INVIATO A GAZA CITY
«È finita la guerra, è finita la guerra», urlavano felici ieri sera i figli di una delle famiglie che abitano all’Abu Ghalion Building di Rimal, dopo l’annuncio della tregua, a partire dalle 21 ora locale (le 20 in Italia), tra Israele e Hamas, fatto al Cairo dal segretario di stato Hillary Clinton e il ministro degli esteri egiziano Kamal Amr.
È un palazzo «ricco», sul lungomare di Gaza city, eppure anche questi bambini, figli della minuscola classe media locale, si sono visti negare per una settimana il diritto a giocare in strada, come tutti gli altri ragazzini della Striscia. Torneranno a calciare un pallone anche loro, almeno questo era ciò che ieri sera speravano i tanti palestinesi che regalavano dolci per festeggiare il cessate il fuoco, tra le raffiche esplose in aria in segno di felicità dai miliziani delle Brigate al-Qassam e i proclami di «vittoria» diffusi attraverso gli altoparlanti delle moschee. Anche all’ospedale «Shifa» ieri sera si regalavano dolcetti. Qui i medici ed infermieri per otto lunghissimi giorni, hanno dovuto soccorrere centinaia di feriti dalle bombe e dalla cannonate.
La tregua reggerà? Se lo domandavano in tanti mentre arrivavano le notizie di nuove morti in bombardamenti aerei, di distruzioni di infrastrutture, anche a Gaza city. Ieri è stata una carneficina di palestinesi, con il quotidiano tributo di sangue di decine di piccole vittime.
I raid dell’aviazione israeliana sono stati incessanti e sono andati avanti sino ad un minuto prima dell’inizio della tregua, facendo altri morti. Hanno tirato un sospiro di sollievo anche nel sud di Israele, dove in serata, prima della fine delle ostilità, sono caduti altri razzi sparati da Gaza.
Ad anticipare la notizia della tregua erano stati la televisione qatariota al Jazeera, il quotidiano di Tel Aviv Yediot Ahronot e una fonte di Hamas. Rispetto all’accordo raggiunto quattro anni fa dopo l’offensiva «Piombo Fuso» contro Gaza (dicembre 2008-gennaio 2009), la novità più significativa è l’impegno egiziano. A cominciare dal contrasto al traffico di armi attraverso i tunnel che collegano il Sinai al territorio palestinese.
Il rapporto Usa-Fratelli musulmani
Allo stesso tempo Israele dovrebbe garantire un allentamento dell’assedio alla Striscia e del blocco navale, a vantaggio dei pescatori palestinesi costretti da anni a gettare le reti entro le tre miglia marittine, in acque poco pescose, a causa delle intimidazioni ed imposizioni della Marina militare israeliana.
Dalle parole di Hillary Clinton emergeva ieri l’enorme responsabilità che Washington assegna al «nuovo» Egitto dominato dai Fratelli Musulmani, a garanzia del successo dell’accordo di cessate il fuoco israelo-palestinese. «E’ un momento critico per la regione – ha detto il segretario di stato – Il nuovo governo egiziano sta assumendo la guida e la responsabilità che a lungo ha fatto di questo Paese una pietra miliare per la stabilità e la pace». Nei prossimi giorni, ha aggiunto, «gli Stati Uniti lavoreranno con i partner regionali per consolidare questi progressi, migliorare le condizioni per la gente di Gaza e garantire la sicurezza per il popolo di Israele». Chiaro il riferimento alle alleate petromonarchie del Golfo, a partire dal Qatar, nuovo sponsor economico e diplomatico di Hamas. Washington evidentemente vede i Fratelli egiziani, «padri» del movimento islamico palestinese, in una sorta di ruolo di «guardiani» della sicurezza lungo i confini con Gaza e Israele, e «moderatori» di Hamas e degli altri gruppi islamisti che operano nella Striscia.
Netanyahu ha fallito
Gli israeliani da parte loro la responsabilità del rispetto dell’accordo la mettono solo nelle mani degli Stati Uniti. Il premier Netanyahu ha detto di voler «dare una possibilità» alla proposta di cessate il fuoco nella Striscia di Gaza presentata dalla mediazione egiziana, precisando di aver detto di «sì» al cessate il fuoco solo dopo aver avuto un colloquio telefonico con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. E dal suo volto tirato, si comprende che per Netanyahu l’offensiva «Colonna di Difesa» non ha portato i risultati che il premier credeva di poter raccogliere da un’operazione militare preparata per mesi, forse anni, nella quale ogni fase è stata curata nei minimi dettagli, con i piloti israeliani che grazie al lavoro di intelligence e alle informazioni passate dalla schiera di palestinesi collaborazionisti (Hamas ieri ha condannato l’esecuzione sommaria di sei presunti informatori compiuta l’altra sera nelle strade di Gaza city), avevano piani di volo e di attacco sempre pronti e che non hanno esitato ad eseguire con i risultati devastanti che abbiamo sui civili palestinesi.
