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Non sfondate quella porta


 

Il comportamento delle autorità britanniche che hanno minacciato di revocare l’immunità all’ambasciata dell’Ecuador a Londra e di inviare la polizia nella sede diplomatica per arrestare il rifugiato Assange, non indica solo la durezza del confronto politico fra Regno Unito e Ecuador, ma è un elemento allarmante che rischia di infliggere un ulteriore strappo alle consuetudini di convivenza pacifica fra le nazioni rispecchiate dal diritto internazionale.
È a tutti noto che, per una consuetudine antica del diritto internazionale, che precede la stessa Convenzione di Ginevra del 1961 sulle relazioni diplomatiche, i locali delle ambasciate dei paesi che hanno una delegazione diplomatica accreditata sul territorio di un altro Stato godono dell’inviolabilità e dell’extraterritorialità. Cioè non possono essere soggetti ad atti d’imperio da parte dello Stato ospitante, che non può effettuare perquisizioni, sequestri, arresti o irruzioni di alcun tipo. Né, d’altro canto, lo Stato ospitante potrebbe revocare lo status di immunità diplomatica dei locali della delegazione estera fino a quando non si dovesse arrivare alla rottura delle relazioni diplomatiche fra i due paesi.
E tuttavia l’ambasciata di Londra a Quito ha inviato una minacciosa comunicazione alle autorità equadoregne, richiamando una legge del 1987, il Diplomatic and Consular Premises Act, mai applicata prima, che in teoria le consentirebbe di arrestare Julian Assange all’interno dell’ambasciata. La legge dà il potere alle autorità britanniche di revocare unilateralmente lo status di una rappresentanza diplomatica se lo Stato in questione «cessa di usare la sede per gli scopi della sua missione o attività consolare», ma tuttavia la stessa legge precisa che la revoca è possibile solo se questa azione è «consentita sulla base del diritto internazionale».
La prima osservazione da fare è che una legge nazionale non può conferire ad un governo, nella sua attività relativa allo svolgimento delle relazioni internazionali, poteri che non siano consentiti dal diritto internazionale. Pertanto ogni provvedimento di deroga all’immunità delle sedi diplomatiche può essere assunto dalle autorità nazionali dello Stato ospitante soltanto se sia consentito dalle norme del diritto internazionale, pattizie (la Convenzione di Ginevra) e consuetudinarie.
Nel caso di specie, l’art. 3 comma 2 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche prevede espressamente che «nessuna disposizione della presente Convenzione può essere intesa come vietante l’esercizio di funzioni consolari da parte di una missione diplomatica». E del resto la stessa legge inglese, invocata dalle autorità britanniche, indirettamente riconosce che l’immunità non può essere revocata per censurare l’esercizio di attività consolari. Fra le quali rientrano indubbiamente concedere passaporti, stipulare atti notarili, celebrare matrimoni, ma anche vagliare le domande di asilo presentate dai rifugiati.
Del resto la possibilità delle sedi diplomatiche di concedere asilo a rifugiati, perseguitati nel paese ospitante costituisce una prerogativa che i paesi occidentali hanno sempre rivendicato, esercitato e fatto rispettare anche in condizioni di durissimo confronto politico con il paese ospitante. Si pensi alla vicenda del Primate d’Ungheria, il cardinale József Mindszenty, che perseguitato dal regime comunista, si rifugiò nell’ambasciata americana a Budapest nel 1956 e vi rimase sino al 1971, quando le autorità ungheresi gli concessero un salvacondotto per la Santa Sede. Oppure a quanti cileni perseguitati dal regime di Pinochet, si sono rifugiati nelle ambasciate occidentali, ivi compresa quella della Gran Bretagna, ed hanno chiesto ed ottenuto asilo politico, ricevendo poi un salvacondotto per lasciare il Cile.
Se la Gran Bretagna, violando il diritto internazionale, violasse l’immunità della sede diplomatica dell’Equador per arrestare il “ricercato” Assange, disconoscendo il suo stato di persona protetta dal diritto di asilo concesso da uno Stato sovrano, sparerebbe una cannonata contro se stessa.
Cosa succederebbe nelle ambasciate britanniche ed occidentali in paesi che non rispettano i diritti dell’uomo se in questi luoghi trovassero rifugio delle persone perseguitate? Se per esempio una donna condannata alla lapidazione in Iran sfuggisse ai suoi carcerieri e si rifugiasse nell’ambasciata britannica, quale motivo impedirebbe ai pasdaran degli ayatollah di penetrare nella sede diplomatica ed eseguire la “lapidazione” sul luogo?
In questa vicenda l’arroganza del foreign office rischia di provocare un danno incalcolabile alla causa dei diritti dell’uomo e di infliggere uno strappo non rimediabile al diritto internazionale che costituisce, pur sempre, la base della convivenza pacifica fra le nazioni.
da “il manifesto”

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