L’apertura del “cantiere” intorno al progetto politico di Ross@ è stata accompagnata da curiosità ed interesse, come testimoniato dalle iniziative di presentazione già tenutesi in numerose città. La disponibilità, niente affatto scontata di militanti e compagni delle più diverse provenienze, a confrontarsi con la novità di Ross@ è innegabilmente l’aspetto positivo del suo ingresso nell’agone politico.
La ragione di questo credito è da individarsi, tra gli altri, nel processo di incubazione di Ross@, nel percorso politico rappresentato dalla stagione del No Debito, dal ruolo svolto sia sul piano interno offrendo un progetto per una prima fase di ricomposizione delle “sparse membra” della sinistra antagonista, dando rilievo e visibilità a quanto sul piano sociale, sindacati conflittuali e realtà del conflitto territoriale e metropolitano, si era andato sedimentando, sia sul piano dell’elaborazione teorica e politica, quale contributo alla demistificazione della rappresentazione colpevolizzante del debito pubblico per un paese vissuto al di sopra delle proprie possibilità, ricondotto alla sua funzione di strumento fondamentale di gestione dei processi di finanziarizzazione/accumulazione e di redistibuzione della ricchezza.
La generazione di “massa critica” contro le politiche di austerity imposte dalla troika al nostro paese, veicolate attraverso la rappresentazione ideologica del debito pubblico, è stata, quindi, il ” brodo primordiale” per l’espressione a sinistra di un coagulo di forze politiche e sociali che, sulla base della propria collocazione antagonista ed anticapitalista, hanno cercato di offrire una caratterizzazione del conflitto adeguata alla fase della competizione globale.
L’accelerazione imposta dalla crisi sistemica al processo di costituzione europea nell’ultimo quinquennio con il definirsi netto tra i paesi dell’eurozona di un quadro gerarchico, in cui la moneta esprime il ruolo dominante delle economie esportatrici/creditrici del centro rispetto a quelle importatrici/debitrici della periferia, ha costituito un salto di qualità nella natura dei rapporti interni all’Unione Europea codificati nei trattati, in cui alla perdita di sovranità economica e politica nazionali subentra il controllo ferreo delle tecnostrutture della troika.
L’affermazione del polo europeo negli scenari della competizione globale, a partire dalla nascita dell’euro, assume chiaramente per il tipo di relazioni interne ed esterne i connotati di un polo imperialista. Il riconoscimento della natura imperialistica del polo europeo è l’architrave del progetto politico Ross@.
La ricostruzione, inevitabilmente superficiale e lacunosa, di alcuni tratti della genesi di Ross@ dovrebbe aiutarci a comprenderne la collocazione in un passaggio di fase storica, in cui il combinarsi delle trasformazioni del modello di produzione/valorizzazione, divisione internazionale del lavoro, composizione di classe definiscono nuove forme dei rapporti sociali di produzione capitalistica ed agiscono nella caratterizzazione delle espressioni del conflitto di classe su base continentale.
Il quadro che viene allora delineandosi si rivela inedito per la soggettività politica di classe che deve posizionarsi all’interno di un processo in cui al piano oggettivo della tendenza economico-politica, la costruzione del polo imperialistico europeo, si contrappone una condizione di classe, ormai sradicata dal modello fordista, soggiogata alle forme della produzione flessibile.
Un progetto politico, qual è Ross@, deve prioritariamente qualificarsi per la capacità di essere riferimento riaggregativo/ricompositivo, per il grado di assunzione nella propria stessa costituzione della straordinaria complessità politica e sociale, per le risposte organizzative idonee a valorizzare la complessità offrendo sintesi e indirizzo politico.
Per chiarire cosa si intenda per complessità politica e sociale del processo di ricomposizione possiamo per comodità riferirci alla rappresentazione del conflitto emersa nelle giornate di lotta del 18/19 ottobre, che meglio di qualunque analisi sul piano organizzativo dovrebbe aver chiarito che non esistono risposte preconfezionate, che riassumere la complessità sociale equivale ad attaversarla cercando di costruire in ogni segmento dei conflitti il riferimento politico alla contraddizione principale e su questa rafforzare la crescita del conflitto stesso.
Come materialmente si costruisca questo processo rimanda inevitabilmente ad un lavoro di sperimentazione delle forme di organizzazione e della rielaborazione nella pratica quotidiana del rapporto tra soggettività politica e classe.
Tuttavia un primo elemento della caratterizzazione, maturato sulla base delle condizioni oggettive del conflitto e della variegate espressioni organizzative che assume, e che forse meglio di qualunque altro spiega il senso del progetto di Ross@, sembra possa riassumersi nella promozione di una modalità di intervento in cui Ross@ con le sue tematiche deve proporsi non come rappresentante esterno del conflitto, una sorta di collettore a cui altri dovrebbero delegare la rappresentanza, ma parte integrante del conflitto, soggetto del conflitto, capace di verificare l’efficacia delle proprie proposte nella pratica sociale e nello sviluppo dei processi politici di cui è promotrice. In un processo quindi opposto all’autoreferenzialità ideologica, che purtroppo permea non solo settori residuali della sinistra ma che rischia di irretire anche le realtà di movimento più dinamiche.
