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Esercito europeo, un cane da guardia senza remore e limiti

Come uscire dalla crisi dell'Unione Europea? Le due opzioni di fondo sono semplici: o si dissolve o si blinda militarmente, oltre che economicamente (auterità e Banca Centrale Europea).

La Brexit ha rotto le incertezze, ossia il prolungarsi indefinito di trattative su ogni punto, con gli Stati nazionali che potevano esercitare l'ultimo straccio di “sovranità” con l'esercizio di un diritto di veto – singolo o di gruppo – giocato di sponda sugli interessi diversi dei paesi più forti. Così, l'austerità si è imposta su pressione tedesca, contando sul fatto che l'altro gigante economico – la Gran Bretagna – non era inchiodato dalla moneta unica.

Allo stesso modo, la presenza britannica impediva di fatto la formazione di un “sistema di difesa europeo” (quando ci sono di mezzo arsenali nucleari integrati col sistema missilistico Usa, è difficile far quadrare i cerchi).

La Brexit, dunque, così come permette alla “perfida Albione” di accelerare la crescita del Pil nei mesi successivi al voto referendario (singolare, no? Dovevano rimetterci l'osso del collo, secondo “gli analisti”…), permette o costringe i “continentali” a mettere in comune, come primo passo, l'élite dei propri eserciti per garantirsi la possibilità di operare sui teatri di guerra presenti e futuri.

L'intervista entusiatiche che Repubblica strappa a Lady Pesc, il cosiddetto ministro degli esteri europeo, è insolitamente esplicita. Anche al di là, magari, di quanto non gli avrebbero consigliato funzionari di più lungo corso. Ma la giovin signora non ha mosso i primi passi nella carriera diplomatica istituzionale – gli anni della “formazione” li ha consumati militando nell'ala “dialogante col potere” dei social forum, da Porto Alegre in poi – e quindi padroneggia meno i filtri al proprio ego (come il suo primo sponsor Renzi, del resto).

I punti salienti dell'intervista sono novità importanti. E molto indicative della direzione che andrà prendendo l'Unione Europea, se non verrà frenata da altri impatti pesanti come la Brexit o più (il possibile NO al referendum sulla controriforma costituzionale è molto temuto, a Bruxelles).

Vediamoli nell'ordine:

"A giugno, all'indomani del referendum britannico favorevole alla Brexit, ho presentato ai leader europei la mia proposta di "Global Strategy", che va dalla politica estera a quella di sicurezza e di difesa. È stata una scelta di tempi consapevole. Volevo mandare il messaggio che, nonostante la defezione britannica, l'Europa può e deve andare ancora più avanti nel processo di integrazione.”

Un segnale politico forte, insomma, per scongiurare il prevedibile effetto “contagio”, anche sull'onda degli innumerevoli muri confinari che ogni Stato va progettando per impedire l'ingresso di profughi dal Medio Oriente e dall'Africa. Una sorta di “meglio pochi, ma coesi”, con un centro di comando potente – e la forza militare è in definitiva la più importante, dopo l'economia – in grado di scoraggiare fughe nazionalistiche di ogni segno (dai populismi destrorsi alle rivolte sociali vere e proprie).

Come ogni matrimonio di convenienza, anche quello tra potenze continentali e Gran Bretagna era vissuto dalle due parti come un limite ale proprie ambizioni:

"Molti hanno pensato che la prospettiva della Brexit offrisse l'opportunità di non essere più frenati dal Paese che si è sempre opposto con maggiore determinazione all'idea di mettere in comune gli strumenti di Difesa. La mia sensazione è che la futura uscita della Gran Bretagna dalla Ue abbia tolto un comodo alibi dietro cui molti si nascondevano. Quando nel corso della storia europea Londra ha messo veti all'integrazione militare, non si è mai trovata da sola".

Nelle intenzioni del gruppo trainante verso un'Unione Europea “più stretta”, insomma, si dovrebbero limitare al massimo, d'ora in poi, le resistenze alla polacca o all'ungherese, gli imbizzarrimenti antirussi dei baltici, e altri comportamenti che trovavano sempre in Londra una sponda comprensiva e decisiva. Nel calcolo dei pesi specifici, dunque, senza la calamita inglese gli “euroscettici di mestiere” tornano pulviscolo ininfluente e minacciabile.

"In questa fase, ci vogliamo attenere a cose molto concrete, che possono essere fatte senza bisogno di toccare i trattati ma che non sono mai state attuate, anche se l'Unione europea già oggi è impegnata in ben diciassette operazioni militari e civili in campo internazionale. […] Poi vedremo chi vorrà partecipare, e a quali iniziative. L'idea è che, se qualcuno ha dubbi o riserve, gli altri possano andare avanti con una cooperazione rafforzata permanente.”

Avanti con chi cista, insomma, come altre volte si è fatto su diversi temi. Ma qui stiamo parlando di eserciti; ed è chiaro che se “noi” mettiamo insieme una forza militare soverchiante, “tu” dovrai stare molto più cauto nelle posizioni che vai prendendo, chiunque sia al governo.

La lista delle cose da fare subito non lascia peraltro spazio a dubbi:

"Primo: i "battlegroups". Sono unità multinazionali europee di intervento rapido. Esistono già da anni, lavorano e si addestrano insieme. Ma non sono mai stati utilizzati sul terreno. Potremmo e dovremmo decidere di farne uno strumento da utilizzare dove e quando serve un intervento europeo immediato. Secondo: ricorrere all'articolo 44 del Trattato, che prevede la possibilità di delegare ad un ristretto gruppo di Paesi il compito di condurre azioni militari in nome e per conto di tutta l'Unione. Anche questo articolo non è mai stato usato. Terzo: creare a Bruxelles un Quartier Generale comune che gestisca tutte le operazioni militari e civili presenti e future. Potrebbe diventare il nocciolo attorno al quale costruire una struttura comune di Difesa. Quarto: mettere insieme le risorse per i giganteschi investimenti che sono necessari nel settore della Difesa".

Qualcuno potrebbe trovare superflua questa insistenza da legulei su questo o quell'articolo dei vari trattati europei, ma i “tecnocrati” non hanno alcuna legittimità popolare e lo sanno; dunque debbono continuamente “mostrare le carte scritte” per rivendicare una preponderanza rispetto ai singoli Sati membri. In dettaglio:

a) ci sono già gruppi da combattimento sovranazionali pronti ad operare ovunque (fuori dell'Europa ma anche dentro, visto che la “mutua assistenza” è prevista fin dai trattati degli anni '50);

b) ad agire possono essere le truppe gli Stati che “ci stanno”, senza doversi dilungare nella ricerca dell'unanimità (e in questo modo viene bypassato qualsiasi governo dovesse essere formato da mivimenti eurocritici, sia di destra che di “sinistra radicale”);

c) va creato l'equivalente militare della Bce, che obbedisce agli ordini della Commissione e non a quella degli stati (il che crea un bel problema per il futuro, quando contingenti di un paese potrebbe essere chimati ad intervenire contro il “proprio” governo legittimamente eletto, ma in disaccordo grave con la Ue);

d) spesa militare comunitaria, perché le nuove tecnologie militari hanno costi che nessun paese europeo da solo può affrontare.

Di fatto, si tratta di mettere a punto il dispositivo militare a protezione di istituzioni sovranazionali in pesante deficit di legittimità democratica, sempre più odiate dalle popolazioni perché giustamente individuate come prime responsabili del proprio impoverimento (a prescindere, ricordiamo, dalla cifra politica che quell'odio va assumendo nei diversi paesi), pronte ad assumere decisioni “ancora più impopolari in materia di lavoro,welfare, sanità,scuola, ecc. Un “cane da guardia” senza nazione e senza identità, quindi senza remore e limiti.

Tutto questo, precisa la Mogherini, “è già partito”. La formalizzazione ci sarà però soltanto in marzo, per il 60° dei Trattati di Roma. Ovviamente con grande enfasi sui "padri fondatori [che] pensavano che l'Europa si dovesse costruire prima di tutto sulla Difesa"…

Referendum permettendo, of course

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