Nei giorni scorsi il guru Gianroberto Casaleggio ha lanciato l’allarme circa la possibilità di un autunno italiano animato da tensioni e rivolte a causa dell’incrudirsi dei fattori di crisi economica e dell’assenza di una adeguata risposta sociale da parte del governo e delle istituzioni.
Come al solito attorno a queste dichiarazioni si è scatenata l’ipocrita esecrazione di quanti interpretano ogni lettura della crisi che alluda al conflitto come un oltraggio ai sacri valori dell’ordinamento costituito e dell’inviolabilità di questi (odiosi) rapporti sociali.
Tutto l’armamentario giornalistico e della persuasione occulta delle coscienze è stato scomodato dai vari opinion maker dei grandi mezzi di informazione per svilire, ridimensionare e – in alcuni casi – scopertamente criminalizzare le affermazioni del guru cinque/stellato.
Casaleggio nella sua intervista intravede che nei prossimi mesi il sistema economico italiano sarà scosso da una sorta di shock che potrebbe generare una ridefinizione della rappresentanza politica ed un emergere di forme di rivolte/tumulti che segnerebbero una trasformazione delle modalità di esemplificazione della politica che scivolerebbero, inevitabilmente, in forme confuse di disordini e rivolte.
Qualche giorno dopo il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, nel recepire l’allarme di Casaleggio si è spinto a precisare che, secondo lui, sarà la Campania e, specificatamente, l’area metropolitana napoletana il probabile fulcro da cui potranno lievitare queste radicali proteste.
Rispetto a queste dichiarazioni – che sembrano boutade estive – la prima sensazione che abbiamo avvertito è stata quella di rispondere con una promessa ed una forma di impegno collettivo: Non vi deluderemo e faremo il massimo per far concretizzare queste previsioni che turbano i vostri sogni!
Subito dopo, però, passata la sacrosanta contrapposizione umorale che occorre avvertire nei confronti di questi apprendisti stregoni proviamo a ricapitolare alcuni concetti che possono aiutarci a comprendere lo scenario sociale prossimo venturo e la funzione che, come soggettività comunista organizzata, dovremmo essere in grado di dispiegare.
E’ certo, e lo segnalano tutti gli indicatori statistici, che nei prossimi mesi il capitalismo tricolore ed il complesso degli interessi dell’Azienda/Italia andranno incontro ad un nuovo ciclo di difficoltà derivanti dall’accentuarsi di alcune caratterizzazioni peculiari di questo scorcio della crisi del capitale.
Molte stime di crescita, sia quelle afferenti al versante generale e sia quelle dei vari segmenti economici dei diversi macrocomparti, sono date ulteriormente al ribasso nonostante le previsioni effettuate nei mesi scorsi erano state prudenti e poco avvezze a funamboliche quanto impossibili trend lineari e virtuosi.
Cresce il numero dei cassaintegrati e del complesso delle figure espulse dal mercato del lavoro che devono ricorrere al sistema degli ammortizzatori sociali il quale, come è noto, è, oramai, una specie di coperta corta che non è in grado di coprire le continue emergenze occupazionali che si determinano a causa della chiusura di imprese e del ridimensionamento di molte strette dall’accentuarsi della competizione globale.
Si vanno diffondendo, come è accaduto recentemente a Milano – a ridosso dell’affaire Expo – tipologie contrattuali che nella loro esplicitazione pratica sono vere e proprie forme di schiavitù legalizzate (http://confederazione.usb.it/index.php?id=20&tx_ttnews[tt_news]=61222&cHash=7a49fefd35&MP=63-552) le quali forzando l’abusata segmentazione/frantumazione del mercato del lavoro danno vita a rapporti lavorativi veramente semi schiavistici.
L’intero sistema dei servizi – particolarmente il trasporto pubblico locale e il servizio sanitario nazionale – sono sotto l’effetto dei tagli, delle privatizzazioni e del peggioramento della qualità del servizio a causa del combinato disposto tra i diktat della Troika e il cosiddetto rispetto ossessivo e parossistico dei tetti di bilancio.
Si delinea, insomma, uno scenario dove un dato sarà immanente e certo, oltre le cortine fumogene della propaganda e della mistificazione della comunicazione deviante del capitale: il peggioramento costante delle condizioni di lavoro e di vita.
E’ evidente che la funzione teorica, politica ed organizzativa di chi, costitutivamente, ha scelto l’intrapresa collettiva della trasformazione sociale e della costruzione del conflitto resta quella di favorire, dentro il palesarsi dei dispositivi della crisi, la generalizzazione di ogni forma di insubordinazione e di rottura di questa narcotizzante e disciplinante pace sociale.