L’individuazione nelle dinamiche economiche e sociali della centralità del processo di costruzione del polo imperialista europeo certamente costiuisce un’acquisizione di natura teorica fondamentale nell’interpretazione, ad esempio, della convulsa fase di transizione politica verso un modello istituzionale garante delle governance nazionale nei rapporti con il capitale finanziario e le sue tecnostrutture, vero centro ispiratore delle politiche di costruzione europea. La gabbia dei trattati economici per il controllo delle politiche economiche e del bilancio dei paesi dell’eurozona costruiita in condizioni paritarie, in realtà impone condizioni unanimi in contesti sociali ed economici di paesi profondamente diversi generando il massimo della disparità: paesi strangolati dalle condizioni capestro imposte dalla troika per evitare il fallimento, costretti ad offrire come garanzia la cessione del proprio patrimonio nazionale attraverso piani di privatizzazioni che diventano oggetto degli investimenti per gli enormi surplus di capitali dei gruppi finanziari ed industriali delle borghesie dei paesi europei dominanti. Un piano squilibrato di relazioni originato dalla stessa nascita della moneta unica concepita per favorire il vantaggio competitivo delle economie del centro Europa, Germania in testa, teso a riproporre nel cuore della stessa europa, con le dovute differenziazioni storiche e di fase di sviluppo capitalistico, le caratteristiche del rapporto imperialistico nord-sud.
La costruzione europea reale, con buona pace della retorica europeista mutuata dai padri ispiratori, è un progetto classista sostenuto dal capitale finanziario europeo che nella competizione globale interagisce con le strutture produttive dei capitalismi dei singoli paesi, anche attraverso destrutturazioni di interi settori produttivi, promuovendo nuove elite della borghesia europea. E’ questa la tendenza di fondo che “batte il tempo” dell’Europa dei capitali nel tentativo di approdare ad una nuova organizzazione statuale europea. Un processo che sul piano politico necessita del prosciugamento delle modalità di partecipazione democratica e della possibilità concreta che il conflitto sociale possa trovare nelle istituzioni un suo spazio di azione/rappresentazione, come documentato ampiamente dai passaggi costitutivi dell’unione europea e sul piano nazionale dal progetto di “riforma istituzionale”.
Cercare di seguire il filo del processo di costruzione europeo ci pone allora dinanzi a due aspetti ineludibili, da un lato, il rapporto organico con la crisi del modo di produzione capitalistico, dall’altro il suo configurarsi politico in modo autoritario in antitesi a qualsiasi processo di partecipazione in chiave democratico- progressista.
Proporre una rimodulazione dell’ eurozona con la richiesta di maggiore democraticità nei suoi processi decisionali, sembra un’aspirazione politica al di fuori della realtà e dei suoi elementi costitutivi. Infatti, la vittima designata della costruzione dell’eurozona è stato proprio quel modello sociale europeo, che storicamente ha rappresentato il punto più avanzato del compromesso tra capitale e lavoro, insostenibile per le esigenze della competizione globale. L’acquisizione di parti fondamentali del modello neo-liberista nella visione delle classi dominanti europee non è ovviamente un cedimento ad una tendenza effimera, ma il passaggio obbligato per reggere il confronto con le altre aree capitalistiche.
La richiesta di democratizzazione nei processi decisionali europei, nei piani di intervento del Fondo Monetario Internazionale, della banca centrale europea, ecc, non solo non trova possibilità di ascolto pena il crollo dell’intera impalcatura europea, ma non tiene conto della natura classista del processo stesso, di lotta di classe dall’alto, di compressione sistematica e crecente delle condizioni delle classi subalterne. Allora la impermeabilità oggettiva dell’Europa dell’euro ad una democratizzazione per vie interne, pone chiaramente le forze antagoniste nella condizione di operare per la rottura dell’Unione Europea, a partire da una battaglia politica nei confronti di quelle componenti, già radicali, che con il sostegno ad una ipotesi riformista dell’eurozona, rivelano non solo la loro sostanziale subordinazione ideologica alla retorica dell’Europa ma soprattutto chiudono ogni prospettiva di svincolare i destini dei paesi periferici e delle loro classi subalterne al vicolo cieco della competizione globale ed ai suoi esiti comunque distruttivi.
La rottura dell’Unione Europea è la proposta politica immediata, sintesi dell’intero corpo di analisi sull’attuale fase, che deve crescere nei conflitti che attraversano il paese, porsi come discriminante tra chi propone una lettura materialista e di classe e chi si ostina a baloccarsi con categorie ed analisi incapaci di misurarsi con la realtà in una prospettiva di emancipazione.
I tratti seppure appena delineati dell’attuale fase, dovrebbero risultare sufficiente a comprendere la funzione del progetto politico Ross@ e dell’ambiziosa sfida di cui si pone al servizio: la costruzione nel cuore dell’ Europa imperialista di un processo di costruzione di soggetto politico capace di confrontarsi con le novità epocali, di fornirne chiavi interpretative e soprattutto di rimettere in moto le forze della trasformazione sociale e politica in una prospettiva di uscita dal capitalismo.
* Ross@ – Roma
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