Ciò che capita a Istanbul (e in altre città e luoghi della Turchia), dove le persone, i medici e tutti coloro che soccorrono la gente che protesta per Gezi Park è sconvolgente, tutto ciò suscita raccapriccio e scuote le nostre coscienze. Vi è stata una violazione del diritto alla salute, con la mancanza di un’adeguata assistenza sanitaria a tutti coloro che avevano subìto percosse, lesioni e vessazioni, ledendo anche il loro decoro. Non mi dilungo su quanto ha fatto la polizia – le cosiddette forze dell’ordine – sui suoi atti, sui gas lacrimogeni CS (gli stessi usati abbondantemente al G8 di Genova) agli idranti al peperoncino, alla capsaicina. C’è un problema molto grave e serio per il nostro grado di civiltà, c’è un problema che riguarda una «Violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” e che stabilisce che “nessuno può essere sottoposto a torture o a trattamenti inumani o degradanti». E’ mai possibile che delle persone, che dei medici venissero così duramente repressi, che non si potessero occupare di gente ferita, non potessero curarla, soccorrerla, senza essere loro stessi fermati e arrestati, anche preventivamente?
Possibile che un medico, nell’esercizio delle sue funzioni, venga fermato mentre soccorre una persona o peggio ancora picchiato, proprio come è successo a Genova del G8?
Dove è finita la civiltà e il Giuramento di Ippocrate che noi medici gelosamente conserviamo e che fine hanno fatto i dettami dei medici, calpestati e umiliati, di «perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute psichica e fisica dell’uomo e il sollievo dalla sofferenza… attenersi nell’attività ai principi etici della solidarietà umana… di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità condizione sociale e ideologia politica…»?
Sono storie di Istanbul ma che riguardano anche noi e ricordo bene Genova nei drammatici giorni del G8, dove ero assieme a molti altri colleghi, infermieri e semplici cittadini, in quell’area che qualcuno potrebbe definire «l’altra parte», quella dei movimenti, delle persone che ritengono possibile un nuovo mondo. Non si può parlare di “parte”, per noi medici non esiste «parte» o «fazione»; la nostra è una «missione» libera di chi riconosce nella malattia, nella mancanza di salute, nel dolore l’unico vero nemico.
Viviamo in tempi difficili, ove il ruolo del medico, la medicina, il rapporto e la relazione con la persona hanno necessità di riqualificarsi, per una ragione di civiltà. Quello che ieri sembrava archiviato, almeno alle nostre latitudini, (rigetto della coercizione, umiliazione, torture) oggi è rimesso drammaticamente in discussione, in particolare nelle carceri, nei luoghi di isolamento così come quelle libertà tanto faticosamente conquistate anche a prezzo di enormi sacrifici e di grande battaglie. E’ un momento complesso per tutta la società ma soprattutto per noi medici che non siamo solo «tecnici».
Che dire di quei medici indagati per corruzione, per la “malasanità “ e di quelli che tacciono, favoriscono e permettono l’uso illecito di sostanze farmacologiche a scopo dopante, che tanti danni provoca alla salute specie dei più giovani? Se accettassimo tutto questo con indifferenza, senza reagire, se ci rinchiudessimo nei nostri egoistici bunker, faremmo girare indietro l’orologio della storia. Dovremmo invece parlare e discutere, con onestà intellettuale, in libertà per la libertà, della nostra morale, da uomini di medicina a uomini di medicina, alla gente per poterci migliorare e contribuire a migliorare il mondo che ci circonda.
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