Avremmo, forse, potuto fare a meno di usare la congiunzione “e”. Sarebbe bastato ricordare quanto il marxismo fosse una delle caratteristiche di fondo della sua attività di ricerca (e non solo aspetto del pensare e dell’agire politico separato dalla conoscenza) nel senso antico – greco – dell’ousía, della “sostanza” come averi, come ciò che si possiede, per l’appunto, nel profondo.
Prendendo spunto dalla polemica con John Lewis, nel 1972, Althusser scriveva che i “marxisti non parlano mai al vento”; non sappiamo quanto Althusser avesse ragione effettivamente ma siamo sicuri che quest’affermazione vale per Margherita Hack. E non tanto per le scelte politiche quotidiane che poiché militante comunista ha sempre fatto; quanto piuttosto per il rigore e la coerenza che ha sempre cercato tra ricerca scientifica libera e critica, risultati raggiunti e – conseguentemente – convinzioni e azioni politiche. Una lezione di metodo scientifico che come marxisti e comunisti riteniamo
imprescindibile.
Margherita Hack come scienziata e marxista ha sempre citato, anche senza esplicitarlo perché invece giustamente lo usava (la cultura, per noi, è appropriazione critica e non erudizione salottiera), Epicuro e la sua celebre Lettera a Meneceo, quella sulla morte e la felicità per intendersi: perché temere, ripeteva spesso infatti, la morte se quando essa c’è non ci siamo più noi, mentre finché ci siamo noi è la morte a non esserci. Perché temere dunque anche la vita.
Riferimento casuale o vezzo da intellettuale? Per nulla. Marx si laurea proprio con una tesi sulle differenze nella filosofia della natura tra Democrito ed Epicuro: quest’ultimo aveva aggiunto il peso specifico agli attributi dell’atomo democriteo ed evitato così che un materialismo volgarizzato potesse significare che l’agire umano fosse deterministicamente inteso. Materialismo vuol dire pensare che tutta la realtà sia composta di materia e che comprenderne le leggi significhi capire l’essere e ciò che accade. Mentre il pensiero dominante vuole nullificare la nozione di progresso barattandola con quella di modernizzazione capitalistica, la storia del pensiero mostra come parecchie acquisizioni della conoscenza siano sistematicamente occultate e non, invece, insegnate e trasmesse come patrimonio consolidato.
Lo stesso, ovviamente, vale per la difesa della laicità, per chi ha continuato a insegnare che Dio era un’espressione precedente alle religioni del libro.
Per questo l’appassionata opera di divulgazione scientifica compiuta da Margherita Hack ha avuto un peso significativo nel nostro paese. E per questo stesso motivo ci piacerebbe che Margherita fosse ancora qui tra noi per la battaglia culturale che ci aspetta, per ridiscutere gli assi culturali attorno cui fare ruotare la formazione dei nostri giovani. Nelle Università come nella scuola superiore, infatti, riprendere i temi della scienza di là dalle letture metafisiche su un positivismo assolutizzante o sullo scontro con una concezione
epistemologica illuminista, riguarda pure il futuro del paese, perché questo è il senso della formazione pubblica.
Memore della guerra partigiana di liberazione dall’infamia nazifascista non ha mai arretrato di un centimetro nel fare fronte e nel rintuzzare – con i suoi strumenti intellettuali della denuncia – sul nascere qualunque forma di revisionismo storico e culturale.
Chi ha più filo tesse la tela e Margherita aveva filo da vendere. Noi continueremo a tessere, consapevoli della ricchezza del suo contributo.
*Rete dei Comunisti
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