La rappresentanza che esprime il Parlamento è la risultante di geometrie complesse, e ridurla a mera questione economica non è semplicemente un errore, è una barbarie.
Per comprendere il significato della rappresentanza, a grandi linee, occorre partire dalle monarchie assolute del ‘700, che concentravano nel monarca ogni potere.
Sempre nel ‘700 si è teorizzata la tripartizione dei poteri, esecutivo, giudiziario e legislativo, associando alla separazione dei poteri la riduzione dei privilegi e della prevaricazione.
La separazione dei poteri funziona quando i poteri si condizionano e si contengono reciprocamente, in un bilanciamento che è al tempo stesso garanzia ed equilibrio.
Gli Stati monarchici dell’ottocento (procedendo sempre per salti e per semplificazioni) si sono evoluti in monarchie parlamentari e una parte dei poteri sovrani sono stati trasferiti ai Parlamenti, anche se il monarca ha continuato a mantenere su di sé poteri sbilanciati rispetto a quelli conferiti al Parlamento.
Nelle democrazie moderne la centralità del potere statuale si è spostata sui Parlamenti.
Quando nella nostra Costituzione si è affermato che la sovranità appartiene al popolo, si è inteso dire che il potere, quello stesso potere che un tempo era prerogativa del sovrano, ora veniva dato al popolo.
Di certo il popolo è una entità astratta ed è qui che assume rilevanza la rappresentanza.
Nelle democrazie rappresentative il popolo è inteso nella sua unitarietà, e la democrazia rappresentativa può convivere con istituti di democrazia diretta purché in modo definito e contenuto.
In effetti la democrazia diretta contrasta con la concezione del popolo che si declina unitariamente come corpo elettorale, posto che nelle sue espressioni prevalenti la democrazia diretta intende il popolo non come entità unica, ma piuttosto come una somma di individui, ognuno dei quali diventa portatore di una frazione di potere, ognuno dei quali interpreta se stesso come minuscola entità monocratica, con la conseguenza che si determina la frammentazione degli interessi collettivi e così diventa più facile la prevaricazione degli interessi individuali di taluni a scapito di altri.
Non è un caso che in Italia, ad esempio, il M5S ha costruito il consenso sulla esaltazione della democrazia diretta, presupposto scontato per chi ha come reale obiettivo la distruzione progressiva del sistema democratico rappresentativo, l’unico in grado, allo stato attuale, di ostacolare l’ordoliberismo.
Nelle democrazie rappresentative il popolo esercita collettivamente la sovranità, delegandone le funzioni ai suoi diretti rappresentanti, ovvero ai parlamentari.
Maggiore è il numero dei parlamentari, maggiore è la quota di potere che il popolo riesce ad esprimere delegandola a ciascuno di essi.
Il numero dei parlamentari tuttavia deve rispondere ad un criterio di proporzionalità e ogni quota di elettori deve esprimere un parlamentare.
Il rapporto di proporzionalità migliore è quello che garantisce l’effettività di rapporti personali e diretti tra eletto ed elettori.
Un sistema democratico non può prescindere dal criterio della equa suddivisione dei seggi per numero di elettori, che rispetta certamente il criterio di proporzionalità ma che, tuttavia, assume connotazioni più complesse quando deve distribuire i seggi non solo in rapporto alla popolazione ma anche in proporzione al numero dei voti ricevuti da ciascun partito.
Ed è qui che assume rilevanza il sistema elettorale, elemento imprescindibile per misurare e valutare la democraticità di un sistema.
I sistemi elettorali, in effetti, sono gli strumenti che consentono alle opinioni politiche, riconducibili ai partiti, di trasformarsi in rappresentanze elettive.
Restringendo l’analisi alla sola Camera bassa, e ripercorrendo l’originaria formulazione, si legge all’art.56 della Costituzione del 1948: “La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila.”
Una modifica costituzionale intervenne nel 1963 e l’articolo 56 della Costituzione fu sostituito dal seguente: “La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è di seicentotrenta. Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età. La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per seicentotrenta e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti”.
