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“No debito”. Un movimento politico contro i “crediti di guerra”

Tali differenziazioni si condensano tutte intorno alla proposta dell’audit , ovvero un’indagine analitica sul debito pubblico, che sfoci (ma non è obbligatorio che lo faccia) in una “divisione” di esso in “legittimo”, quindi rimborsabile, e “illegittimo”, quindi non rimborsabile. E’ su tali temi che quì si vuole discorrere.

Innanzitutto premetto che, a mio parere, la questione del non pagamento del debito pubblico va interpretata in chiave strettamente politica, quindi non ideologica, né economica, altrimenti si rischia di rimanere impigliati in nodi analitici e interpretativi impossibili da sbrogliare in questa fase.

Con ciò s’intende dire che tale rivendicazione ha sicuramente, dal punto di vista pratico, più gradi di applicazione: il non pagamento totale del debito, il pagamento solo di una parte di esso, considerato “legittimo” secondo determinati criteri (ad esempio, quello contratto con piccolissimi risparmiatori), una moratoria su di esso in attesa di una ristrutturazione e rinegoziazione coi creditori, ecc.; scegliere quale fra queste proposte deva essere fatta propria dal comitato mi pare in questa fase, come detto, completamente fuori luogo e, pertanto, mi pare fuori luogo anche giudicare quale opzione sia riformista, quale realmente comunista e via attribuendo etichette ideologiche; se lo si facesse, si rischierebbe di rendere politicamente sterile la proposta. Cercherò di motivare tale punto di vista.

A mio parere, è sicuramente illuminante il paragone storico con cui il compagno Cremaschi cerca di dare la sua chiave di lettura in proposito: il rifiuto di pagare il debito pubblico in questo momento storico equivale al rifiuto che, nel 1914, una parte del movimento operaio europeo oppose alle rispettive borghesie nazionali di pagare i crediti di guerra e, quindi, di appoggiare politicamente l’entrata in guerra del proprio paese . Anche allora, come oggi, la parte maggioritaria della sinistra, ovvero le socialdemocrazie, votarono i crediti di guerra in maniera convinta e le classi operaie erano divise nazionalmente; la crisi ed il conflitto bellico tuttavia, allora, portarono alla rottura rivoluzionaria nell’anello debole della catena imperialista, cioè la Russia, ad opera di una soggettività politica la quale aveva, fra i propri punti programmatici fondanti, l’uscita dalla guerra; cosa che poi perseguì al prezzo di pesanti compromessi con la potenza imperialista tedesca ( si ricorda che la Russia di Lenin, per uscire dal conflitto mondiale dovette contrarre con la Germania, fra le altre cose, una grossa indennità di guerra, quindi un pesante debito pubblico; questo precedente storico da solo dovrebbe bastare per convincerci che le proposte di ristrutturazione o di pagamento di una parte considerata “legittima” del debito pubblico non è di per se riformista e non va considerata in astratto! Ogni proposta o decisione dipende sempre dallo scopo politico che ci si propone, ovvero l’uscita dalla guerra a tutti i costi nel caso russo del 1917-18). Allo stesso modo, oggi, attraverso la parola d’ordine del non pagamento del debito pubblico, dobbiamo provare a dire no alla partecipazione dell’Italia, in quanto comprimario che si auto assegna il destino di essere maciullato, alle guerre finanziarie in atto, tracciando una via di uscita politica dalla “macelleria sociale” che esse provocano; questa prospettiva può interessare in maniera particolare la classe lavoratrice italiana, in quanto l’Italia fa parte dall’anello debole della catena imperialista dell’UE, vale a dire dei cosiddetti PIGS, che più subiscono gli effetti nefasti delle politiche di austerità imposte dalle istituzioni europee; tuttavia, essendo tale prospettiva obiettivamente lontana, non ci è ancora consentito di poter definire in maniera esatta queste vie di uscita, né il prezzo che bisognerebbe pagare ( in tal senso, come ipotesi di scuola, si rimanda al libro di Vasapollo, Martufi, Arriola “Il risveglio dei maiali”, in cui si tracciano i vari passaggi necessari ai paesi PIIGS per poter uscire insieme dall’UE e dal modello di sviluppo neo-liberista evitando contraccolpi economico-finanziari distruttivi).

Allora qual è la prospettiva politica più immediata, sulla base della quale il comitato deve operare proposte di fase adeguate? A mio parere è sicuramente l’esigenza di accumulare forze (lo era, per altro, anche la proposta di uscita dalla guerra da parte del Partito Bolscevico), sfruttando le contraddizioni del campo avverso. E’ in questa chiave che la proposta del non pagamento del debito pubblica trova terreno fertile: essa va proprio a cogliere la contraddizione fra la necessità, da parte delle borghesie mondiali, e in particolare, per quanto ci riguarda, di quella dominante in Europa, ovvero quella tedesca, di rilanciare il ciclo di accumulazione capitalistico sulle spalle dei lavoratori, di preferenza quelli dei paesi periferici, e la tenuta di una delle bandiere delle stesse borghesie, vale a dire la democrazia liberale, innestata, in Italia, sull’alto compromesso della Costituzione del 1948; in tal senso, è superfluo ricordare in questa sede in maniera particolareggiata le svolte autoritarie che stiamo vivendo nel nostro paese e in Grecia con i governi Monti e Papademos, i quali hanno impresso un’accelerazione pesante allo svuotamento di fatto di tutte le istituzioni rappresentative e “dirette” (referendum, parlamenti) e al restringimento delle altre libertà democratiche. Su questi temi, per altro già presenti nella piattaforma del comitato no debito, nel prossimo futuro si giocano partite egemoniche fondamentali, vincendo le quali si possono strappare pezzi importanti di consenso alla borghesia.

Veniamo ora alla questione dell’audit. Anche ad essa, a mio parere, bisogna accostarsi avendo al centro l’idea politica di accumulare forze, mettendo da parte impropri ideologismi. Ebbene, se un’indagine sul debito pubblico può essere utile a rendere evidente a fette maggiori di lavoratori come la sua crescita esponenziale sia dovuta non allo scopo di finanziare welfare, servizi e “farci vivere al di sopra delle nostre possibilità”, ma ad operazioni di speculazione finanziaria da parte di grandi banche e fondi d’investimento, e come l’ormai insostenibile carico fiscale che grava sulle loro spalle faccia da contraltare ad un carico progressivamente venuto in calando sulle imprese e sui grandi capitali ( senza contare l’evasione fiscale e la messa a profitto delle enormi economie sommerse di mafia, camorra e ‘ndrangheta), in tal caso essa è da mettere all’ordine del giorno e non va derubricata a priori come “riformista”; aiuterebbe, infatti, ad incrinare il dogma secondo cui il nostro problema principale è, appunto, l’alto debito pubblico e non il sistema economico che lo ha fatto alzare per socializzare le sue perdite e che, in generale, è andato in crisi.

Non è tema di quest’articolo entrare più nel merito dell’audit e dare un parere completo sulla sua effettiva fattibilità ed efficacia; si è tracciato solo un metodo di giudizio. Naturalmente, bisognerebbe, eventualmente, definirne i criteri, la cui discussione andrebbe collettivizzata e tematizzata nel movimento con approccio “laico” e non ideologico.

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