Su 7 milioni e 400mila schede scrutinate da giovedì a sabato scorsi 2.660.890 hanno preferito la Fratellanza Musulmana. Sicuramente la tendenza si ripeterà nelle consultazioni per la Camera Alta. L’attenzione inizia ora a spostarsi su due questioni: quali potranno essere le alleanze per la formazione d’un futuro governo e quali influenze avranno i deputati islamici sulla stesura della nuova Costituzione. L’Egitto ha convissuto per tre decenni con norme che risentivano dello stile militare insito sia nel regime del raìs sia nella pesante malleveria che le Forze Armate indirettamente determinavano sullo stesso versante legislativo. La longa manus dei graduati sulle sorti della nazione resta una questione tuttora aperta e una ferita viva in quella parte di società che non vuole dimenticare né i morti della Rivoluzione né le violenze poliziesche degli anni passati. Sul tema delle alleanze c’è chi giura che la particolare attenzione alla real politik mostrata dalla Fratellanza Musulmana eviterà ai suoi leader ogni ubriacatura da successo. Che vuol dire non tanto proporsi come unica forza di governo, cosa impensabile nonostante la poderosa percentuale di consenso, ma evitare lo sbilanciamento filo islamista dell’Esecutivo. Perciò il FJP dovrebbe privilegiare il suo dna moderato che può tranquillamente avvicinarlo alle forze laiche liberali anziché pensare a un’unità dall’aria confessionale coi gruppi salafiti. Dovrebbe ma non è detto. In alcune interviste anche esponenti di Al Nour rinnegano qualsivoglia idea di teocrazia e questo riapre il giro degli accordi. Comunque i Fratelli Musulmani ci tengono a ribadire un programma rivolto a tutti gli egiziani di qualsiasi fede che difende le Istituzioni, ribadisce il pluralismo, mira a risolvere i molti problemi sociali della nazione. Vediamolo.
Libertà e Giustizia, denominazione del partito, sono i princìpi in testa al piano di lavoro politico della Fratellanza. Con essi si ribadiscono diritti e doveri di ciascun cittadino, ma si vogliono eliminare discriminazioni religiose e sessuali, combattere la corruzione, offrire pari opportunità e una generale tolleranza. C’è un’attenzione alla sicurezza internazionale e interna che non potrà fare a meno degli organi di difesa e controllo, eliminando però soprusi e abuso di potere delle componenti preposte al ruolo insieme ai loro privilegi remunerativi e d’altro tipo. Lo sforzo rivolto alle questioni sociali non sarà da poco perché le sacche di povertà sono ancora enormi. Qui la ricetta assume ingredienti da welfare laico (i sussidi) e religioso (l’uso della zakat) verso le famiglie più bisognose. Il futuro governo dovrà inoltre affrontare gli scottanti problemi di disoccupazione, squilibri retributivi e bassi salari per molte categorie, una triade che metterebbe in ginocchio economie ben più solide di quella egiziana. Su questo il FJP si giocherà la faccia. Gli altri islamisti moderati che guidano la Tunisia (Ennadha) iniziano a rendersi conto di quanto sia in salita la via della lotta alla miseria e di come sia difficile recuperare risorse senza il volano del turismo. Un affare tenuto in grandissima considerazione in Egitto, dove la Fratellanza ma anche i salafiti durante le schermaglie elettorali coi laici hanno voluto ribadire che nessuna formazione islamista vuole sminuire quest’attività vitale per le finanze nazionali. Un’attenzione da progressismo ecologico fa dire al FJP che il riequilibrio di aria e acqua, altamente inquinate nella ciclopica capitale e in certi tratti del Nilo, risultano importanti quanto il rinnovamento di trasporti e servizi pubblici via terra, fiume e mare. Per quanto su questo tema, in mancanza di specializzazioni interne, la scelta potrebbe virare verso privatizzazioni sul modello marocchino. La questione di alloggi sani e dignitosi nei centri urbani e rurali, di una sanità aperta all’accesso di tutti, comprese le famiglie a bassissimo reddito, e un’ampia campagna per l’abbattimento delle sacche di analfabetismo infantile tuttora presenti in alcuni angoli del Paese, risultano obiettivi di dignità civile prima che sociale.
Qui lo scatto d’orgoglio col passato storico e col credo religioso sono un tutt’uno. Eppure l’Egitto che per decenni ha subìto una mancata redistribuzione della ricchezza deve fare i conti con queste stesse vergogne che l’Islam politico non vuole nascondere. Parlando poi di ricerca e cooperazione, sia in rapporto al mondo arabo sia con l’Occidente, si riprende il contatto col rango al quale la nazione ambiva dal momento della nascita della Repubblica e in tanti casi disperso. Gli Stati Uniti, che dell’Egitto temono scelte contrarie ai propri interessi di controllo strategico-economico nella regione, hanno pragmaticamente preso contatto con la leadership della Fratellanza. Tramite la portavoce di Hillary Clinton ricordano al primo partito che non bisognerà abbassare né lo sguardo né la guardia verso la difesa dei diritti umani. Gli americani si riferiscono ai timori che certe norme della legge islamica possano trovare posto nella prossima Costituzione. Da quanto gli eventi degli ultimi tempi hanno mostrato il richiamo al diritto alla vita e alla dignità della persona riguarderebbe più il comportamento sanguinario degli organi repressivi e dell’attuale premier Ganzouri, elementi vicini all’alleato di Washington Mubarak, che altro. Ma si sa che la diplomazia gioca d’anticipo per non essere colta in contropiede. Ed è possibile che attorno al processo all’ex presidente e all’idea di salvarlo dalla condanna a morte (non per età e malattia ma per evitare soluzioni esemplari) si consumerà il primo approccio di gradimento fra i futuri governanti del Cairo e la Casa Bianca.
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