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Maledetta “concertazione”, Monti ti sbranerà

Questo intervento, apparso su “il manifesto”, rimette la disussione con i piedi per terra.

Maledetta «concertazione», il prof ti sbranerà

Tommaso De Berlanga
Guerra e concertazione si escludono a vicenda, per principio. Mario Monti lo sa bene e non a caso li ha menzionati nello stesso discorso, descrivendo la prima come appena all’inizio e la seconda come causa di tutti i mali di cui soffre il paese.
Viene da pensare che Monti sia un «tecnico» del linguaggio, più che dell’economia. Difficile che dica la verità o usi una parola secondo il significa «sociale» che ha assunto nel tempo. Sulla «guerra» non c’è molto da aggiungere, se non che è iniziata da cinque anni e che – se dovesse aver ragione Nouriel Roubini – le battaglie vere sono ancora tutte da combattere. E in guerra si impone il comando unico centralizzato, con filiere sicure di trasmissione degli ordini e un uso della forza misurato sull’obiettivo da raggiungere, non sulla «proporzione» con la resistenza da superare. La democrazia va a riposo, confinata tra gli ideali da ripristinare quando possibile – e se possibile – mentre viene abolita nell’esercizio quotidiano di governo. Il «vincolo esterno» – sia esso il «nemico alle porte» o più banalmente lo spread – fa premio su tutto e tutto subordina.
Sulla «concertazione», invece, Monti opera uno slittamento di senso particolarmente evidente, che stupisce non sia stato colto neppure dal sindacato. Con questo termine, infatti, si usa indicare da vent’anni esatti una modalità di confronto sociale che impone un arretramento sistematico al mondo del lavoro, riconoscendo però ai sindacati un ruolo «politico» nella misura in cui non ostacolano le misure di politica economica decise dall’esecutivo.
A noi la pratica della «concertazione» non è mai piaciuta. Era facile prevedere, all’inizio, che avrebbe abbattutto il potere d’acquisto del lavoro dipendente. Così è stato, ma in una misura che nessuno aveva osato prevedere. Di fatto, oltre 20 anni fa, un solo reddito da lavoro dipendente era sufficiente a far vivere una famiglia. Oggi non ne bastano due, spesso. Di questa «concertazione», non a caso, le imprese non si sono mai lamentate. Anzi. Con l’eccezione, da due anni a questa parte, della Fiat di Sergio Marchionne.
Ecco, l’intemerata di Monti contro la «concertazione» è pervasa di spirito marchionnesco e prende di mira la «mediazione sociale» in quanto tale. Ovvero il fatto – cementificato nella Costituzione – che interessi dell’impresa e del lavoro devono trovare una composizione conflittuale, pervenendo infine a una definizione contrattuale che entrambe le parti riconoscono. È a questa dinamica che Monti attribuisce «tutti i mali contro cui il governo sta combattendo», non certo a quella pratica stracca e cedevole che si usa definire «consociativa» sul piano politico e «concertativa» su quello sindacale.
La sua sortita davanti all’Abi – non a caso: solo la finanza non ha particolari vincoli «territoriali» che la obblighino a «contrattare» con un’avversa parte sociale – ha dunque un significato «bellico» ben più violento di quello indicato dalle nude parole. Perché ha di mira il patto costituzionale che ha garantito, fra strappi e conflitti anche durissimi, la coesione sociale dal ’45 ad oggi. Tra quella guerra e quest’altra.

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