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Un governo “a la carte”

1. Vinti e vincitori. Sia ben chiaro: Bersani ha perso le elezioni perché travolto dalla rimonta di Berlusconi e dal fallimento di Monti (l’irruzione dei “grillini” è soltanto variabile subordinata). Così non ha la maggioranza al Senato (alla Camera sì, ma solo per la regola vergognosa che assegna il 55% dei seggi alla prima coalizione, qualche che sia la sua percentuale di voti – nella fattispecie il centro-sinistra col 29%). A queste condizioni a Bersani si pongono due problemi che vanno tenuti distinti: 1) la conquista di una maggioranza parlamentare per meritarsi la fiducia, 2) la proposta di misure, soprattutto di politica economica, da far poi passare in Parlamento.

2. Sulla “fiducia”. Per guadagnarsi la maggioranza al Senato il PD deve trovare un alleato che può essere alternativamente il PdL oppure il M5S. E’ ovvio che a Bersani piacerebbe l’accordo con Grillo, così da rifarsi una verginità “di sinistra” dopo essere stato “culo e camicia” con Berlusconi durante la sciagurata esperienza del governo Monti. Ma perchè Grillo dovrebbe concedergli una fiducia “al buio” dopo essere stato sbeffeggiato (il “comico”!) lungo tutta la campagna elettorale? Se però Grillo resta fermo sulla posizione dell’“uomo che ride”, Bersani in Senato dovrà cavarsela ricercando i voti di Berlusconi (a meno di non rischiare nuove elezioni con ancora questa legge elettorale), forse anche al prezzo di passare la mano a Renzi nella ricerca della alleanza con il Caimano.

Qualora però il PD non ce la faccia a mandar giù il rospo (la sua base è comunque abituata alle “svolte di Salerno”, della serie “non capisco, ma mi adeguo”), non resta che un governo di nomina regia, come già quello di Monti. Si trovi un senatore a vita e gli si affidi il compito di guadagnarsi la maggioranza parlamentare PD+PdL e non se ne parli più (a meno che Napolitano, con un vero “colpo di teatro”, non nomini Grillo senatore a vita per affidargli l’incarico di un governo M5S+PD – ma lo credo improbabile).

3. Sulla politica economica. Assegnata la “fiducia” ad un governo senza Grillo, il Parlamento potrà legiferare. E qui sta la vera innovazione del momento presente che potrebbe essere data dalla esperienza inedita di un governo a geometria variabile. Infatti una maggioranza al Senato PD+PdL dovrebbe fare i conti con le promesse elettorali dei due partiti: “prima il lavoro” (non so in che modo) e “restituire l’IMU” (questa è più chiara), altrimenti perderebbero la faccia. Qualunque cosa si proponga, dovrebbero essere provvedimenti d’ispirazione governativa rivolti alla crescita economica che potrebbero guadagnarsi l’approvazione in Senato con maggioranze indifferentemente del tipo Pd+PdL, Pd+M5S, PdL+M5S. In ogni caso sarebbe decisivo l’appoggio di uno dei due raggruppamenti (PdL e M5S) che hanno sfiduciato Monti (il PD non l’ha fatto) e che insieme superano il 50% dei seggi. In caso ciò segnerebbe la fine della politica di austerità fiscale dell’anno 2012 che ha solo impoverito l’Italia a maggior gloria del Quarto Reich (ma questa è un’altra storia…)

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