Nella discussione sul ruolo dei comunisti oggi spesso si sentono ragionamenti inclini al pessimismo. Dell’elaborazione di Gramsci si assume il pessimismo della ragione ma si perde di vista l’ottimismo della volontà. A tale proposito appare importante ricordare un momento storico in cui i comunisti italiani erano decisamente più in difficoltà di quanto lo siano oggi.
Dinanzi al tribunale speciale che lo condannava al carcere duro – perché “occorreva impedire a quel cervello di pensare” – Antonio Gramsci disse alla corte: “Il fascismo distruggerà l’Italia e toccherà ai comunisti ricostruirla”. In quelle parole c’era una idea precisa della funzione storica dei comunisti nel nostro paese anche in un momento di straordinaria difficoltà.
Oggi la classe dominante – come ieri il fascismo – sta portando il paese alla distruzione, e forse i comunisti – se recuperassero coscienza della propria funzione – potrebbero ricominciare a misurarsi con la ricostruzione di una prospettiva per il paese e le classi sociali subalterne.
Al contrario, sembrano invece prevalere ancora le preoccupazioni elettoralistiche e una visione della politica limitata alle alleanze elettorali piuttosto che un dibattito sulla funzione dei comunisti e le proposte alternative con le quali affrontare una crisi che ormai in molti riconoscono come “crisi di sistema”.
Discutendo sulla crisi in corso, occorre partire da una premessa che Marx aveva molto chiara: la crisi non è una eccezione ma è la norma del sistema economico capitalista. Molti commentatori che mostrano una fiducia incrollabile in questo sistema, sostengono che le crisi sono come le malattie esantematiche dei bambini, un male fisiologico e ineluttabile che però crea ogni volta gli anticorpi e fortifica il sistema stesso. Abbiamo il dubbio che la crisi economica del XXI° Secolo, iniziata negli Usa nel 2007 e tutt’ora in corso con effetti pesanti anche in Europa, sia qualcosa di più serio di una varicella e attenga profondamente alla struttura del sistema economico dominante.
Occorre ad esempio rammentare che solo negli ultimi venticinque anni ci sono state già altre sette crisi, soprattutto nel settore finanziario:
– 1987: crack a Wall Street
– 1992: crisi del Sistema Monetario Europeo con la fuoriuscita dal sistema della Lira e della Sterlina
– 1994/95: crisi finanziaria in Messico a pochi mesi dal varo del Nafta con Usa e Canada
– 1997: crisi finanziaria in Giappone, Corea e in altri paesi asiatici. Il Giappone da allora non si è più ripreso segnando il tramonto di quella che negli anni Ottanta sembrava una economia impetuosa
– 1998: crisi finanziaria in Russia e svalutazione pesantissima del rublo
– 1999: crisi in Argentina dovuta proprio al default del debito
– 2001: crisi di nuovo negli Usa a causa dell’esplosione della bolla speculativa sulla Net-Economy. I giornali della mattina dell’11 settembre dedicavano le prime pagine proprio alla crisi di Wall Street. Nelle ore successive avvennero gli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono.
Nel 2007 esplode una nuova crisi, alla quale siamo ancora dentro. La crisi prende avvio dall’esplosione della bolla speculativa dovuta a prestiti rischiosi e inesigibili erogati dalla banche statunitensi (i mutui subprime). Il fallimento di grandi banche Usa diffonde il panico nel sistema finanziario in tutto il mondo, ma soprattutto in Europa. I governi devono correre ai ripari e riempiono di soldi pubblici le banche private per impedire che falliscano. Secondo l’Ufficio studi di Mediobanca, i salvataggi e le nazionalizzazioni delle banche sono costati agli stati dell’Unione Europea circa 1.200 miliardi e agli Stati Uniti circa 2.000 miliardi in tre anni. Un fiume di soldi pubblici sono dunque finiti nelle casse delle banche private e hanno provocato un boom del debito pubblico degli Stati, Italia inclusa. La crisi dunque, da crisi finanziaria che investiva le banche è diventata una crisi del debito pubblico che investe gli Stati. I vari governi dell’Unione Europea, intendono ridurre questo debito tagliando soprattutto la spesa pubblica ed in particolare le spese sociali per i servizi. Vediamo dunque tagli feroci a scuola, sanità, pensioni, assistenza, salari dei lavoratori pubblici e aumenti delle imposte dirette e indirette. Ma questi provvedimenti si rivelano inefficaci e controproducenti perché portano le economie dei paesi sottoposti a queste terapia d’urto alla recessione cioè non cresce il lavoro, la produzione, i consumi, gli investimenti, anzi si precipita all’indietro.
