Qual’è il vero animo di Repubblica e del Pd?
Secondo noi sono veri entrambi, il che la dice sulla sullo stato schizofrenico in cui versano sia l’informazione che la politica “democratiche”.
La sortita di ieri del settimanale del gruppo – l’antico e un tempo glorioso L’Espresso – sembrava stabilire un punto di non ritorno nella guerra dichiarata contro il “populista miliardario”, che da un lato ha messo in piedi una invidiabile (e invidiata) macchina del consenso con pochi colpi mediatici ben centrati, e dall’altra viene indicato come occhiuto curatore di affari in paesi non proprio specchiati dal punto di vista fiscale. E che ha prontamente risposto oggi “parlando a suocera perché nuora intenda”, con una intervista-denuncia contro Unipol, per bocca dei consiglieri comunali Cinque stelle di Bologna. Sullo sfondo la “fosca” operazione su Fonsai di Ligresti (tecnicamente fallita) e le perdite colossali (in proporzione) dei piccoli azionisti.
Oggi, invece, il quotidiano diretto da Ezio Mauro, uno dei direttori meno conflittuali con la proprietà che ci sia mai capitato di intravedere (solo Sallusti, probabilmente, riesce a fare di meglio), lancia un appello “riconciliatore”, firmato da sei intellettuali d’area democratica ma non piattamente riconducibili alla segreteria bersaniana.
Non ci risulta sorprendente questa alternanza di bastone e carota. Anzi, ci appare tipica di un costume politico vecchio stampo. E proprio per questo abbastanza fuori tempo rispetto alla “cutura” grillina. Che, piaccia o non piaccia, ha fissato un nuovo paradigma politico sostitutivo di quello “antico”.
Questo è il dato da metabilizzare. Quando Grilo e i suoi spiegano ai giornalisti che “sbagliano le domande” dicono una cosa vera: quei giornalisti, così abituati a fare i reggitori di microfono o gli amplificatori delle dichiarazioni di palazzo, ragionano come “i politici”. Peggio, come i portaborse dei parlamentari fin qui succedutisi sugli scranni senza apprezzabili differenze uno dall’altro.
Il nuovo paradigma è povero, illusorio, purista in modo ridicolo? Sicuramente ha questi difetti e anche altri. Ma esiste, si è imposto, parla alla pancia degli elettori ben attento a non sfiorare neppure la testa e le facoltà cognitive. Non capire il “salto quantico” che si è verificato, o anche solo il “cambio di linguaggio”, porta a ripetere le stesse procedure messe in atto in altre situazioni come se per magia protessero produrre i risultati che – peraltro – non hanno raggiunto nemmeno in altri casi. E’ appena il caso di ricordare che lo schema messo in atto da Repubblica – la demonizzazione dietrologica – ha avuto successo soltanto contro la lotta armata di sinistra; ovvero contro l’unico soggetto che non aveva sponde nella politica, insufficiente radicamento nella società e solo nemici feroci negli “apparati” dello Stato.
Quando lo schema fu riproposto pari pari, una seconda volta, ai tempi di Tangentopoli, produsse – sì – la frantumazione delle forze politiche di governo fin lì dominanti (Dc, Psi e Psdi), ma solo per vederle sostituire da nuove forme politiche partorite direttamente dalla “socieà civile” e sintetizzate caricaturalmente ma con efficacia da Berlusconi e Bossi.
Senza capire cosa avevano combinato, i “democratici dietrologici” hanno proseguito a testa bassa per altri vent’anni contro il nuovo nemico – il Cavaliere Impresentabile – senza peraltro raggiungere grandi risultati. Uno sfregio all’immagine qua, una condanna a risarcire De Benedetti là (il proprietario del gruppo L’Espresso e tessera n. 1 del Pd), ma risultati politici e di consensi zero.
Questo lavorio ha finito per logorare, paradossalmente, più il Pd che Berlusconi. Per il buon motivo che ad ogni bordata giornalistica i dirigenti “democratici” facevano seguire una proposta di “tavolo”, di possibili “inciuci”, di aggiustamenti e salvacondotti in cambio di un abbandono del campo. La “cultura” che si è andata addensando a ridosso di questo mercimonio sempre tentato e sempre inconcludente è il rifiuto stesso della “politica” come funzione pubblica orientata da idee e interessi diversi. La logica da “paranza”, che ha avvinghiato nel Parlamento anche la cosiddetta “sinistra radicale”, ha infine incubato quel bisogno di aria nuova, di sbaraccamento degli accampamenti in Montecitorio e altrove, di “tutti a casa” (“que se vayan todos”, si gridava anche nel corteo del 15 ottobre 2011).
In cambio di cosa? Mistero glorioso, o meglio chiacchiericcio da bar spacciato per “nuova politica”.
Non paghi, dunque, di tanti successi, gli strateghi di Repubblica si sono rimessi all’opera. Una botta gionalistica dura (vera, mezzo vera, fasulla, non giureremmo su nessuna di queste tre) e una proposta di “mediazione responsabile per il bene del paese”.