Se non fosse intervenuta la modifica dell’art.56 della Costituzione, oggi avremmo 750 deputati in ragione dell’aumento della popolazione.
La società contemporanea però ci consegna uno scollamento tra il popolo rappresentato e i rappresentanti, un significativo allontanamento quale sintomo irrisolto di concause disparate.
La più importante responsabilità va cercata senza dubbio nei sistemi elettorali maggioritari, ovvero in quelli proporzionali con quote maggioritarie, in virtù dei quali si è determinato il paradosso della conquista del maggior numero di seggi da parte di chi è minoranza nel paese.
I sistemi elettorali, proporzionali o maggioritari, nel determinare diversi possibili livelli di governabilità, in effetti bilanciano il rapporto tra rappresentanze elettive e interessi del corpo elettorale.
Quando il corpo elettorale esprime rappresentanze ideologicamente e programmaticamente analoghe, la governabilità è garantita dalla omogeneità degli interessi rappresentati.
Quando il corpo elettorale invece non esprime omogeneità di finalità, la governabilità deve essere ricercata in alleanze parlamentari trasversali e, come tali, instabili.
Il sistema elettorale proporzionale garantisce una maggiore rappresentatività agli interessi espressi dal corpo elettorale e nel contempo, se c’è una eccessiva diversità degli interessi rappresentati, non garantisce stabile governabilità.
I sistemi elettorali maggioritari sono stati introdotti nel nostro ordinamento proprio per garantire governabilità a scapito della rappresentatività degli interessi del corpo elettorale.
A tutto voler concedere sono i mercati che hanno bisogno di stabilità, è il profitto nei sistemi capitalisti che necessita di continuità, la popolazione, al contrario, dai conflitti parlamentari che si risolvono in crisi di governo e nel ribaltamento anche semestrale delle maggioranze, se non ha da guadagnare, di certo non ha da perdere.
Assistiamo da anni al succedersi di governi che si predispongono a dare continuità a loro stessi per dare stabilità ai mercati.
L’introduzione del sistema maggioritario in Italia ha legato gli eletti agli interessi di parte, non più al popolo ma al mercato, ed è bastata la sola modifica del sistema elettorale per innescare disinteresse e delegittimazione degli stessi eletti da parte degli elettori.
Invece di porre un freno alla deriva e ripristinare l’originario rapporto di fiducia quale presupposto della rappresentanza, il M5S ha finanche proposto, come cavallo di battaglia della propria lobby partitica, l’abrogazione dell’art.67 della Costituzione, ovvero la norma che disciplina, vietandolo, il vincolo di mandato, quel vincolo che slega il Parlamentare dal mandato ricevuto per tenerlo soggiogato al partito di provenienza.
Secondo i costituzionalisti della Casaleggio Associati, il parlamentare appartiene al partito che lo ha eletto e deve rimanere vincolato non alla propria coscienza, non al giuramento di fedeltà verso la Nazione, non alla libertà di espressione, non alla responsabilità politica che ha assunto con l’elezione.
Nulla di tutto questo.
Secondo il M5S il parlamentare deve rimanere fedele alla lobby che lo ha candidato e nella loro opera di distruzione del sistema parlamentare democratico, i 5S hanno incluso tra i propri obiettivi, anche l’abrogazione dell’art.67 della Costituzione.
Nel deficit di rappresentanza, artatamente preordinato con l’introduzione dei sistemi elettorali maggioritari, è stato facile far condividere da tutti l’idea che la riduzione del numero dei parlamentari fosse una cosa positiva, e quando si è sostenuto che la riduzione del numero dei parlamentari in effetti significava invece ridurre la quota di sovranità che ognuno di essi esprime, questa spiegazione è sembrata vuota e priva di significati concreti rispetto ad una situazione di fatto già degenerata.
Nel nostro sistema, la quota che meglio garantisce il criterio della proporzionalità nella equa ripartizione dei seggi, è quella che assegna un deputato ogni 80.000 elettori perché è il numero che consente ad eletti ed elettori di poter avere un rapporto diretto, ma soprattutto è la quota che permette un efficace controllo popolare, linfa vitale per ogni democrazia.
