Da qualche anno va avanti il gioco delle cosiddette “costituenti”, quei tentativi cioè di aggregare un po’ di ceto politico, metterlo insieme attorno a un contenitore eterogeneo, farsi la manifestazione autunnale e sciogliersi ancor prima che questa sia giunta alla fine. I nomi, sempre gli stessi: Rifondazione e tutte le altre molecole partitiche ormai orfane del parlamento; pezzi di sindacalismo di base; FIOM; certa intellettualità democratica che dal movimento dei girotondi del 2002 è in cerca del luogo dove esprimere la propria “saggezza”; il Manifesto, organo che viaggia di sconfitta in sconfitta verso l’obiettivo di perdere quei pochi lettori che si ritrova; pezzi sparsi del fu “movimento dei movimenti”. Questo coacervo di sigle, accomunate dal rappresentare unicamente del ceto politico (o giornalistico) a cui garantire uno stipendio, continua a non accorgersi del vuoto sociale che le caratterizza, e pensa di assolvere al proprio compito provando l’ennesima ammucchiata di generali senza esercito.
Da qualche anno però la scena politica delle lotte di classe è cambiata, sconvolgendo i piani dei vari dirigenti pluritrombati. Dalla Val di Susa alle manifestazioni romane del 2010 e del 2011, si è affacciata una eccedenza sociale che delle costituenti e dei tentativi riformisti se ne frega, e che anzi li accomuna al nemico contro il quale combattere. Questa cosiddetta “eccedenza” negli anni non ha subìto alcun tentativo d’organizzazione politica. Un po’ si è riversata nel grillismo, andando ad ingrossare le fila elettorali di un movimento chiaramente stabilizzatore, ma descritto dai media come anti-sistema, e dunque campando di una rendita di corto respiro. Un’altra parte ha deciso costantemente di astenersi, di non interessarsi più al gioco politico, di prendere le distanze da un sistema visto come completamente altro rispetto alle proprie esigenze. Quali che siano i rivoli in cui si è dispersa questa composizione sociale, rimane la difficoltà storica per le sinistre di intercettarla e di organizzarla politicamente. Laddove è avvenuto, come in val di Susa, se ne sono visti i risultati: un perfetto connubio di protesta civile e conflittuale, di pratiche di piazza e di condivisone assembleare, di azioni dirette e radicali e di consenso popolare. Certo, là il terreno è agevolato dalla scopo immediato della protesta, che ha un obiettivo fisico visibile e attorno a quello organizza la propria vicenda e la propria modalità d’intervento. Ma ciò non toglie che quello è uno degli esempi di come il conflitto vada organizzato e praticato, e non espunto da ogni ipotesi politica.
In questi giorni però sta avvenendo una cosa particolare, che rischia di contrapporre definitivamente la “sinistra” legalitaria e riformista a quella antagonista e di classe (e sarebbe anche ora, aggiungiamo). Da mesi i movimenti di classe italiani hanno lanciato la data del 19 ottobre quale giorno in cui prendere parola con manifestazioni di massa, aprendo di fatto le lotte dell’autunno. La possibilità che si riproduca la dinamica del 15 ottobre 2011 c’è, e per questo chi organizza tenta giustamente un percorso di politicizzazione di quella conflittualità. Al di là di come si sta organizzando questa data (e le altre, come lo sciopero dei sindacati di base il 18, la giornata di lotta del 15 o il corteo sulle lotte ambientali del 12), è là che la sinistra di classe deve puntare per tentare quel recupero sociale che da anni ne determina l’assenza politica in ogni dove. Al di là delle parole d’ordine più o meno condivisibili, o delle modalità organizzative che si vanno proponendo, al di là del merito cioè, se esiste una sinistra conflittuale in Italia è in quella data che deve far valere il suo peso. Lavorando perché non rimanga il solito evento isolato e fine a se stesso, ma che sia il principio di un percorso.
Oggi invece si assiste a uno smarcamento politico abbastanza evidente, ma al tempo stesso subdolo, reso ambiguo proprio dai comportamenti e dalle dichiarazioni di chi sta cercando di costruire un altro evento, nei fatti contrapposto a quello del 19. Il 12 ottobre, cioè, è stata lanciata una diversa manifestazione, a “difesa della legalità e della costituzione”, promossa da Landini e da Rodotà, i due nuovi eroi della sinistra riformista illuminata. Il problema è che a questa reunion di vecchi sodali (da Ferrero a Zagrebelski, da Rodotà a Vendola, da Agnoletto a Casarini) partecipa anche parte di quel movimento che solo pochi mesi fa chiedeva i voti proprio in ragione della sua conflittualità e della sua alterità rispetto all’attuale sistema politico.
Non vorremmo sbagliarci, ma sembra evidente di come questa nuova data assomigli al tentativo di costruzione di un alibi per il 19 ottobre, il tentativo cioè di prendere le distanze politicamente da quello che potrebbe accadere in quella giornata, organizzando la propria manifestazione legalitaria e filocostituzionale che garantirà a questi di far parte dei buoni e dei compatibili, contro la marmaglia che potrebbe esprimersi il 19 secondo canoni poco accettabili. Il tentativo di dividere i buoni dai cattivi, il movimento compatibile da quello ingestibile, è un tentativo che non può avvenire da chi fa politica all’interno dello stesso campo politico. Non ci sembra un caso che da giorni il Manifesto, che mai ha cercato di pubblicizzare la giornata del 19, stia cercando in tutti i modi di pompare la data del 12 pomeriggio, descrivendola come l’evento centrale d’ottobre. Vorremmo anche capire il senso della dichiarazione di Sandro Medici riportata da popoff, quando afferma che “chi non c’è rischia di fare da servente al pezzo dell’artiglieria sbagliata”. Non partecipare a una manifestazione in difesa della legalità non solo è giusto ma sacrosanto. Che tale tentativo lo faccia il Rodotà di turno, nessun problema. Che invece si portino pezzi di movimento a contrapporsi alla data conflittuale del 19, questo è invece un problema che andrebbe chiarito fino in fondo. Coprire una data nazionale (ed europea) lanciata da mesi con gli appelli alla costituzione, cioè, è un tentativo che va denunciato immediatamente. O si sta con la legalità e la costituzione o col conflitto e le lotte di classe. Questa volta è difficile tentare di mantenere i piedi in due staffe.
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