Con il senno del poi, visto come Ciampi e Napolitano si sono rapportati di fronte allo stesso panorama politico-istituzionale, determinato, in primo luogo, dalla forzatura provocata dalle leggi elettorali maggioritarie sull’immutato assetto costituzionale di tipo parlamentare, assetto peraltro ribadito con il voto referendario che nel 2006 ha rifiutato la revisione costituzionale varata dal centrodestra, Scalfaro va sicuramente rivalutato: UN GIGANTE!
Di fronte, però, al coro di giudizi, eccessivamente benevoli, circa il modo con il quale il Presidente Scalfaro avrebbe applicato la Costituzione per risolvere la crisi del primo Governo Berlusconi, non ci si può esimere dal ricordare un po’ di fatti.
Con il discorso di fine anno del 1994, anche Scalfaro finì per cedere alla logica maggioritaria.
La contrastò nei suoi eccessi, è vero, opponendosi duramente a chi voleva imporgli lo scioglimento automatico delle Camere non appena venuta meno la maggioranza di Governo, ma non sino al punto di rendere possibile ciò che per la nostra Costituzione non era in alcun modo vietato: il cosiddetto ribaltone, così come venne definito e così come ancora viene definito dai talebani del maggioritario.
Nonostante i numeri avrebbero infatti potuto permettere la formazione di un nuovo Governo senza la necessità del sostegno parlamentare, diretto o indiretto, dei fedelissimi di Berlusconi (una procedura che in Germania non scandalizzerebbe nessuno e che è addirittura costituzionalizzata sotto il nome di “sfiducia costruttiva”), la soluzione adottata finì per tenere conto di un risultato elettorale, frutto di una legge elettorale palesemente anticostituzionale, che imponeva il benestare anche di chi non godeva più della fiducia del Parlamento.
Con 270 astenuti appartenenti alla ex-maggioranza, 39 voti contrari di Rifondazione Comunista e 302 favorevoli, il 25 gennaio 1995 si concluse alla Camera lo scontro istituzionale che portò alla Presidenza del Consiglio Lamberto Dini, già Ministro del Tesoro del precedente Governo Berlusconi, e da quest’ultimo indicato a Scalfaro come suo successore non sgra¬dito.
Allora come oggi, tra tutte le soluzioni possibili, quella del Governo – formalmente – tecnico fu decisamente la peggiore. Un Governo di tutti e di nessuno, nel nome della suprema esigenza di non sostituire la dissolta maggioranza parlamentare con una maggioranza alternativa formata dopo le elezioni, e per questo di fatto irresponsabile di fronte agli elettori.
Allora come oggi, per l’esercizio della sovranità che la Costituzione affida al Parla¬mento, non vi erano più forze politiche chiamate a rispondere delle proprie scelte per quanto di lì a breve il Governo avrebbe realizzato.
E non è certo per una coincidenza, se sia il Governo Dini che il Governo Monti possono vantare il brillante risultato di essere intervenuti duramente sulle pensioni, forti, entrambi, del voto favorevole di larga parte del Parlamento.
Se al Presidente Scalfaro va quindi riconosciuto il merito di non essersi piegato sino in fondo ai diktat della forzatura maggioritaria e bipolare, dall’altro lato non possiamo far finta di nulla di fronte ad una deriva ideologica alla quale anche il Presidente Scalfaro, pur manifestando apertamente la propria contrarietà, non seppe contrapporre la forza delle proprie dimissioni.
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