Come delegati sindacali dell’USB della Thales Alenia Space vorremmo fare una riflessione sulla crescita caotica della città di Roma.
Al pari di altre migliaia di cittadini e di lavoratori che risiedono o lavorano nel quadrante Est della capitale, viviamo sulla nostra pelle le scelte urbanistiche delle amministrazioni capitoline che si sono succedute nei decenni.
Il quadrante Est di Roma è cresciuto a fronte di decisioni delle amministrazioni che si qui si sono avvicendate, che hanno stabilito la nascita di quartieri come Ponte di Nona, la costruzione del Polo Tecnologico con una sua specifica sede, del Centro Alimentare e del Centro Commerciale di Roma Est.
Sarebbe stato logico prevedere che queste decisioni fossero precedute e accompagnate dallo sviluppo d’infrastrutture, come strade, trasporti, scuole e servizi. Niente di tutto questo: prima sono state date le concessioni edilizie e poi si è lentamente e caoticamente messo mano al resto, scaricando sulla collettività costi e disagi. Una precisa scelta politica, con tanto di nomi e cariche e non il fato, ha anteposto gli interessi dei costruttori e delle banche a quelli della cittadinanza e del bene comune.
A fronte di un’immensa colata di cemento e di una formidabile speculazione edilizia, le amministrazioni capitoline non hanno chiesto ai costruttori una quota da destinare all’edilizia popolare e tantomeno la realizzazione delle infrastrutture necessarie. La costruzione delle infrastrutture, come consueto è stata pagata dalla collettività.
“Siamo ostaggi della Tiburtina” abbiamo scritto in un nostro comunicato, ed è così che vivono i cittadini di questo quadrante di città immediatamente fuori dal GRA.
Una situazione che si è aggravata con la cantierizzazione di via Tiburtina.
I lavori partiti nel 2009, sono al 30% e siamo assai lontani dal vederne un miglioramento o una conclusione. La situazione diviene ogni giorno più difficile, stress, smog, ore di vita perse e incidenti anche gravi, costituiscono la quotidianità su questo tratto di strada. Diverse ragioni hanno portato al ritardo nella conclusione dell’opera facendo lievitare enormemente i costi di realizzazione.
Tra le ragioni c’è la frammentazione delle responsabilità tra i diversi enti istituzionali, ne citiamo solo alcuni: Comune, Regione, Provincia, ANAS, Beni Culturali e 4° Municipio.
A questi si aggiungono le ditte appaltanti e le subappaltanti, un ginepraio che lascia campo libero agli speculatori e ai palazzinari che sanno muoversi molto bene nelle pieghe, ricavando profitto da quello che appare come un disservizio.
In alcuni casi i lavori, giustamente, si fermano per il ritrovamento di reperti archeologici, ma perché si bloccano per anni? E’ scontato trovare resti archeologici in questa millenaria via consolare, perché non si è pensato per tempo a delle soluzioni alternative?
E’ una scelta vergognosa e criminale, quella che anche di recente ha permesso ai palazzinari di costruire sopra i resti delle ville, delle vasche romane e di altri ruderi, che si trovano appena un paio di metri sotto il terreno.
In quel caso dov’era il Ministero dei Beni Culturali? Come ha preservato quei ritrovamenti? Perché i lavori si bloccano all’infinito quando i ritrovamenti archeologici, anche di minore entità, coinvolgono opere pubbliche? Perché è così complesso trovare un equilibrio tra la realizzazione d’infrastrutture e la conservazione dei beni archeologici?
Pensiamo che il patrimonio archeologico vada recuperato e goduto, e siamo convinti che questo possa generare occupazione, liberando dal precariato e dalla disoccupazione geologi, archeologi e altre figure legate alla conservazione e alla promozione dell’arte.
Tornando alla cantierizzazione della Tiburtina, come in altri casi è stata affrontata, senza un piano di azioni che mitigasse l’impatto sulla vita dei cittadini, magari realizzando parcheggi scambio con navette gestite dall’Atac, potenziando e favorendo il trasporto pubblico e aprendo le strade di servizio di proprietà privata.
Esemplare è la situazione di Via dei Radar, una strada privata che la Selex ES ha ceduto al comune di Roma. Questa strada non può essere aperta poiché c’è più di un contenzioso. Il primo riguarda quello tra il costruttore Gianni, il comune di Roma e il Ministero dei Beni Culturali. Il secondo vede contrapposte la Provincia di Roma e l’agenzia Regionale Ardis. In questo caso la provincia che ha responsabilità sul fosso di Sant’Alessandro non consente l’apertura della strada finché la Regione non realizzerà le vasche di laminazione, che dovranno gestire il flusso delle acque provenienti dallo scolo di via dei Radar. Il bello è che i fondi per la realizzazione delle vasche ci sono, ma nel frattempo il fosso esonda con o senza le acque di scolo.
Siamo costretti a ripeterci, semplicemente perché la scelta politica di sottoporre il bene comune alle logiche di mercato e clientelari, non è liquidabile come mala politica, questo è un sistema che avvolge e dissangua la cosa pubblica.
La crescita di Roma continua a seguire le direttive e gli appetiti di questo sistema. Questo comporta sia un peggioramento della qualità della vita dei cittadini e dei lavoratori, sia un aumento dei costi per la gestione dei servizi e dei trasporti.
C’è, infatti, da riflettere sull’estensione della città, che risulta poco razionale a fronte degli stabili vuoti che sono all’interno del tessuto urbano.
Sarebbe più corretto e funzionale pensare a una riqualificazione di stabili e aree inutilizzate. Riqualificazione che assolverebbe più funzioni, generando occupazione, rispondendo all’emergenza abitativa all’interno del tessuto cittadino invertendo la tendenza a spingere i cittadini ai margini della metropoli. Stabili, aree pubbliche e private che potrebbero ospitare alloggi, servizi, aziende e laboratori artigiani, la cui ricollocazione al di fuori del GRA sta contribuendo ad allargare inutilmente Roma, erodendo il polmone verde intorno alla città.
L’allargamento dispersivo e frammentato della città comporta una dilatazione dei costi di esercizio della nettezza urbana, dei trasporti come degli altri servizi e infrastrutture di uso comune.
La città di Roma continua a espandersi, ma a questo non corrisponde uno sviluppo progressivo dei servizi richiesti dalla cittadinanza. Le promesse della classe dirigente si scontrano con la realtà, ossia con la Spending Review e con le istituzioni locali e nazionali, ridotte al ruolo di esecutrici delle direttive europee che richiedono i tagli dei fondi, l’aumento delle tasse e le privatizzazioni dei servizi pubblici.
Peggiorano i servizi per i cittadini e peggiorano le condizioni dei lavoratori dei servizi, è il caso dei lavoratori dell’igiene ambientale e dei trasporti. Oggi le ditte che vincono gli appalti riducono i costi, ma dietro ad una gara vinta al ribasso, ci sono salari insufficienti, maggiore precarietà per i dipendenti e un servizio più scadente per i cittadini.
Le diverse giunte che si sono avvicendate al Campidoglio hanno preferito destinare fondi e attenzioni ai quartieri della Roma bene e al centro, nonostante la maggior parte dei cittadini e dei lavoratori vivano nelle periferie.
Non abbiamo molte soluzioni, o subiamo questo modello o lo contrastiamo. Non ci sono soluzioni semplici, tanto più nel contesto attuale, ma una cosa sicuramente la possiamo fare continuare a mettere insieme le istanze che vengono dai lavoratori, siano essi precari o stabilizzati, dai ceti popolari continuando a coinvolgere i quartieri dove viviamo.
RSU Unione Sindacale di Base Thales Alenia Space
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