Se la proporzione alla Camera era di 80.000 elettori per ogni deputato quando la popolazione italiana era di 46 milioni di abitanti, la proporzione si era innalzata fino a 96.000 abitati, e con la riforma grillina di riduzione del numero dei deputati, si è innalzata fino a 151.000.
Va da sé che ormai nessuna forza politica, con questi numeri, riuscirà più ad esprimere parlamentari quali portatori di istanze alternative a quelle che attualmente hanno già rappresentanza.
Per quanto la legge elettorale potrà essere cambiata, le forze conservatrici attualmente in Parlamento, sia quelle in maggioranza che quelle all’opposizione, entrambe portatrici di una visione neoliberista diversamente declinata, saranno certamente concordi nell’approvare soglie di sbarramento tali da impedire ogni ipotesi diversa da quella attuale.
La potenza distruttrice del M5S coinvolgerà anche la Presidenza della Repubblica perché la maggioranza in Senato, con la riduzione del numero dei senatori, per essere raggiunta avrà sovente bisogno dei voti dei senatori a vita, e tra questi gli ex Presidenti della Repubblica.
Si creerà il cosiddetto mini-partito del Presidente della Repubblica, il quale da organo costituzionale di garanzia e terzietà, sarà inevitabilmente trasformato in carica politica.
Tra le finalità espresse dal M5S, inserite nella cornice della progressiva opera di distruzione della democrazia parlamentare, c’è anche quella di togliere il voto a determinate categorie, come ad esempio gli anziani, e di estenderla a categorie maggiormente manipolabili, come i sedicenni.
Quella dei 5S è una azione pericolosa, portata avanti con certosine capacità, i cui esecutori sono stati selezionati per incapacità e incompetenza, e proprio per questi demeriti non hanno destato sospetti, anzi, nella empatia indotta nel mostrarsi come i vicini di condominio, hanno accumulato consenso.
Il M5S non ha ceduto nemmeno di fronte al ridicolo delle contraddittorietà espresse, sicché, per quanto si siano fatti paladini degli istituti referendari, si guardano bene dall’indire il referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari, che sostengono con vuoti slogan, evitando accuratamente di innescare sul tema un dibattito pubblico che smonterebbe con poche riflessioni le loro motivazioni farlocche.
Nessuno di loro sarebbe in grado di sostenere con competenza le ragioni politiche o istituzionali della riforma costituzionale, quantomeno senza rieditare qualche vecchia intervista di Licio Gelli.
Questa riforma ha il potere di scardinare i bilanciamenti tra poteri dello Stato.
La Presidenza della Repubblica contenderà parte del campo della Presidenza del Consiglio, il Consiglio dei ministri si porrà in conflitto legislativo con il Parlamento attraverso la decretazione non più d’urgenza ma di prassi, la magistratura risponderà all’esecutivo e non più alla Legge, le potestà legislative del Parlamento saranno in sovrapposizione conflittuale alla potestà concorrente delle Regioni alle quali sarà assegnata la cosiddetta autonomia differenziata.
Il caos sarà la cifra della irresponsabilità con la quale avremmo consegnato il Paese a coloro che hanno già pianificato di trasformarlo nel teatro delle scorribande finanziarie e militari.
Ma come diceva Mao: “Grande è la confusione sotto il cielo, perciò la situazione è favorevole”.
Sarà il controllo popolare a disarcionare i responsabili di questo degrado, e essere oggi nelle conflittualità sociali e politiche, significa essere già i protagonisti della ricostruzione.
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Paolo De Marco
Bellissimo articolo. Il vero problema, oltre al maggioritario e a questo taglio, è il finanziamento privato che trasforma i partiti politici in lobbie dei poteri forti. Perciò deputati e senatori vengono pagati somme stravaganti tra remunerazione, previdenza e rimborso spese . Vedi : « Stipendi parlamentari: quanto guadagnano deputati e senatori? » in https://www.money.it/Stipendi-parlamentari-senatori-deputati
Paolo De Marco