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Prato, la Guangdong italiana edificata dal centrosinistra. Dove si muore bruciati vivi

Sembra strano, specie in un mondo dove i territori si interconnettono, ma la realtà pratese non è chiaramente percepita in tante zone della Toscana. Eppure basta fare due passi nel secondo capoluogo di provincia della nostra regione per imbattersi in strade frequentate solo da cinesi. Oppure in autobus dove, a seconda dell’ora, puoi essere l’unico italiano. In un mare di cinesi, mescolato tra pakistani e immigrati di origine africana o slava. Prato altro non è che, dati alla mano, il più straordinario melting pot della nostra regione. Dove è più facile, per la strada, trovare gente che parla al cellulare in forte accento straniero, o nella lingua madre, che in italiano.

Chi si occupa, dal punto di vista della ricerca, della demografia del luogo lo dice poi chiaramente: “non sappiamo realmente quanta immigrazione c’è sul nostro territorio, sicuramente molto più delle statistiche ufficiali”. E le statistiche ufficiali parlano di 6,32 per cento, rispetto alla popolazione complessiva, di abitanti di origine cinese e 1,04 per cento di origine pakistane. Basta dare un colpo d’occhio alla città ogni giorno, ancor di più conoscendo i durissimi orari di lavoro a cui sono sottoposti i migranti, per capire che l’immigrazione reale a Prato è molto più alta. In un capoluogo di provincia che è comunque, ufficialmente, il sesto in Italia per presenza di immigrati. In una città che, da sola, ha il 10 per cento di cinesi presenti in tutta Italia.

La tragedia del 1 dicembre non è però un caso: altro non è che il frutto maturo di un modello neoliberista feroce edificato negli anni dal centrosinistra. La riprova? La strage non è avvenuta in quartiere dismesso, o in una fabbrica abbandonata e poi riutilizzata, ma al Macrolotto di Prato. Zona che altro non è che la più grande area di lottizzazione industriale privata realizzata in Italia dagli anni ’80. Non proprio un luogo abbandonato quindi ma l’area della pianificazione della ristrutturazione liberista di quella parte di Toscana, progettata da regione, industriali, sindacati, banche. Se c’è una genealogia dei passaggi di proprietà, di capitale e di capannoni, delle ristrutturazioni in peggio delle condizioni di lavoro è il Macrolotto, vero libro aperto degli orrori liberisti edificati dal centrosinistra in trenta anni di deregolazione.

Il Macrolotto non è un’area con capannoni dove nessuno si conosce: ha organismi di vero e proprio autogoverno. Economico e finanziario. Consulenze regionali, provinciali e di ricerca. Ovviamente non è il mondo liberista di ieri ma quello di domani. Dove imprese mutano composizione di capitale, proprietari, orari e ritmi di lavoro, processi e prodotti a seconda di dove va il mercato il giorno dopo. Il tutto dietro la benedizione dell’ “inseguite l’innovazione”, con capitali che arrivano da ogni parte del pianeta, e “arricchitevi”. Una Renziland già operativa da un trentennio, un incubo ad egemonia Pd nonostante che a Prato il comune sia maggioranza centrodestra. Con assessori che ordinano perquisizioni a negozi di extracomunitari fatte con l’elicottero e gli agenti calati dall’alto. Ma a tanto rigore spettacolarizzato corrisponde la deregolazione totale del territorio: basta che arrivino capitali, che qualcuno venda la propria forza lavoro a costi asiatici e tutto è possibile a Prato. Culla del modello della “crescita” caro ai Renzi, ai Letta nel silenzio-assenso più clamoroso da parte della Cgil.

Ecco che, da due decenni almeno, si è importato così il modello di relazioni industriali cinese in Italia: diritti zero e morti dietro l’angolo. Non deve infatti sfuggire a nessuno che la Cina, ufficialmente, è il paese con più morti sul lavoro (in assoluto e in percentuale rispetto alla popolazione) di tutto il pianeta. Ecco cosa si è importato grazie a pluridecennale programmazione nell’attirare capitali dall’estero. Perché sono i capitali, non le persone, che combinano questi disastri. Domenica 1 in forma di strage. Col fuoco e col fumo. Prato come Guangdong, quindi. Ma non a caso: grazie alla serena programmazione della civile Toscana. Un pezzo di futuro già operativo da decenni in nome della “crescita”, e dell’integralismo dell’export che tanto piace all’Irpet ormai in preda ai Chigago Boys del Pd.

Siccome però alla faccia di bronzo non c’è mai fine, Enrico “Karin B.” Rossi, presidente della Toscana, si è presentato a Prato di fronte alle tv a denunciare che “a Prato ci sono salari da terzo mondo”. Far finta di cascare dal pero è bello, ma sempre meno gente abbocca alla propaganda di un centrosinistra che come progetto di vita offre l’agonia. Quando non capitano stragi sul lavoro come queste.

da SenzaSoste

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