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Erri De Luca sul 15 ottobre

Come molti altri in questi giorni, rappresenta l’emergere dell’analisi e della riflessione dopo le ore del delirio mediatico e della schematizzazione politicista. Sempre più si alza la voce di coloro che segnalano la necessità di una presa d’atto: qualcosa sta succedendo in Italia e, da Piazza del Popolo a Piazza San Giovanni, i precari in rivolta non sono “black bloc”.

Per lo scrittore napoletano ieri sera al Bartleby di Bologna: “Le devastazioni nel centro della capitale sono danni collaterali. C’è una ragione molto più forte di quei danni. Una ragione che può oscurare i poteri costituiti”.

Tra una firma e un’altra di un autografo sul suo nuovo libro si ferma un po’ a pensare alla domanda postagli, dispensa un sorriso affettuoso a un suo giovane lettore, poi sentenzia: “La lotta armata. Quella legge ha incrementato la lotta armata. Il rischio è sempre quello di costringere a reagire”. Erri De Luca, lo scrittore napoletano in visita al centro sociale studentesco Bartleby di Bologna, non ha dubbi su quello che potrebbe significare la reintroduzione in Italia della legge Reale, proposta dal ministro Maroni e da Antonio Di Pietrodopo i fatti di Roma del 15 ottobre. Per lui, che da membro di spicco di Lotta continua non volle seguire le sirene del terrorismo quando il gruppo dell’extra-sinistra si sciolse, quella legge porterebbe solo a radicalizzare lo scontro, mettendo a tacere le piazze e rischiando di portare lo scontro su un altro piano.

Per De Luca l’obiettivo di chi fa proposte del genere dopo ciò che è avvenuto sabato non può che essere quello di oscurare ciò che sta avvenendo. Così, quando gli chiediamo delle devastazioni nel centro della capitale, lui le definisce così: “Si tratta di danni collaterali, c’è una ragione molto più forte di quei danni. Una ragione che può oscurare i poteri costituiti”.

Del resto lui a Roma sabato scorso c’era in mezzo a quel gigantesco corteo degli indignati e per capire ciò che è successo bisogna, secondo De Luca, partire dalla violenza che tutti i giorni ci viene “spalmata sotto il naso” e che a un certo punto ci nausea e trabocca: “Ci invitano a credere che le nostre missioni all’estero siano interventi di pacificazione. Di questi interventi siamo talmente fieri che non ne sappiamo niente”. Nella sua elencazione delle violenze il dramma delle migrazioni ha un posto fondamentale: “Ricordo che noi italiani abbiamo affondato una nave albanese piena di migranti albanesi: 100 morti nel 1997. Nessuno ha pagato per quella impresa (qualche condanna, seppur irrisoria ci fu, ndr). Che cosa dire delle espulsioni in mare, dei traffici con Gheddafi, nessuno ha pagato, neppure in danno di immagine, per i traffici con lui. E poi iCie, i centri di identificazione ed espulsione, dove si viene reclusi con la sola accusa di viaggio, di essere viaggiatori”.

De Luca non giustifica, cerca di dare una sua lettura di ciò che ha visto. “Spuntano forze non censite, non rappresentate che sfuggono all’obbedienza. Quello che è successo sabato scorso a Roma, è la nascita di un movimento di irresponsabili, di persone che non vogliono portare la responsabilità delle schifezze morali e politiche di questo Paese”.

Questa forma di violenza, a furia di essere ammessa e accumulata, a un certo punto crea dei corto circuiti. “Indignati è una parola che presume una tensione nervosa. La tensione ha dei picchi, non presenta un elettroencefalogramma piatto, ha dei picchi e quello che successo a Roma sabato scorso è che quella manifestazione enorme era formata da una tale carica nervosa che per attrito inevitabile è andata a sbattere contro il suolo di quella città”.

Nella sede bolognese di Bartleby, almeno 200 persone seguono in un silenzio surreale le parole di questo scrittore sessantenne, che nella sua vita è stato migrante, operaio, operatore di pace (nella guerra jugoslava dei primi anni Novanta guidava i camion con il cibo per i civili) e infine scrittore, poeta e traduttore. A sentirlo, nella calca della sala, tanti suoi coetanei, che guardano ammirati il rispettoso silenzio dei giovani accorsi in massa in questo centro sociale (che ha peraltro appena ricevuto avviso di fratto dal rettore e ora cerca casa).

Poi ci sono loro, gli studenti. Molti sabato erano a Roma e vogliono capire come la pensa De Luca. “La crisi di governo dell’economia del mondo ha trovato la sua risposta da unagenerazione-mondo. Una generazione mondiale si muove, questo fiume si muove insieme a migliaia altri fiumi del mondo e non è controllabile dalle dighe del potere costituito locale. Le ragioni di questa nuova generazione sono al di là dei poteri di controllo dei singoli Stati. Anche se questi si mettono a fare i loro scongiuri, anche se dipingono questo movimento sotto le luci delle fiamme della piazza, dei danni collaterali… perché sì, questi di Roma sono dei danni collaterali. Ed è osceno che invece gli Stati chiamino danni collaterali la perdita di vite umane nei bombardamenti”.

Poi De Luca racconta di una recentissima intervista sui fatti di Roma, rilasciata in questi giorni, in veste di responsabile del servizio d’ordine di Lotta continua ai tempi della sua militanza: “Ho spiegato al giornalista che il nostro servizio d’ordine serviva contro le aggressioni della polizia e dei fascisti non per arrestare le persone dentro al corteo” e giù gli applausi. E a proposito di polizia De Luca considera positivo il comportamento della polizia sabato: “È stata attenta a non aggredire il corteo”. Dopo i fatti e le condanne di Genova del resto sarebbe stato stupido ripetere quella repressione.

Intanto gli studenti di Bartleby non abbassano la guardia e già domani organizzano un incontro sui fatti di Roma. “Abbiamo deciso di parlarne con la città”. A Roma qualcosa è cambiato. Oltre agli scontri c’erano anche migliaia di persone scese a manifestare e non si può far finta di niente.

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1 Commento


  • Antonio

    Considerato che De Luca ha alla fine appoggiato l’intervento in Libia (se non ricordo di aver capito male in una trasmisssione televesiva), credo che egli giustifichi la violenza per “certi fini” (che poi sono sempre quelli da verificare in politica). A mio parere è fuorviante la discussione “violenza si, violenza no” e ci si nasconde dietro “una” modalità della lotta per occultare l’assenza di contenuti seri. E si continua a fare il gioco di chi impone l’ordine della discussione.

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