Menu

Pdci. Imparare dalla sconfitta

Pubblichiamo questo intervento, riprendendolo da Marx21.it, per dare un quadro delle domande poste, del livello di percezione dei problemi, delle reazioni utili e di quelle dannose.

*****

Cari compagne e compagni,

Ho letto alcuni dei contributi al dibattito che finalmente si va sviluppando su Marx XXI dopo la disfatta elettorale di RC. Alcuni interventi mi sono apparsi largamente condivisibili, in particolare quello dei compagni calabresi. Altri, al contrario, hanno un che di surreale, come se dopo essere finito a 150 all’ora contro un muro qualcuno volesse negare l’esistenza del muro stesso. Ma forse non tutto il male viene per nuocere, perché proprio l’enormità della sconfitta ci obbliga almeno a discutere francamente tra di noi su chi siamo e che cosa vogliamo – o almeno su cosa non siamo e cosa non vogliamo. A mio parere, il re ormai è nudo, ed è inevitabile cominciare con le seguenti semplicissime considerazioni.

1. La parola d’ordine del perseguimento della autonomia e della unità dei comunisti era sacrosanta, ma veniva sostanzialmente smentita e vanificata dalla nostra pratica politica. La linea e la strategia del partito, dal congresso di Rimini e anche da molto tempo prima, erano fondamentalmente errate. Inoltre, esse venivano percepite da molti compagni esterni al nostro partito e dalla gran parte della cosiddetta diaspora comunista come opportuniste. Di conseguenza, il PdCI, lungi dallo svolgere un ruolo catalitico di avanguardia per favorire l’unità della sinistra, non era in grado di esercitare alcuna egemonia neppure nella ridotta area della sinistra anticapitalista, in gran parte dispersa, mentre forniva continui e comodi assist a chi, dentro il PRC, ma anche altrove, lavorava contro la prospettiva di unita’ dei comunisti.

Eccezioni lodevoli erano costituite dalla politica internazionale e, in parte, da alcuni sforzi analitici – peraltro limitati essenzialmente alla sfera dell’economia e a volte viziati da trionfalismo – sulla crisi internazionale del capitalismo (eccellenti, in particolare, i contributi di Vladimiro Giacche’) e sui parziali successi di alcuni dei molti tentativi di costruzione del socialismo dal 1917 a oggi. Tuttavia, purtroppo, la nostra visione del mondo esterno e della stessa crisi capitalistica (sostanzialmente corretta) non aveva in pratica nessun rapporto con l’azione e la strategia del PdCI all’interno del nostro paese, almeno nella misura in cui questa potesse essere percepita dalla gente comune e dagli stessi compagni esterni al partito in termini generali.

2. Il vizio di fondo della strategia del partito nasceva – e non da ieri – dall’analisi della natura del PD. Il gruppo dirigente del PdCI sembrava ritenerlo un partito di sinistra, semi-socialdemocratico, con il quale era imperativo cercare di costruire una alleanza strategica, puntando a favorire la costituzione di un “governo amico” in tempi brevi.

A mio parere, invece, il PD e’-nel suo nucleo dirigente un partitointerno al sistema al 100%, e quindi per definizione anticomunista. Tuttavia, non e’ neppure un partito borghese qualunque, poiché questo nucleo dirigente è composto in massima parte da personaggi che hanno costruito le loro carriere rinnegando gli ideali della prima parte della loro vita politica: esattamente il contrario di quanto ha fatto ad esempio il compagno Diliberto, che ha più’ volte dichiarato con grande dignità che il suo più grande orgoglio è di esservi rimasto fedele.

Nel fare queste affermazioni piuttosto pesanti mi rendo conto di sostenere una tesi che può apparire secca e manichea, e che è certamente apodittica nell’economia di questo breve articolo (per cercare di argomentarla un po’ più compiutamente ci vorrebbero centinaia di pagine). Prego i compagni di scusarmi e di considerare questo punto chiave essenzialmente come un assioma (cioè una proposizione o principio che viene assunto come vero perché ritenuto evidente o perché fornisce il punto di partenza di un quadro teorico di riferimento, secondo Wikipedia) necessario per la prosecuzione del mio breve discorso. Aggiungo tuttavia a sostegno della mia tesi un paio di considerazioni che mi sembrano di senso comune.

3. Il PD, i suoi “intellettuali organici”, i media e le organizzazioni che lo fiancheggiano sono totalmente subalterni (sia da un punto di vista ideologico che da quello degli interessi materiali che difendono) agli interessi del capitalismo imperialista, ondeggiando tra il servilismo negli confronti degli USA e quello nei confronti della Germania. L’ultimo gruppetto di voltagabbana che si e’ aggiunto a questa non simpatica congrega è costituito dagli scissionisti vendoliani, chiamati a dare una manonel distribuire oppio al popolo.

E’ appena il caso di ricordare che da tempo questi signori hanno scavalcato a destra lo stesso Berlusconi con le loro parole e azioni relative a questioni cruciali, vantandosi ad esempio di superarlo di gran lunga come alfieri autentici del neoliberismo e costringendolo suo malgrado a partecipare alla guerra imperialista contro la Libia. L’atteggiamento adottato nei confronti della guerra imperial-terrorista contro la Siria o nella grottesca vicenda dei marò ( conclusasi con una clamorosa e meritata umiliazione del governo italiano) non è diverso.