Se volessimo usare una metafora per capire come stanno le cose, potremmo usare il “ gioco della morra cinese” Nella morra cinese si combattono carta, forbice e sasso, Ognuno dei tre ha la possibilità di sconfiggere sicuramente uno dei competitori. Applichiamo alla carta il fattore speculazione finanziaria, alle forbici le politiche di abbattimento del debito e al sasso la recessione e proviamo a giocare. Alcuni dicono che per sconfiggere la speculazione (la carta) occorre tagliare con decisione il debito pubblico degli stati (e usano le forbici) ma una volta tagliata la carta, scopriamo che essa aveva avvolto il sasso (la recessione) e dunque le forbici si spuntano, perdono efficacia e addirittura perdono contro il sasso.
Si riparte allora con il tentativo di sconfiggere il sasso (la recessione) avvolgendolo nella carta (dando soldi alle banche e alimentando la speculazione), ma questo produce un aumento del debito pubblico degli stati i cui titoli vengono accentrati dalla speculazione finanziaria, allora bisogna tagliare la carta con le forbici, ma ecco che le politiche di rigore di bilancio producono ulteriore recessione. Si potrebbe giocare all’infinito, ma se i parametri sono sempre questi, non vince nessuno, la situazione si avvita più profondamente e precipita in una crisi senza soluzioni.
Quanto sta accadendo soprattutto all’interno dell’Eurozona somiglia moltissimo a questo micidiale gioco a perdere per lavoratori, pensionati, disoccupati, ceti medi.
Abbiamo visto che i governi di Stati Uniti ed Unione Europea continuano però ad insistere che occorre tagliare soprattutto la spesa pubblica per abbassare o addirittura abbattere il debito pubblico, affermando che in questo in modo si può battere la speculazione finanziaria dei e sui mercati. Su questo vengono diffuse molte falsità o notizie parziali che impediscono di capire come stiano veramente le cose e sulle quali i comunisti hanno e potrebbero avanzare soluzioni alternative a quelle messe in campo dai gruppi capitalisti dominanti in Italia e in Europa. Si tratta di proposte che potremmo definire come “credibili anche se non realiste”.
I paesi dell’area dei Piigs sono destinati a diventare una periferia interna con un sistema di salari, condizioni lavorative, welfare state e prezzi ridotti con le liberalizzazioni e la concorrenza selvaggia funzionale alla competizione globale. L’innalzamento relativo degli standard sociali nei paesi dell’Europa dell’Est (anche qui oggi rimesso in discussione dalla crisi) e l’abbassamento di quelli dei Piigs, devono trovare un loro punto di equilibrio al ribasso che consenta al “nucleo duro” europeo di poter disporre di tutti gli strumenti per cercare di ricostruire i margini di accumulazione necessari alla tenuta dell’assetto imperialistico.
La destrutturazione delle economie dei Piigs, dei residui della presenza dello Stato nell’economia, ha la necessità di procedere sulla strada delle privatizzazioni e della rottura di ogni rigidità salariale o contrattuale del lavoro.
Il lavoro sporco che le classi dominanti hanno affidato al governo Monti sta dentro questo quadro analitico e sociale.
Occorre segnalare – tra l’altro – come Monti disponga di un margine di manovra migliore di quello della Merkel e di Sarkozy che devono fare i conti con le elezioni alle porte, mentre Monti – al momento – non ha di questi problemi e non deve rendere conto, almeno immediatamente, a nessun elettorato. Tale “punto di forza” di Monti, è stato sottolineato di recente dal Financial Times ed è alla base della “speciale attenzione” che la stessa amministrazione Usa riserva al primo ministro italiano e che spiega anche la speciale relazione tra Monti e la Gran Bretagna dentro le storiche e crescenti divaricazioni che questa sta accentuando nel suo rapporto con Francia e Germania sui nuovi Trattati Europei.
Se queste osservazioni sono realistiche, significa che lo scenario politico più probabile con cui dovremo fare i conti in Italia nei prossimi mesi, sarà quello di un governo che andrà avanti fino alla fine della legislatura (2013) e che utilizzerà questa condizione di sospensione della democrazia rappresentativa (pienamente legittimata da Napolitano che ha una enorme responsabilità negativa in quanto sta accadendo) per avanzare nel “lavoro sporco” sul piano economico e sociale. Il segnale inviato ai sindacati Cgil Cisl Uil sul versante attinente il metodo della concertazione la quale non sarà più interpretata come un passaggio obbligato per i governi, è indicativo. Nel contempo và avanti il processo di destrutturazione delle classi medie, una parte delle quali vengono proiettate verso una condizione di “proletarizzazione” dalle misure fiscali e dalle liberalizzazioni imposte dal governo (taxisti, autotrasportatori, coltivatori diretti, piccoli imprenditori etc.) ma anche dalla brusca restrizione delle politiche del credito da parte del sistema bancario.
Su quali proposte discutere, quali proposte mettere in campo:
E’ decisivo che i comunisti entrino in campo con le proposte dentro e contro la crisi. Esiste infatti il rischio che si affermi una soluzione reazionaria alla crisi che vede protagonisti i fascisti e la Lega, i quali stanno raccogliendo lo scontento sociale meglio di quanto facciano i partiti della sinistra. Sbagliano quei compagni e compagni che esorcizzano le proteste sociali in corso in Sicilia o in altre parti del paese, ritenendole solo massa di manovra dei fascisti. In realtà queste sono l’effetto della proletarizzazione di una gran parte delle classi medie che era ampiamente prevedibile come conseguenza delle misure fiscali e finanziarie imposte dall’Unione Europea e attuate dal governo Monti. In questa lotta dentro le conseguenze della crisi nei settori popolari, è fondamentale che i comunisti recuperino identità politica, conducano anche una lotta ideologica, svolgano una effettiva funzione di massa sul piano dell’organizzazione del conflitto sociale e non solo quella della propaganda.
