. E della mancanza di leader e piani precisi nell’opposizione. Una tesi sotenuta anche da Bassam al-Kadi, che avevo intervistato all’inizio delle manifestazioni in Siria. «I gruppi su Facebook operano dall’estero», dice ancora Najar. «Dall’America. Dalla Gran Bretagna. Ma chi gestirà la transizione nel caso di un rovesciamento del governo? E come? No, non ho fiducia nei fuoriusciti. Seguo le dichiarazioni che fanno in Rete, dal loro mondo dorato all’estero».
E cita Ammar Abdulhamid, oppositore esiliato nel 2005, che oggi vive nel Maryland, negli Stati Uniti. «Lui, come gli altri, ingenui, minimizza il pericolo. Tante parole. Nessun piano concreto. La legge di emergenza non c’è più. Questo è un risultato concreto invece».
Ma sulle ultime decisioni delle autorità (la revoca dello stato di emergenza, l’abolizione dei tribunali di sicurezza dello Stato e l’autorizzazione a manifestare pacificamente) i pareri sono discordanti.
La città ancora una volta è divisa tra chi ritiene che «un passo importante sia stato fatto nella direzione di un cambiamento che porterà alla democrazia» e chi invece interpreta l’annuncio solo come un atto formale. Un giovane attivista che chiede di rimanere anonimo, dichiara: «Vogliamo la democrazia. Ora. Le riforme non bastano più»”.

Noi, da Roma, non siamo naturalmente in grado di offrire una versione sufficientemente esatta di quanto sta avvenendo in Siria. Però ci poniamo molte domande. Che servono a comprendere la realtà sicuramente di più rispetto al copia e incolla dalle veline dei media finanziati dalle petromonarchie feudali del  Qatar o dell’Arabia Saudita…

 

*- Radio Città Aperta

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