Menu

Processo Arcadia, i duri strascichi di un teorema politico-giudiziario


Il mostro era stato sbattuto in prima pagina, dieci volti di pericolosi terroristi campeggiavano sulla carta stampata come i ricercati sui muri in un film western di serie B.

Oggi, a quasi sette anni dagli arresti che hanno comportato carcerazioni preventive e misure cautelari lunghe oltre un anno, si aprirà il processo per 18 imputati (oltre ai dieci arrestati altri otto nomi tra i 54 indagati), accusati di associazione sovversiva, il famigerato art. 270 bis.
Secondo l’accusa gli imputati avrebbero fatto parte di due associazioni sovversive, OIR (Organizzazione Indipendentista Rivoluzionaria) e NPC (Nuclei Proletari per il Comunismo), che tra il 2002 e il 2005 avrebbero messo a segno circa trenta attentati e atti dimostrativi a obiettivi di vario genere. Ma le 195 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare si basano esclusivamente su intercettazioni ambientali, trascritte affiancando con tantissimi “puntini puntini” e omissis anche singole parole estrapolate da discorsi diversi, con un palese lavoro di “copia e incolla”. L’elemento su cui si basa l’accusa è la compatibilità tra il linguaggio e i temi contenuti nelle rivendicazioni e quelli presenti nei comunicati pubblici dell’organizzazione indipendentista. L’uso della lingua sarda, la denuncia dell’occupazione militare e del colonialismo economico e culturale furono, infatti, considerati indizi importanti per la costruzione delle accuse, supportate dal sequestro, durante le perquisizioni, di materiale ritenuto interessante dagli inquirenti, tra cui libri di poesie, grammatiche, nonché “numero 7 fogli di un calendario scritto in lingua sarda”. Lo stesso indipendentismo come ideale politico fu messo sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti per il suo potenziale eversivo.

Gran parte dell’opinione pubblica sarda ebbe subito la sensazione che in questa operazione qualcosa non tornasse, e dimostrò una forte e immediata solidarietà con gli arrestati, come testimonia la manifestazione “Contro la criminalizzazione delle opinioni politiche” svoltasi a Cagliari a dieci giorni dagli arresti, con una imponente partecipazione che ha rappresentato un caso più unico che raro in relazione ai capi di imputazione contestati e al particolare clima politico dell’epoca, e che ha impedito il trasferimento degli arrestati in carceri di massima sicurezza della penisola.

Per uno di essi la scarcerazione fu quasi immediata: il ferroviere sassarese Bruno Bellomonte, accusato di un fatto specifico, “provato” secondo gli inquirenti da un’intercettazione ambientale, in realtà il giorno dell’intercettazione si trovava in Tunisia, come dimostrava il timbro sul suo passaporto. Solo la fortunata circostanza di trovarsi in un paese extracomunitario in cui era richiesto l’ingresso con il passaporto lo “salvò” dalla lunga carcerazione preventiva subita dagli altri imputati, anche se la persecuzione nei suoi confronti proseguì con il processo sui presunti piani di attentati con modellini di aereo al G8 de La Maddalena, da cui fu assolto con formula piena dopo 29 mesi di carcere preventivo.

L’operazione Arcadia vede la luce all’interno di un contesto politico dominato dal Teorema Pisanu (dal nome dell’allora Ministro dell’Interno), che teorizzava – appunto – la presenza in Sardegna di una forma associativa con finalità eversive tra realtà politiche comuniste, anarchiche e indipendentiste.

Questo teorema veniva supportato anche dal dossier sul movimento anticolonialista sardo pubblicato nel 2005 dalla rivista italiana di intelligence “Gnosis”, che vedeva nella Sardegna «un laboratorio politico» in cui «l’appartenenza ad un preciso ceppo etnico-culturale ha reso possibile l’esperimento, sinora fallito in continente, di far prevalere le istanze di aggregazione rispetto alle specifiche ideologiche, all’interno di un processo di coesione nel fronte antagonista sardo».

Gli attacchi del Teorema Pisanu, furono dapprima rivolti contro l’anarcoinsurrezionalismo, un’etichetta che divenne di moda nelle questure e nella stampa, così come l’appello all’art. 270 bis del codice penale, con procedimenti che a fronte di numerosi arresti e somministrazioni di misure cautelari non portarono mai a delle condanne per associazione sovversiva davanti a un tribunale.

Il pullulare di sigle che rivendicavano azioni dimostrative sosteneva le affermazioni degli inquirenti circa l’esistenza di reti terroristiche ramificate, ma spesso la realtà dimostrata nelle aule di tribunali era diversa: è il caso delle ben 22 azioni rivendicate dalla sigla ASAI (Anonima Sarda Anarco Insurrezionalisti), dietro la quale si scoprì esserci l’azione solitaria di un trentenne di Assemini.

Nel marzo 2006 vengono invece arrestati tre militanti comunisti anticolonialisti di Nuoro, accusati di aver compiuto un fallito attentato ad una sede elettorale di Alleanza Nazionale, rivendicato dalla sigla CLS (Comitato Liberazione Sardegna). I tre subirono una lunga carcerazione preventiva ma anche nel loro caso non vi fu nessuna condanna per reati associativi, e venne dimostrato che le rivendicazioni a firma CLS erano opera di uno studente diciassettenne annoiato, che nulla aveva a che  vedere né con l’attentato né con gli arrestati.

Nel luglio 2006 quindi gli arresti che colpiscono A Manca pro s’Indipendentzia, un’organizzazione politica pubblica, con un’ampia potenzialità espansiva, cui viene attribuita la serie di attentati rivendicati dalle sigle NPC e OIR, su cui però si stagliano ombre inquietanti, evidenziate anche nella stessa ordinanza di custodia cautelare, a pagina 73. Gli investigatori del Dipartimento distrettuale antiterrorismo (Ddat) sollevano dei dubbi sul rinvenimento di un volantino a firma NPC nel cortile del polo di Sa Duchessa dell’Università di Cagliari, un episodio definito «dal contenuto poco chiaro». Perchè poco chiaro? Il “rinvenimento” (tra virgolette e in corsivo lo scrive lo stesso Ddat), era avvenuto durante le vacanze natalizie del 2004 (a facoltà chiuse) «ad opera di personale del Servizio segreto civile – Sisde»; la Digos di Cagliari viene informata il 30 dicembre direttamente dal Ministero degli Interni e un successivo sopralluogo accerterà la presenza di ulteriori copie del documento, ma per gli investigatori restano «da chiarire gli aspetti del “rinvenimento” e le ragioni per le quali la polizia giudiziaria di Cagliari fosse stata informata in ritardo senza poter verificare tempestivamente le circostanze del volantinaggio NPC».

Arrèxini seguirà il processo, di cui sarà importante cogliere lo spirito che animerà le decisioni dei giudici per capire se, come appare dall’esito dei processi svoltisi finora in cui il reato associativo è puntualmente caduto, lo spettro del Teorema Pisanu è finalmente scongiurato o se per inerzia si continuerà a far pesare sulla vita di 18 persone una fantasiosa quanto crudele teorizzazione appartenente ad una fase politica ormai conclusa.

Fonte: http://www.arrexini.info/processo-arcadia-i-duri-strascichi-di-un-teorema-politico-giudiziario/

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *