Le persone bruciate vive nelle fabbriche tessili segnano la storia dello sviluppo industriale e delle condizioni di lavoro. La stessa data dell’8 marzo ricorda la strage di operaie avvenuta per il fuoco più di un secolo fa negli Stati Uniti.
Dopo aver percorso il mondo con la sua devastazione costellata di stragi di lavoratori, ora, grazie alla crisi, la globalizzazione torna là da dove era partita, e anche da noi si muore come nel Bangladesh o in Cina.
Negli Stati Uniti questi laboratori di migranti che si installano nelle antiche zone industriali li chiamano “swet shops”, fabbriche del sudore.
Da noi la strage di operai cinesi a Prato è stata presentata cercando la particolarità estrema, quasi come fatto di costume.
Si è messo l’accento sulla particolare chiusura in sé della comunità cinese, fatto assolutamente vero, quasi per derubricare quanto avvenuto. E soprattutto per non affrontare la questione vera, che in Italia la produzione industriale e il lavoro nei servizi stanno affondando nelle condizioni di quello che una volta si chiamava terzo mondo.
La questione non è che i morti sono cinesi, ma che in Italia si lavora come schiavi per paghe vergognose, e che questo può toccare a tutti. Perché c’è chi ci guadagna a mettere il proprio marchio su ciò che viene fatto per pochi centesimi, e la svalutazione dei nostri redditi ci pesa un po’ meno se possiamo comprare indumenti a basso prezzo. Prima si dovevano trasportare da lontano le merci prodotte dagli schiavi, ora la strada è più corta perché gli schiavi li abbiamo in casa. I margini di profitto crescono con la schiavitù a chilometro zero.
Se non si ferma la macchina infernale della globalizzaIone, se non si ridà forza e dignità al lavoro quale che sia il colore della pelle o il taglio degli occhi di lo fa. Se si continua a parlare di competitività e produttività a tutti i costi. Se si continua ad accettare come fatto inevitabile che il lavoro sia sfruttato qui, tanto sennò lo sfruttano lì.
Se continueremo a considerare con riprovazione domenicale ipocrita, il culto che Papa Francesco ha chiamato del Dio Denaro. Se continueremo a sprofondare verso il capitalismo ottocentesco, di quel capitalismo subiremo sempre di più la ferocia.
Se vogliamo fermarci, cominciamo a dire che a Prato son stati uccisi sette operai, come alla Thyssen krupp di Torino. Non sette cinesi, ma sette operai vittime in Italia dello schiavismo della globalizzazione.
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massiko rivara
Scusate, ma una domanda: ci volevano otto morti per accorgersi di certe cose. Sono vent’ anmi che si parla di fabbriche particolari nella zona di Prato e di Ca rpi. Ma quando , appunto, già si parlava anni fa di questi problemi, quei Signori che ieri hanno gridato allo scandalodi certe condizioni di lavoro, dov’erano? Che funzione pubblica svolgevano? Ministro? Sottosegretario? Parlamentare? Politico di professione? Sindacalista? Be’ scusatemi, ma a questa retorica dell’ultima ora io non mi associo. Era scritto che prima opoi sarebbe finito così. Sembra la solita rincorsa idiota come quando succedono i disastri naturali. Frane alluvioni ecc. Ops ci sono stati dei morti. Caccia a chi ha speculato, costruito male o non prevenuto. MA PENSARCI RPIMA E FARE I CONTROLLI NO? ASL, ISPETTORATO DEL LAVORO, INAIL, INPS, AGENZIA DELLE ENTRATE ECC ECC NON ESISTONO A PRATO. ALLORA FORSE È ORA CHE APRANO FILIALI ANCHE LI E CHE SEMPLICEMENTE GUARDINO DALLA STRADA QUELLO CHE SUCCEDE. CERTO È PIU FACILE ANDARE IN UN AZIENDA A POSTO, CON TUTTI I DPI IN ORDINE, CON I RESPOSABILI DELLA SICUREZZA, E MAGARI MULTARLA LO STESSO SOLO PERCHÉ NON HA ESPOSTO IL CARTELLO PER INDICARE DOV E’ UBICATO IL BAGNO.