Da questo punto di vista, vogliamo dirlo con la necessaria nettezza, ben venga lo sviluppo di potenti movimenti di lotta ed anche lo scoppio di moti di piazza che, finalmente, provano ad assimilare e riconciliare il nostro paese alle mobilitazioni in corso nell’area Euro/Mediterranea.
Il problema, però – l’autentico rompicapo teorico di questo auspicabile passaggio – resta come trovare un percorso di generalizzazione/articolazione di questa esigenza politica la quale deve trovare forme e modalità nuove per mettere in connessione tra loro le tante vertenze sociali e sindacali che animano i nostri territori.
All’oggi il sentimento prevalente, anche tra chi alimenta conflitti e vertenzialità, resta quello di un ancoraggio alle tematiche locali, agli specifici territoriali ed ad un orizzonte ristretto che non coglie l’unitarietà del complesso dell’offensiva padronale e governativa. Molti compagni ed attivisti danno l’anima in mobilitazioni che restano, spesso programmaticamente, rinchiusi in ambiti che non comunicano con la generalità della composizione di classe e con l’intero universo delle conseguenze pratiche e quotidiane delle moderne forme dello sfruttamento capitalistico.
Nei mesi scorsi abbiamo coniato il termine “sinistra a kilometro zero” non per deridere ma per evidenziare una logica politica che resta, comunque, ancorata alla logica del “minimo sforzo” e dell’ inconsapevole auspicio di un possibile temperamento degli aspetti più ferocemente antisociali della crisi.
Questo dato non sarà possibile eluderlo in maniera volontaristica o ideologica ma andrà acquisito e, possibilmente superato, dentro una processualità sociale e forme di sperimentazione organizzative che dovranno prevedere un intervento a tutto tondo che provi a legare le questioni sindacali con quelle della cittadinanza, quelle attinenti alla sovrastruttura ai temi etici e culturali, quelle della “vecchia” e della “nuova” composizione di classe dentro le attuali collocazioni della crisi globale e della contemporaneità del modo di produzione capitalistico.
Insomma sarà dentro l’ulteriore passaggio del corso della crisi che dovremo mettere a valore le riflessioni che abbiamo accumulato e discusso in questi anni.
Davanti a noi si staglia – in maniera autenticamente oggettiva – una interessante materia sociale che potrà essere il banco di prova per testare le elaborazioni circa la pratica del sindacalismo metropolitano, della confederalità sociale, dell’organizzazione meticcia del conflitto e della costruzione/riqualificazione di una rappresentanza politica degli interessi popolari incardinata all’autonomia ed all’indipendenza dalle vigenti compatibilità del mercato.
Certo – a scanso di equivoci – anche noi tifiamo rivolta: nei posti di lavoro, nei territori e nella intera società!
Ma, da comunisti – senza spocchia ma con un senso di responsabilità generale – a differenza dei guru o degli interessati apprendisti stregoni, non possiamo limitarci all’osservazione/partecipazione alle espressioni della variegata fenomenologia sociale ma dobbiamo (dovremmo) essere in grado di definire, nella pratica vera, percorsi di lotta di critica e di trasformazione capaci di connettersi sapientemente con le situazioni che si squadernano e che, spesso, si palesano con forme spurie ed inedite di espressione.
Sarà questa la porta stretta che nel prossimo autunno dovremmo essere in grado di individuare e comprendere ancora prima di attraversare le mobilitazioni e le modalità dello scontro.
Su alcune questioni ed appuntamenti, però, non partiamo da zero anzi stanno venendo a frutto alcune nostre elaborazioni su cui in questi anni ci siamo interrogati anche assieme ad altri interlocutori politici e sociali, nei movimenti ed oltre.
Le tante vertenze in atto, il processo di costruzione di Ross@, le scadenze dello sciopero generale del sindacalismo conflittuale e la manifestazione, sotto i palazzi del potere, chiamata dai movimenti per il diritto all’abitare e per il reddito, sono alcuni punti qualificanti dell’ agenda politica dei prossimi mesi su cui ci sentiamo fortemente impegnati.
Sarà, quindi, in tale crogiuolo che dovrà sostanziarsi una soggettività comunista agente per attualizzare la sua prioritaria ragione sociale che resta quella della rottura rivoluzionaria a partire dal suo anello debole ossia dai paesi dei Pigs e dell’area Euro/Mediterranea. Una linea di condotta da alimentare in una cornice internazionale ed internazionalistica fuori da ogni incartapecorita narrazione di mitologie consumate e mortalmente mortificate da una sinistra compatibilizzata, eurocentrica ed occidentalizzata.
* Rete dei Comunisti
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