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Il jobs act prima del jobs act

Fa piacere ricevere messaggi come questo, capaci di coniugare “dal vivo” elementi di analisi generale, stato d’animo diffuso della massa dei lavoratori “sans phrase”, movenze degli uomini di potere, ideologia che diventa regola di comportamento, ecc.

Naturalmente manteniamo il giusto anonimato sull’autore.

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Nella mia breve “carriera” di lavoratore ho avuto il “piacere” d’assistere ad un numero francamente spropositato di “visite” sui luoghi di lavoro di personaggi che, per questioni squisitamente politiche, deambulavano per gli stabilimenti in cui mio mi trovavo a spendere la mia giornata malgrado (no, non sono uno scansafatiche, semplicemente credo che a secondo millennio ormai avviato, la società dovrebbe consentire ad una persona di trascorrere il suo tempo per arricchire e migliorare se stesso al posto di creare valore per un padrone in cambio di un tozzo di pane).

Il battesimo lo ebbi alcuni anni or sono quando mi trovavo a “prestar servizio” in ciò che resta della grande industria cittadina dove, nel volgere di pochi giorni, mi trovai ad assistere prima al comizio di Bersani appena insediatosi alla segreteria del PD e poi a quello di Napolitano in occasione del primo maggio. Lascio immaginare a chi legge la retorica imbonitrice delle rispettive orazioni, la cui mancanza di contenuti era coperta dai toni, nel caso di Bersani da bottegaio della bassa, nel caso di Napolitano da una più fastidiosa spocchia di chi appartiene a ben altra classe sociale ma ama il popolo. Ancora ricordo il suo tentativo d’accreditarsi al mondo operaio manifestando istituzionale simpatia per le tue blu salvo precisare che lui, in officina ci girava a fare due passi durante gli albori della sua carriera politica. Insomma il classico working class hero che però non sa nemmeno da che parte s’impugna una chiave inglese…

Quel periodo coincise con l’espansione della crisi fino ad allora relegata agli USA anche a casa nostra col progressivo e macroscopico (almeno per chi lo vuol vedere) sfarinarsi delle nostre vite.

Ripensando a quegli anni mi rendo improvvisamente conto della violenza con cui la situazione è degenerata.

Lo comprendo in particolare oggi, in cui mi trovo spettatore dell’ennesima parata istituzionale sul luogo di lavoro. Questa volta la primadonna è il Fonzie fiorentino e la misura del cambio di passo

rispetto alle precedenti passerelle è data dalla militarizzazzione dell’evento, sovradimensionata al punto tale da ricordare più un G8 in miniatura che la scampagnata di un primo ministro in cerca di consensi (da spendersi a breve viste le scadenze che s’avvicinano…).

I miei pensieri non vogliono tuttavia focalizzarsi a questo, a descrivere il carattere sempre più totale delle istituzioni e della repressione ci avete pensato molto meglio voi negli ultimi anni con le notizie e le analisi che, per fortuna, sono riuscite a dare una sveglia anche al mio pensiero.

Preferisco piuttosto spendere due parole sul valore simbolico della prima visita odierna di Renzi (se date un’occhiata al suo calendario viaggi di oggi, 8 maggio, capirete rapidamente di cosa e di dove sto parlando) che, guarda caso, si spende in un luogo in cui la filosofia del jobs act s’è affermata ben prima che il fiorentino iniziasse ad accennarne.

La prima tappa di Renzi è infatti un luogo che del precariato e più in generale della messa a valore estrema della “risorsa umana” ha fatto dogma di successo considerate le acque agitate che ha attraversato, anche mediaticamente,  questo centro, e poco importa se vi diranno o leggerete che così vuole la competizione internazionale perché altre realtà di spicco (Germania docet) simili a quella di cui vi parlo sono strutturate a questa maniera.

In questo luogo più di ogni altro si può tastare con mano la totale disumanizzazzione del modello di sviluppo capitalistico attuale di punta, mi riferisco a quello della ricerca e più in generale della messa a valore  della produzione di “concetto” che qui è trainata da svariate centinaia di studenti/ricercatori che spendono il proprio dottorato nell’interesse dell’istituto e sono retribuiti coi quattro spicci previsti dalla borsa di studio universitaria. Per capirci parlo di gente laureata col massimo dei voti prima alla triennale, poi alla specialistica (e spesso con titoli aggiuntivi e quant’altro) che a fronte di un impegno giornaliero che sfora abbondantemente e per prassi le 8 ore giornaliere, percepiscono circa 1300€ mensili con un inquadramento squisitamente e totalmente precario.

I dipendenti veri e propri non se la passano molto meglio. Qui, infatti, si viene assunti con contratto unilaterale trascorrendo da un minimo di 1 a un massimo di 3 anni a tempo determinato per poi essere confermati (ma la certezza non esiste) a tempo indeterminato fermo restando il contratto unilaterale e l’assenza d’avanzamenti d’inquadramento e/o di retribuzione tra un passaggio e l’altro. In quest’oasi d’eccellenza inoltre non esiste chiarezza sul percorso professionale del singolo dipendente, compreso il versante retributivo (per altro decisamente compresse rispetto all’ambiente – si parla spesso di 22 mila/25 mila € lordi annui) bloccato dal 2007 o giù di li.

La ciliegina sulla torta alla passerella renziana è data dal fatto che in un luogo del genere (in cui non è nemmeno prevista la rappresentanza sindacale dei lavoratori) dove ogni persona sana di mente s’aspetterebbe fosse maturata una coscienza collettiva di un certo tipo (almeno tra i dipendenti, per i ricercatori è oggettivamente più difficile fare massa critica considerando lo stess, il turn-over cui sono sottoposti e il fatto che moltissimi sono stranieri, spesso extra UE) al contrario ci si scontra con un relativismo intellettuale e una mancanza d’incisività collettiva mescolati ad un individualismo anglosassone che lascia atterriti. E’ praticamente impossibile cogliere un’analisi oggettivata della situazione interna e soprattutto una visione differente delle cose da quella attualmente più diffusa, altrettanto difficile e improduttivo è tentate di parlare di queste cose, nella migliore delle ipotesi ci si imbatte in un laconico “tanto non cambia niente e poi noi stiamo meglio di altri”, nel peggiore dei casi ci si scontra col pensiero di chi è convito di potersi ritagliare una nicchia privilegiata e del tutto personale anche a scapito degli altri.

Mentre vi scrivo percepisco fastidiosamente il clima da “evento” che le persone intorno a me assaporano per ciò che si sta verificano e non nascondo un certo sconforto nel vedere tanta gente pronta a genuflettersi davanti alla “testa di legno” di turno. Almeno si trattasse di un potente serio, ma per dio qui siamo davanti a un vassallo che governa conto terzi!

Spero che quanto ho scritto sia di vostro interesse e vi dia spunto per dibattere su quella parte sociale, a naso maggioritaria in questo paese, che a mio parere non ha capito nulla del momento in cui si trova a vivere e che, ancor peggio, forse ha capito poco anche della vita in generale.

Cordialmente,

X.Y.

PS: sto assistendo alla diretta streaming dell’evento, ed è qualcosa d’imbarazzante, mi auguro a breve potrete goderne anche voi.

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