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Ciao, dolce Enrico…

Stretto nel suo giubbotto blu a doppio petto, con mani in tasca e testa rivolta verso i piedi, Matteo Renzi non può non ricordare, per andatura e portamento, Giulio Andreotti. Certamente, analogie e similitudini fisiche non costituiscono serie categorie d’analisi politica. Anzi, si caratterizzano maggiormente per essere utili strumenti nelle mani di coloro che abbelliscono il vuoto contenutistico con ghirlande di banalità. Tuttavia, quando ad andatura e portamento si aggiunge anche un certo modus operandi, questo sì di natura strettamente politica, il confronto tra il Divo Giulio ed il boy-scout di Rignano diviene al tempo stesso più sinistro ed interessante.

Per onestà intellettuale dobbiamo anche dire che molto è stato scritto al riguardo negli ultimi giorni sulla tradizionale carta stampata. Questa ha infatti sottolineato come la spallata di Matteo Renzi ad Enrico Letta sia ascrivibile all’eterno ritorno, magari sotto mentite spoglie, della cosiddetta Prima Repubblica. Analisi condivisibili, del resto. Francamente però non vogliamo annoiarvi con qualcosa di molto simile a quanto avete già letto altrove. Senza negare come sia sempre meritorio mostrare il degrado politico, culturale, ed umano raggiunto dal Partito Democratico, quando anche su Il Corriere della Sera è possibile leggere editoriali allarmati per l’operazione guidata da Matteo Renzi a firma di Ernesto Galli della Loggia, sentiamo quantomeno il bisogno di dover dire altro.

Ci sembra infatti che sia rimasta alquanto sottaciuta la generale riabilitazione di Enrico Letta che, almeno dal punto di vista umano, ha preso vita in questi ultimi giorni. Questi, obbligato a rassegnare le proprie dimissioni per la volontà carrieristica di Matteo Renzi, è infatti sembrato ai molti il povero indiano sconfitto dal cattivo cowboy. L’ormai ex premier è così passato in poche ore da alfiere e garante degli accordi bipartisan a vittima di giochi di potere più forti anche delle sue considerevoli capacità di mediazione.

Salutandolo, senza ovviamente preparare alcun striscione di ringraziamento come hanno invece fatto alcuni aderenti al circolo Testaccio del Pd sotto casa sua, vorremmo invece ricordarlo per quello che è stato. Un poco fiero, grigio, e politicamente modesto nemico dei lavoratori e delle lavoratrici. Non che nutrissimo aspettative diverse al proposito: la sua affiliazione politica era e rimane suggerimento più che sufficiente in tal senso. Soprattutto però ricordavamo le parole utilizzate da Enrico Letta nel settembre del 2010 quando il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, invitato alla kermesse torinese del Partito Democratico fu oggetto di una chiassosa contestazione. Il futuro premier, con maglione legato sulle spalle e fare sicuro ricordò svariate volte ai contestatori come loro con il Pd non ci entrassero niente. 

Proprio così, ben detto, bravo Enrico. Lo abbiamo sempre pensato anche noi. Adesso però, dopo essere stato disarcionato dalla guida del Paese, il fervente paladino dei sindacalisti che difendono gli interessi della controparte, ci comunica che tornerà a comprare le figurine dei calciatori Panini ai propri figli regolarmente. Come faceva, almeno a suo dire, prima di divenire premier. Da questo traiamo un altro insegnamento, dato che i nostri genitori non ci hanno mai lasciato senza le nostre adorate figurine: non solamente con voi non ci entriamo niente, ma siamo anche antropologicamente migliori. Perché le figurine ai figli si comprano sempre e comunque. Non si barattano per una visita di Stato da qualche parte nel mondo. L’unico baratto che si accetta è lo scambio dei doppioni: come una volta, come sarà per sempre. Anche in questi apparentemente banali gesti si vede la disumanizzazione della mediocre borghesia.

Chissà poi come se la ride il barbuto di Treviri costretto a lottare a suo tempo contro nemici del calibro di Disraeli, Gladstone, Lincoln e Bismarck. Enrico Letta deve proprio apparigli per quel che realmente è: una nullità.

da http://www.inventati.org/cortocircuito

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