Negli ultimi tempi, inoltre, spostandosi ulteriormente a destra, il PD si e’ orgogliosamente convertito nel più tenace baluardo dellapolitica di “austerità ” antipopolare e di classe del governo dei “tecnici”, coerentemente con la peculiare vocazione buonista/masochista che lo ha tradizionalmente caratterizzato. Il prossimo passo verso destra, però, sarà probabilmente costituito dall’avvento di Renzi, un avversario politico assai più scafato dei suoi predecessori.

4. Considerata la gravita’ dell’errore analitico compiuto dai dirigenti del PdCI sulla natura del maggiore partito di “centro sinistra”, il fatto che ne discendesse una tattica suicida non può sorprendere. La tattica che derivava da una strategia sbagliata non poteva che essere a sua volta sbagliata. Sarebbe quindi fuorviante sostenere che la nostra rovina sia stata causata da semplice tatticismo.

In effetti, la nostra “tattica di alleanze” si e’ caratterizzata praticamente fino a ieri da un atteggiamento eccessivamente subalterno nei confronti del PD, peraltro coerente con le molte dichiarazioni ufficiali dei nostri dirigenti che ripetevano a ogni pie’ sospinto che ottenere una qualche rappresentanza parlamentare costituiva per il partito la priorità assoluta. La partecipazione alle primarie e’ stata la ciliegina sulla torta. E’ molto triste doverlo riconoscere, ma la mia impressione e’ che di conseguenza la credibilità del PdCI sia stata fortemente erosa, in particolare presso molti dei suoi potenziali sostenitori.

Nel frattempo, in Italia montava l’esasperazione sociale, che non poteva certo identificarsi con chi quotidianamente si dichiarava pronto a farsi in quattro senza contropartite per favorire la formazione di un governo guidato dai piu’ entusiasti sostenitori di Monti. Cosi’, noi – in buona compagnia con Rifondazione, Di Pietro e Ingroia, uomo onesto ma non particolarmente carismatico – abbiamo preso il 2%, e ci siamo trovati Grillo al 25%.

5. Che fare, dopo questo ennesimo disastro? Raccogliere un po’ di cocci, riabilitare lentamente l’immagine deteriorata del partito, cercare di ritrovare noi per primi il senso, la coerenza e l’orgoglio di essere un partito comunista. Non dobbiamo abbatterci. Del resto, non siamo ne’ i primi ne’ gli unici a ritrovarci in condizioni analoghe. Altri partiti comunisti e rivoluzionari, e tra essi alcuni dei più gloriosi, come i partiti comunisti sovietico e cinese, hanno commesso nel passato errori ben piu’ gravi dei nostri. Parlare di cambiare il mondo è facile, farlo è difficile.

La prima cosa da farsi – su questo, credo, siamo tutti d’accordo – è confrontarci anche duramente tra di noi, come abbiamo cominciato a fare, su tutte le questioni fondamentali. La seconda – e su questo so che non siamo tutti d’accordo – è cambiare completamente l’analisi del cosiddetto centrosinistra e ammettere che non di amici o potenziali alleati si tratta, ma di avversari politici, che come tali vanno combattuti. Ritengo quindi inevitabile e doveroso andare al più presto al congresso e sostituire la gran parte del gruppo dirigente, che onestamente peraltro si presenta dimissionario. Come corollario, credo che dovremmo anche smetterla con le illusioni elettoralistiche con o senza simbolo nella scheda, con o senza riedizioni dell’arcobaleno, di “rivoluzione” civile, o di altri consimili e indigeribili minestroni. La verità e’ che, con ogni probabilità, per molti anni noi comunisti italiani non avremo la forza di presentarci alle elezioni con una camicia pulita e potendo contare su un risultato decente, e quindi è meglio che ce ne facciamo una ragione e la smettiamo di collezionare brutte figure.

Quanto al resto, ritengo prioritario fare appello al realismo e al senso comune. Tentiamo di ricostruire un minimo di struttura di quadri e di (ri)costituire con pazienza delle piccole casematte ( cellule in qualche luogo di lavoro, nelle scuole e nelle università, alcune sezioni territoriali); di promuovere lo sforzo intellettuale di analisi e di proposta; di interagire (con cautela e stando attenti a non cadere nel bertinottismo modaiolo) con i “movimenti” e le le lotte più o meno spontanee che si allargheranno a macchia d’olio con l’aggravarsi della crisi; di dialogare apertamente e senza pregiudizi con il contraddittorio movimento antisistemico capeggiato ( finche’ dura) da Grillo.

Questi tentativi, necessariamente, dovranno essere intrapresi in un quadro di totale autonomia, sforzandoci per quanto possibile di promuovere l’unita’ dei comunisti attraverso un confronto aperto con almeno alcune componenti di Rifondazione ( a questo proposito mi pare incoraggiante l’intervento del compagno Pisa su Marx XXI), con qualche altra organizzazione comunista, con i compagni della FIOM e dei sindacati di base. Cerchiamo di ritrovare un rapporto positivo con la più ampia platea della diaspora comunista, e anche di costruire faticosamente un dialogo reciprocamente rispettoso sia con i vertici del M5S (cosa al momento quasi impossibile) che con la sua base, e anche naturalmente con i molti lavoratori che – sia pure a ritmi geologici – stanno finalmente aprendo gli occhi sulla vera natura del PD e dei suoi compari. Evitiamo invece come la peste di continuare a rincorrere i vari Fassina sperando che siano meno cattivi che i Fassino e di aggregarci a deleterie pseudo-alleanze con gruppetti piccolo borghesi della risma della cricca dei professori. Nella migliore delle ipotesi si apre una fase di oscura e lenta accumulazione di forze, che mal si adatta alla accelerazione della crisi sistemica del capitalismo, ma è l’unica via realisticamente percorribile nella fase attuale.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *