La Bce in agosto ha mandato una lettera al governo italiano in cui chiede di distruggere tutto lo stato sociale, tutti i nostri diritti, di mettere all’asta i nostri beni comuni, per pagare le cambiali del nostro debito alle banche e alla speculazione finanziaria internazionale. Berlusconi alla fine ha risposto, accettando tutte le condizioni capestro e mettendocene anche qualcuna in più.
Non si tratta più solo dell’annuncio della libertà di licenziamento, sempre desiderata e sempre più vicina, visto l’articolo 8, visti i ricatti aziendali, vista la distruzione dei diritti e l’estensione della precarietà. Oggi un tallone di ferro schiaccia il mondo del lavoro e ogni misura di flessibilità e di liberalizzazione serve solo a calare i salari e i diritti, a sfruttare di più. Per questo l’accordo del 28 giugno non è un freno ma è una inutile resa a questa aggressione.
Ma a tutto questo si aggiungono le misure apparentemente più neutre, a partire dall’avanzo primario di bilancio, che significa in realtà la distruzione di ciò che resta dello stato sociale, per finanziare le banche. E si aggiungono le privatizzazioni e le liberalizzazioni. Così si cancella la nostra democrazia, tradendo il referendum di giugno, ove la grande maggioranza degli italiani aveva detto no alla privatizzazione dell’acqua e dei beni comuni. Siamo all’opposto di ciò che grida il movimento occupy wall street: non ci si preoccupa di ciò che chiede e di ciò di cui ha bisogno il 90% della popolazione, ma si difendono gli interessi e il potere della parte più ridotta, del 10%.
La lettera di intenti di Berlusconi è semplicemente una cambiale sulla nostra democrazia. Bisogna rifiutarla oggi, con le lotte e con la mobilitazione democratica: ci trattano come la Grecia, dobbiamo reagire come il popolo greco. Per difendere la nostra democrazia le opposizioni e i sindacati devono dire prima di tutto che quelle lettere non valgono nulla e non sono esigibili. Altrimenti la crisi della nostra democrazia affonderà nella palude delle finzioni. La lettera della Bce, la lettera di Berlusconi vanno strappate in faccia all’Europa, altrimenti sono tutte chiacchiere.
La drammatica evoluzione della crisi italiana, l’aggressione sempre più estesa ai diritti sociali e civili, danno ragione al percorso che abbiamo iniziato il 1° ottobre e mostrano tutta la validità e tutto il potenziale della mobilitazione del 15 ottobre.
Chi ha manifestato in quel giorno, così come chi lotta in Val Susa, nelle scuole, nelle università, nelle fabbriche, nei territori e nelle città, oggi non è solo contro il governo Berlusconi, ormai alla conclusione della sua parabola, ma anche contro quel potere economico finanziario che nel nome del debito vuol far pagare alla maggioranza della popolazione tutti i costi della crisi. La manifestazione del 15 ottobre, le iniziative che l’hanno preceduta, erano quindi contro due avversari: il governo e, assieme ad esso, la Bce e la dittatura finanziaria che sta distruggendo i diritti in tutta Europa.
Gli scontri del 15 ottobre e la successiva loro gestione mediatica hanno oscurato per alcuni giorni tutto questo. Si è così prodotta una regressione del confronto, si è tornati indietro di molti anni e sono state cancellate le novità vere della mobilitazione. Questa regressione è un risultato negativo che non può essere ignorato. Il problema non è riproporre una divisione tra buoni e cattivi nelle lotte e nei movimenti. La questione di fondo è quella della autodeterminazione dei movimenti e delle lotte, che le manifestazioni successive al 15, da quella dei metalmeccanici a quelle della Val Susa, hanno esemplificato.
Una manifestazione composita, plurale ma unitaria non può essere spinta e segnata da scelte che la manifestazione del 15 ha subìto, percepito in gran parte come ostili e, soprattutto, mai discusso. Nessuno può imporre pratiche e azioni di distruzione durante il corteo, che si sono ritorte contro la manifestazione stessa. La questione non è quella della rabbia esistente e del modo di farla valere e vedere. La questione è quella che nessuno può imporre le proprie modalità a tutto il movimento, né soprattutto può imporre scelte che la grande maggioranza non condivide. Allo stesso modo affermiamo che la gestione della polizia a piazza San Giovanni è stata evidentemente irresponsabile e ha prodotto la radicalizzazione e la generalizzazione degli scontri.
Riteniamo però a questo punto che non si possa andare avanti all’infinito in questa discussione. Occorre prendere atto che la manifestazione del 15 ha determinato questo risultato negativo e trovare le modalità per cui il proseguimento delle iniziative, reso indispensabile dall’aggravarsi della crisi, non ripresenti gli stessi problemi. Questa è la ragione per cui riteniamo necessaria una discussione di merito politico tra tutte le forze che hanno in comune la lotta contro la globalizzazione e la politica della Bce e dell’Unione europea. L’ultimatum consegnato al governo pochi giorni fa, a cui Berlusconi ha risposto con la sua vergognosa lettera, conferma che abbiamo due avversari. Oltre al governo Berlusconi, dobbiamo essere contro l’Unione europea così come è oggi, con la dittatura delle banche e della finanza che impone le sue scelte a tutti i governi.
La manifestazione del 15 conteneva un vuoto politico e una debolezza, che si è cercato di affrontare anche con proposte come quella dell’accampata, che avevano lo scopo di affermare una radicalità necessaria e diversa da quella delle manifestazioni tradizionali. Questa debolezza politica era accentuata dal fatto che la manifestazione del 15 appariva di più come una scadenza importata, nel quadro di un appuntamento internazionale di grandissimo valore, piuttosto che un obietto di lotta nostro. Occorre una piattaforma precisa, oggi, contro gli avversari italiani ed europei dei diritti sociali e civili; per questo pensiamo che non sia riproducibile nel nostro paese l’esperienza dei social forum. Esauritasi l’esperienza del social forum italiano e in profonda crisi quella europea, è necessario pensare a nuove modalità di costruzione e a una precisa piattaforma da collocare in spazi politici pubblici italiani ed europei.
Abbiamo quindi lanciato il 1° ottobre un movimento contro il pagamento del debito, contro la dittatura delle banche, con 5 punti sul piano sociale e politico che per noi rappresentano una reale alternativa. Abbiamo anche sottolineato che oggi come oggi non solo il centrodestra, ma anche il centrosinistra non assumono questi temi e anzi, in molti casi, ne sono addirittura controparte. Per questo abbiamo rivendicato la necessità di un nuovo spazio politico pubblico che dia legittimità piena a rivendicazioni politiche e sociali oggi assolutamente estranee a gran parte dell’attuale sistema rappresentativo. Su questo, secondo noi, si deve sviluppare il confronto, se si vuole mantenere il dialogo tra espressioni diverse del movimento.
Occorre quindi che da ogni parte si faccia la scelta precisa di rinunciare all’egemonia e di aprirsi al confronto di merito. Noi non pretendiamo di essere tutto il movimento, così come pensiamo che nemmeno altre forze o gruppi lo siano. Tutti insieme, misurandoci concretamente sulle differenze e sui contenuti, siamo in grado di costruire grandi iniziative. Ma per superare la crisi del 15 ottobre occorre un’operazione di verità e non il diluvio di polemiche.
La crisi politica nel nostro paese rende sempre più chiaro che la nostra democrazia è commissariata dal regime delle banche e della finanza d’Europa. Per questo comprendiamo la diffidenza che si sviluppa tra chi lotta, rispetto a tutte quelle istituzioni che sorridono alle mobilitazioni, salvo poi sostenere scelte economiche e politiche che vanno esattamente contro i contenuti di esse.
Il futuro dei movimenti in Italia è quindi fondato sull’indipendenza dall’attuale quadro politico. Questo è il punto su cui si deve davvero discutere, anche misurandoci sulle diverse opzioni. Forse questo è il punto su cui si è discusso meno, occorre cioè una pratica democratica assembleare dove ci si confronti davvero sulla piattaforma, dal debito, al lavoro, all’ambiente, alle questioni sociali, alla democrazia. Non è più tempo di diplomatismi o di minimi comun denominatori, abbiamo visto che questi creano una debolezza politica che viene poi coperta da altre scelte e altre forze.
Se vogliamo uscire dalla sindrome del post 15 ottobre dobbiamo quindi affrontare con democrazia, partecipazione e rispetto una grande discussione democratica sui contenuti della nostra piattaforma.
Per queste ragioni il nostro movimento, appena iniziato il 1° ottobre, decide di rilanciare la compagna e l’organizzazione della lotta contro il debito e per una vera alternativa sul piano economico, sociale e democratico. Andremo avanti, sui contenuti e nella ricerca di forme nuove di partecipazione e democrazia, disposti e interessati al confronto con tutti, ma nella consapevolezza che la crisi italiana è troppo grave per continuare con inutili polemiche.
Il comitato promotore del movimento No debito, dà appuntamento il 17 dicembre a Roma per una grande assemblea, preceduta da iniziative e incontri in tutto il territorio del paese.
Comitato promotore “No debito”
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