Non hanno capito niente. Non vogliono capire. Sollevano tsunami che ora vengono a presentare il conto. E sarà peggio ad ogni tentativo di ripetere il giochino.
Ecco l’appello su Repubblica. Provate poi ad accostarlo ai pezzi de L’Espresso…
*****
Caro Beppe Grillo, cari amici del Movimento 5 Stelle,
Una grande occasione si apre, con la vostra vittoria alle elezioni, di cambiare dalle fondamenta il sistema politico in Italia e anche in Europa. Ma si apre ora, qui e subito. E si apre in questa democrazia, dove è sperabile che nessuna formazione raggiunga, da sola, il 100 per cento dei voti. Nessuno di noi può avere la certezza che l’occasione si ripresenti nel futuro. Non potete aspettare di divenire ancora più forti (magari un partito-movimento unico) di quel che già siete, perché gli italiani che vi hanno votato vi hanno anche chiamato: esigono alcuni risultati molto concreti, nell’immediato, che concernano lo Stato di diritto e l’economia e l’Europa. Sappiamo che è difficile dare la fiducia a candidati premier e a governi che includono partiti che da quasi vent’anni hanno detto parole che non hanno mantenuto, consentito a politiche che non hanno restaurato ma disfatto la democrazia, accettato un’Europa interamente concentrata su un’austerità che – lo ricorda il Nobel Joseph Stiglitz – di fatto «è stata una strategia anti-crescita», distruttiva dell’Unione e dell’ideale che la fonda.
Ma dire no a un governo che facesse propri alcuni punti fondamentali della vostra battaglia sarebbe a nostro avviso una forma di suicidio: gli orizzonti che avete aperto si chiuderebbero, non sappiamo per quanto tempo. Le speranze pure. Non otterremmo quelle misure di estrema urgenza che solo con una maggioranza che vi includa diventano possibili. Tra queste: una legge sul conflitto di interesse che impedisca a presenti e futuri padroni della televisione, della stampa o delle banche di entrare in politica; una legge elettorale maggioritaria con doppio turno alla francese; il dimezzamento dei parlamentari il più presto possibile e dei loro compensi subito; una Camera delle autonomie al posto del Senato, composta di rappresentanti delle regioni e dei comuni; la riduzione al minimo dei rimborsi statali ai partiti; una legge anti-corruzione e anti-evasione che riformi in senso restrittivo, anche aumentando le pene, la disciplina delle prescrizioni, bloccandole ad esempio al rinvio a giudizio; nuovi reati come autoriciclaggio, collusione mafiosa, e ripristino del falso in bilancio; ineleggibilità per condannati fin dal primo grado, che colpisca corruttori e corrotti e vieti loro l’ingresso in politica; un’operazione pulizia nelle regioni dove impera la mafia (Lombardia compresa); una confisca dei beni di provenienza non chiara; una tutela rigorosa del paesaggio e limiti netti alla cementificazione; un’abolizione delle province non parziale ma totale; diritti civili non negoziati con la Chiesa; riconsiderazione radicale dei costi e benefici delle opere pubbliche più contestate come la Tav. E vista l’emergenza povertà e la fuga dei cervelli: più fondi a scuola pubblica e a ricerca, reddito di cittadinanza, Non per ultimo: un bilancio europeo per la crescita e per gli investimenti su territorio, energia, ricerca, gestito da un governo europeo sotto il controllo del Parlamento europeo (non il bilancio ignominiosamente decurtato dagli avvocati dell’austerità nel vertice europeo del 7-8 febbraio).
Non sappiamo quale possa essere la via che vi permetta di dire sì a questi punti di programma consentendo la formazione del nuovo governo che decida di attuarli, e al tempo stesso di non contraddire la vostra vocazione. Nella giunta parlamentare si può fin da subito dar seguito alla richiesta di ineleggibilità di Berlusconi, firmata da ormai 150.000 persone : la fiducia può essere condizionata alla volontà effettiva di darvi seguito. Quel che sappiamo, è che per la prima volta nei paesi industrializzati e in Europa, un movimento di indignati entra in Parlamento, che un’Azione Popolare diventa possibile. Oggi ha inizio una vostra marcia attraverso le istituzioni, che cambieranno solo se voi non fuggirete in attesa di giorni migliori, o peggiori. Se ci aiuterete a liberarci ora, subito, dell’era Berlusconi: un imprenditore che secondo la legge non avrebbe nemmeno dovuto metter piedi in Parlamento e tanto meno a Palazzo Chigi.
Avete detto: «Lo Stato siamo noi». Avete svegliato in Italia una cittadinanza che vuole essere attiva e contare, non più delegando ai partiti tradizionali le proprie aspirazioni. Vale per voi, per noi tutti, la parola con cui questa cittadinanza attiva si è alzata e ha cominciato a camminare, nell’era Berlusconi: «Se non ora, quando?»
Remo Bodei
Roberta De Monticelli
Tomaso Montanari
Antonio Padoa-Schioppa
Salvatore Settis
Barbara Spinelli
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