– L’alleanza dei paesi Piigs. I compagni dei partiti comunisti greci e portoghesi, avanzano ad esempio la proposta di fuoriuscita dall’Unione Europea. Un progetto di questo tipo – coordinato tra le forze progressiste, democratiche e di classe in tutti i paesi Piigs che stanno pagando le conseguenze più pesanti dei diktat della Bce e del direttorio franco-tedesco – è una proposta che andrebbe discussa con rigore e immediatezza anche nel nostro paese. Ci sono ipotesi interessanti che sono state avanzate e ampiamente documentate su questa soluzione. In Italia invece, sia nella sinistra che tra i comunisti ci si è appiattiti molto spesso su un europeismo quasi acritico e scontato che appariva via via sempre meno coerente con gli sviluppi reali nell’Unione Europea costruita dai grandi gruppi capitalistici. La lotta per l’unità dei popoli europei ma contro l’Unione Europea (che è l’apparato politico, economico dei gruppi dominanti), per non sottomettersi ai nuovi trattati europei antipopolari e antidemocratici, per decostruire l’Unione e ridefinire nuove e alternative di integrazione regionale, è un aspetto decisivo dell’internazionalismo del XXI° Secolo
– Il non pagamento del debito pubblico che rimetta radicalmente in discussione le priorità. Occorre affermare con forza che il debito è diventato una schiavitù e una clava contro lavoratori, pensionati, servizi sociali, disoccupati e la stessa democrazia. L’idea che il debito vada comunque pagato va completamente rimessa in discussione e rovesciata. I parametri su cui ragionare a proposito del debito, non possono essere quelli imposti dal capitale finanziario né parametri meramente economici. Il nodo del debito è soprattutto politico perché il debito accumulato è in larga parte illegittimo. Dunque prima lo sviluppo e il congelamento del pagamento degli interessi, poi – se ci sono le risorse – si rinegozia in modo selettivo il debito pubblico separando il risparmio delle famiglie dagli interessi speculativi di banche, assicurazioni, fondi di investimento privati , italiani o stranieri che siano. Una disamina obiettiva della storia e degli stock del debito pubblico italiano, rivelano che esso è esploso proprio per finanziare il settore privato piuttosto che la spesa pubblica.
– La nazionalizzazione delle banche per sottrarre strumenti alla speculazione e per riprendere il controllo del credito che invece sta strangolando interi settori della società. Fino al 1992 c’erano le BIN (Banche di Interesse Nazionale) che sono state privatizzate e che hanno dato vita ai grandi monopoli bancari Unicredit e Banca Intesa o sono finiti in mano alle banche francesi (Bnl-Paribas). Non pagamento del debito e nazionalizzazione delle banche sono aspetti inscindibili della medesima proposta.
– La riapertura del dibattito sulla pianificazione economica come strumento enormemente più efficace del liberismo per affrontare i problemi strutturali dell’economia e della natura oggi devastati dal modello di sviluppo capitalistico. La versione neoliberista e quella keynesiana dell’economia capitalista si sono dimostrate fallimentari. I dati storici lo dimostrano e quelli dell’attualità lo confermano. Crescita delle disuguaglianze, infarto ecologico, boom delle spese militari e pericoli di guerra sono oggi questioni percepite da settori della società assai più ampi che nel recente passato.
Proposte per una azione politica comune:
I comunisti, ovunque collocati, dovrebbero sostenere e attivarsi per il referendum contro i nuovi Trattati europei e la revisione dell’art.81 della Costituzione che introduce l’obbligo del pareggio di bilancio. Su questo i compagni del PdCI, del Prc, della RdC e di altre organizzazioni, possono sperimentare una azione di massa comune nei quartieri, nei luoghi di lavoro, nelle università. La questione dei nuovi trattati europei e dell’art.81 è una occasione straordinaria di intervento nei settori popolari del paese e di orientamento politico sui nodi di fondo, in contrasto alla demagogia reazionaria dei fascisti e della Lega sull’euro, l’Europa etc.
La lotta contro i preparativi di guerra in Medio Oriente. Sono ancora in troppi che sottovalutano i pericoli di guerra – a breve – che si stanno accumulando in Medio Oriente contro la Siria e l’Iran. Questa straordinaria sottovalutazione degli “incidenti della storia” in un contesto di crisi profonda come quella in corso, deve e può vedere i comunisti svolgere un ruolo di denuncia, orientamento e iniziativa di massa importante. Sulla aggressione alla Libia questo è mancato. Questo errore non va ripetuto. C’è un appello di personalità (Vattimo, Losurdo etc.) contro la guerra e l’embargo in Siria e Iran uscito di recente e che abbiamo firmato un po’ di tutti. Può essere una base di partenza per una iniziativa pubblica e comune contro la guerra da mettere in campo prima possibile.
- Rete dei Comunisti
(Intervento al convegno “91° del PCdI: un centenario da ricostruire”, Giulianova (TE), 28 gennaio 2012)
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