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Sentenza Genova 2012 – No al terrorismo di stato

Alla fine è la vendetta è arrivata.

La prima reazione è odio allo stato puro.

Odio per l’autoassoluzione di uno stato, odio per la sofferenza che si è inflitta con l’assassinio di Carlo Giuliani, odio per le torture, i sequestri, le minacce, le violenze diventate diritto.

Odio per la sofferenza che si vuole scientificamente infliggere alle compagne e ai compagni arrestati e grande senso di vicinanza, condivisione e infinita solidarietà per loro ed è la solidarietà di chi sa di essere dalla stessa parte della barricata.

Ma sapevamo già tutto di questa sentenza già scritta.

E non avevamo nessun dubbio che il vero risultato finale fosse l’autoassoluzione dello stato e la vendetta contro chi c’era.

Non avevamo alcuna illusione a Genova nel 2001 sull’emendabilità del capitalismo e non ne abbiamo nessuna, oggi nel 2012, sull’applicazione feroce, terroristica e preventiva della repressione

Il massacro in piazza di allora si è concluso oggi con la condanna nello specifico dei compagni e delle compagne sotto processo e, in generale, di tutti coloro che, nelle diversità e nelle contraddizioni, quelle piazze hanno fatto vivere.

 

Un macigno è caduto su quelle giornate che per molti sono state uno spartiacque e che per la nuova generazione di compagni e compagne – anche abbacinate dal falso mito dei riot di Seattle e dalla generica indicazione della lotta alla globalizzazione – hanno rappresentato la definitiva caduta delle residue illusioni progressive della democrazia borghese.

Ma occorre però guardare oltre lo specifico di queste condanne.

Il segnale che arriva con le condanne della cassazione sono contro ogni eventuale opposizione, sia che abbia la forma della coscienza critica come nel 2001, sia che abbia la forma della protesta sociale diffusa e più prettamente una coscienza di classe veramente antagonista all’esistente.

Non si ammette nessun tipo di lotta contro il sistema di comando.

Lo stato di cose di esistente si vuole (vorrebbe) intangibile.

Attenti quindi no tav, lavoratori in lotta (cooperative, fabbrica…), movimento per la casa e per i diritti sociali in genere: lo stato c’è e, in questa fase di crisi cosi devastante, il suo ruolo principe è la repressione con manganelli e pallottole prima, con la giustizia ordinaria poi.

 

Non avevamo nessun dubbio.

A fronte della macelleria sociale in corso nessuno si deve azzardare minimamente a pensare di mettere in discussione l’opera del governo e del potere che sta portando avanti uno scempio senza precedenti contro diritti sociali e i salari dei lavoratori.

Se a Genova qualcuno guardava ai popoli del terzo mondo come dirette vittime della crisi, oggi tale crisi arriva tra i proletari dei paesi occidentali nelle forme più violente.

E quindi lo stato fa il suo dovere: salvare banche e padroni e far pagare i lavoratori.

Le sentenze della cassazione mandano questo messaggio ai movimenti.

E chi si aspettava giustizia aveva dimenticato una cosa semplice: la magistratura è parte integrante del sistema statuale esistente così come il potere legislativo e il governo.

Uno non potrà mai sconfessare l’altro e, alla fine, se la direzione intrapresa è quella della progressiva svolta autoritaria (con un governo dei tecnici creando una vera sospensione dei meccanismi della stessa democrazia parlamentare) per mantenere il sistema produttivo esistente, allora non si avrà che una definita compattezza nell’agire.

 

Ci chiediamo quindi, quanti siano ancora oggi gli illusi che credono nell’emendabilità di uno stato ben definito nei compiti di difesa di un sistema basato sullo sfruttamento di una classe nei confronti dell’ altra.

Non esiste più (semmai fosse esistita) quella idea  di compromesso sociale che nel dopoguerra aveva dato un ruolo  negli assetti di gestione dell’esistente.  

La stessa concertazione sociale e sindacale è bandita, cadono quindi le ultime chimere.  

E’ la lotta l’unico modo per ricominciare avere il ruolo politico che la storia richiede.  

Occorre quindi fin da subito che ogni lotta esprima nella sua particolarità un riflesso della generalità.

Difendere un posto di lavoro, una casa, un territorio sono parte integrante di una battaglia generale per porre la questione diritti come imprescindibile e incompatibile con il sistema economico esistente.

 

La cosa certa è che di fronte alla repressione (nelle varie forme si esprima) non ci si deve fermare. Le lotte devono continuare e la solidarietà deve essere ancora più forte.

Questo non è il mondo che vogliamo e su questo non abbiamo nessun dubbio.

Per una trasformazione radicale dell’esistente, per una società senza classi ne sfruttamento !

Il conflitto di classe è l’unica risposta possibile !

Solidarietà a tutti i compagni e le compagne arrestati !

I compagni e le compagne del Centro Sociale Vittoria

Milano 19.07.212

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