Netanyahu voleva dare il colpo del ko all’ala militare di Hamas e ridimensionare lo status che il movimento islamico palestinese ha saputo conquistarsi nel mondo arabo-islamico in questo ultimo anno. Ha fallito il suo obiettivo. Avrebbe potuto conseguirlo solo con un’offensiva di terra. «La sconfitta per Netanyahu è rappresentata da un accordo di cessate il fuoco che lascia intatta la forza militare e politica di Hamas e non impone le regole del gioco dettate da Israele», ci ha detto ieri l’analista arabo Mouin Rabbani. «Questa offensiva militare, nella visione di Netanyahu, doveva ristabilire il potere di deterrenza di Israele. – ha aggiunto Rabbani – Un potere che è progressivamente svanito a Gaza di fronte ad un Hamas non più isolato come qualche anno fa. Netanyahu inoltre parla di un attacco a Tehran ma in realtà non sembra in grado di fermare il programma nucleare iraniano. L’Egitto dei Fratelli Musulmani anche se non mette in discussione gli Accordi di Camp David, comunque attua una politica regionale diversa, almeno in parte, da quella dell’ex presidente Mubarak». Infine, prosegue l’analista, c’è l’atteggiamento del presidente palestinese Abu Mazen, intenzionato a fine mese, nonostante l’opposizione di Israele e Stati Uniti, a presentare unilateralmente all’Onu la richiesta di adesione dello Stato di Palestina».
«Chi comanda nel quartiere»
Secondo Rabbani, Netanyahu è intervenuto con il pugno di ferro per ribadire «chi comanda nel quartiere, cioè in Medio Oriente, e non certo soltanto per fermare i lanci di razzi. Ma i risultati che ha ottenuto sono deludenti». Ciò spiegherebbe la rigidità mostrata martedì, quando l’accordo di cessate il fuoco era ormai concluso ma il premier ha fatto un passo indietro. Netanyahu e il suo ministro della difesa Ehud Barak perciò escono da questa offensiva ridimensionati, messi nella condizione di scegliere tra la sconfitta politica rappresentata dal cessate il fuoco e il rischio di gravi perdite in un’operazione terrestre dentro Gaza. Hamas al contrario ne esce rafforzato come immagine, paragonabile anche se in misura inferiore a quella di Hezbollah nel mondo arabo-islamico dopo la guerra del 2006. Come sei anni fa in Libano, Israele non è riuscito a bloccare anche solo per un giorno i lanci di razzi. Non solo, i gruppi armati palestinesi sono riusciti a sparare missili anche contro Tel Aviv e Gerusalemme. All’interno di Hamas si rafforza ulteriormente l’ala militare già forte che guarda con sfavore alla riconciliazione con il presidente dell’Anp Abu Mazen e che aveva spinto nei giorni scorsi per giocare la partita con Israele allo stesso livello strategico-militare.
I veri, unici perdenti di questa guerra sono civili. Fino all’ultimo hanno subito i lanci di bombe e missili. I mutilati sono decine. Tanti altri sono condannati alla disabilità in un territorio povero, senza risorse. Tra i morti di ieri ci sono Abdul Rahman Naem, 2 anni e alcuni adolescenti. Un tributo di sangue altissimo che paga un popolo sempre alla ricerca della libertà.
MESHAAL (HAMAS) «Israele ha fallito tutti i suoi obiettivi»
«Israele ha fallito tutti i suoi obiettivi, grazie a Dio». È quanto ha detto il leader di Hamas, Khaled Meshaal, dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco, rivendicando come i razzi di Hamas abbiano continuato a colpire (Israele, ndr) fino alla fine». Secondo Meshaal, Israele avrebbe fallito anche nel tentativo di «mettere alla prova l’Egitto del dopo rivoluzione». Per questo, il leader di Hamas ha espresso apprezzamento per l’opera di mediazione di Mohammed Morsy e del governo egiziano. «Non ha svenduto la resistenza e ha agito responsabilmente», ha detto ancora parlando dell’azione diplomatica del Cairo. Meshaal ha sottolineato che «tutte le richieste (di Hamas, ndr) sono state accolte». E ha continuato ribadendo come l’attacco israeliano sia «una aggressione crudele a cui è stato necessario rispondere per autodifesa». Infine, Meshaal ha ringraziato per «le armi e il sostegno finanziario fornito a Gaza» dall’Iran.
da “il manifesto”
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa