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Elezioni. Primi commenti

Qui di seguito alcune prime valutazioni giunte in redazione sui risultati delle elezioni europee.

Europee: la vittoria di Gattopardo Renzi. Prime analisi

Di redazione di Senza Soste

I media avevano impacchettato queste elezioni come un match Renzi vs Grillo e le urne, disertate in massa (58% di affluenza), hanno dato il verdetto: ha vinto Renzi. O meglio, ha vinto il pacchetto di potere formato da Rai, Mediaset, La7, Gruppo Espresso, Rcs, Draghi, Bce e Fondo Monetario. Grillo ha perso una guerra ad armi impari perché in Italia l’80% dell’elettorato continua ad informarsi con la tv generalista dove viene applicato un monopolio di fatto a sostegno di Renzi che appare in tv con una frequenza maggiore di quanto facesse Ceausescu all’apice della popolarità.

Non deve quindi sorprendere l’apparizione di Grillo da Vespa che per molti è apparsa incoerente con quello che aveva sempre professato. Grillo ha dovuto ricredersi di fronte alla palese sproporzione di fuoco a disposizione del fiorentino. Per i poteri forti italiani non c’era da scherzare a questo giro e tutta la potenza di fuoco è stata scaricata a fianco di Renzi che ha divorato i voti di Berlusconi, di Monti e dei centristi.

Il Movimento 5 Stelle paga la propria inesperienza di fronte a questi giganti del potere costituito, ma paga anche tanti errori di inesperienza e di comunicazione oltre che ad un programma europeo troppo vago e una collocazione nel parlamento europeo non dichiarata. Ma paga anche, agli occhi di molti italiani che non lo hanno rivotato, la gestione politica della formazione dei governi dopo le elezioni del febbraio 2013 in cui non ha nemmeno provato a governare pur essendo il primo partito. E agli italiani, molto inclini alla conservazione e alla non conflittualità, non è piaciuto. Il M5S paga però anche le epurazioni e una struttura organizzativa che non ha saputo emanciparsi dal biunvirato Grillo-Casaleggio.

A Livorno il Pd alle elezioni europee ha preso circa il 53% mandando tutti i partiti di centrodestra sotto il 10% con percentuali effimere. I 5 Stelle arretrano al 22% ma per quanto riguarda le elezioni comunali le liste civiche (quelle di Cannito e Raspanti in primis) ridimensioneranno il voto del Pd che sul territorio avrà certamente percentuali più basse e probabilmente andrà al ballottaggio.

La balena bianca è tornata e niente di più vero è stato scritto pochi giorni fa su un muro di Livorno: Renzi Gattopardo

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Grillo, e ora che si fa?

Di Francesco Santoianni

In fondo, questo calo elettorale del Movimento Cinque Stelle  (pur facendo la tara con la relativa crescita del PD, che ha trasformato questo calo in una débâcle) era facilmente prevedibile. Per carità, nessun link a miei precedenti articoli. Sarebbe bastato riflettere sul suo progressivo calo nelle varie elezioni amministrative; alle sempre più asfittiche sue iniziative, al progressivo disimpegno dei suoi “militanti” (nonostante l’aumento degli “Attivisti certificati” che nessuno ha visto mai ma buoni per votare in Rete qualche candidatura o espulsione).

Il tutto comincia a ridosso delle elezioni febbraio 2013 quando, il riversarsi di una fiumana di persone cariche di speranze e aspettative, verso il Movimento Cinque Stelle fu visto da Grillo non come occasione per strutturare un Movimento democratico e articolato con il quale interagire con la società ma, bensì, come una minaccia alla sua Chiesa che avrebbe dovuto portarlo oltre la soglia del 51%”.  Quindi, calo di saracinesca verso tutti quei movimenti di lotta, (per non parlare di intellettuali che non fossero disposti a mero vassallaggio), nessuna vera partecipazione a cortei o mobilitazioni e, sopratutto, caccia all’eretico tra le file del “Movimento”.  Ne fanno le spese, principalmente, gli eletti che – impossibilitati ad essere in Parlamento o nei Consigli regionali punta di diamante di movimenti di lotta – non erano disposti ad essere mero oggetto di venerazione su Facebook  per la loro probità, “yes-man” di Grillo&Casaleggio, o comparse per qualche coreografica “protesta”.

Il resto è storia di queste ore. Stancatisi molti elettori del “pazzariello”, che prometteva di cambiare le cose con un mero movimento di opinione, o non sono andati a votare o – peggio ancora – hanno votato i partiti di sempre nella illusione di poterli “condizionare”. Di certo (e l’imminente analisi delle preferenze lo confermerà) non hanno votato candidati alle Europee scelti – grazie alle modalità dettate da Grillo&Casaleggio – tra perfetti sconosciuti, incapaci, quindi, essere momento di aggregazione nel Movimento Cinque Stelle e, problema per i tutori di questo.

Farà Grillo la fine di Pannella? Speriamo di no, anche perché con l’aggravarsi della crisi economica e l’avanzata dei movimenti apertamente reazionari e fascisti in Europa, la situazione potrebbe precipitare. Per invertire la rotta sarebbe fondamentale, comunque, che i veri attivisti del Movimento Cinque Stelle facessero, finalmente, sentire la loro voce, pretendere strumenti decisionali e democratici territoriali e – perché no? – una Assemblea nazionale o, addirittura, un congresso. Se questo non succede, non resta che rassegnarsi al declino, all’esplodere di faide e espulsioni e a post (come quelli che da stamattina affollano Facebook) secondo i quali la “colpa” del risultato elettorale è “degli Italiani che non sono ancora maturi”.

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Risultati delle elezioni europee: rafforzare subito l’opposizione anticapitalista

di Franco Astengo

Il risultato che si profila alle elezioni europee per quel che riguarda l’Italia, e in controtendenza al quadro europeo, registra per la prima volta dagli anni’50 un partito che potrebbe superare la soglia del 40% . Un esito che dimostra, per prima cosa, come un paese sfibrato abbia tentato nuovamente di affidarsi ad una sorta di “Lord Protettore”, a “un uomo solo al comando” e alle sue promesse. Si rafforzano così fenomeni che possiamo ben giudicare come di vera e propria regressione democratica come quello della personalizzazione esasperata e di istanze di tipo ultra maggioritario che possono essere considerati frutto di un intreccio tra disperazione e  acquisizione compiuta di un certo tipo di concetto di post-democrazia. Pare proprio, infatti, aprirsi una fase di post democrazia con il superamento degli schemi, sia quello bipolare classico centrodestra versus centrosinistra, sia quello tripolare su cui pareva essersi assestato il sistema politico italiano. Il confronto vecchio/nuovo che pare emergere appare inoltre contenere inquietanti elementi di disprezzo e di insofferenza per la democrazia rappresentativa, cui si accompagna una sorta di esaltazione di mito giovanilistico arditesco il cui combinato disposto non può che inquietare.

 Il dato generale ci dimostra, però, una spaccatura a metà dell’elettorato italiano: la partecipazione al voto (pur ricordando che si è votato in una sola giornata) ha portato alle urne circa 28 milioni di elettrici e di elettori: considerata una quota di schede bianche  e nulle smile a quella del 2013 i voti validi dovrebbe assommare a meno di 27 milioni (26.800.000) e il “non voto” oltre i 22 milioni.

Ne consegue la valutazione di una forte instabilità sociale, considerata anche la vera e propria sofferenza che stanno vivendo sul piano economico interi settori della società italiana.Nel momento in cui questo commento è stato elaborato lo spoglio delle schede aveva già oltrepassato un terzo del totale. Eseguendo, a questo punto, una proiezione sui dati reali si può dedurre che il PD dovrebbe attestarsi poco al di sotto dei 10 milioni di voti con un guadagno assoluto di oltre 1.500.000 suffragi rispetto al 2013. Il Movimento 5 Stelle ipotizzabile attorno ai 4.600.000 voti ne perderebbe circa 4.000.000. Forza Italia a 3.600.000 cederebbe oltre 4.000.000 di voti rispetto al PDL 2013 mentre l’NCD ne recupererebbe meno di 1.000.000. In crescita (ma con forti difficoltà per il quorum9 Fratelli d’Italia con 120.000 voti in più, mentre la Lista Tspiras (che in questo momento appare un filo sopra il 4%) cede, rispetto al totale tra SeL e Rivoluzione Civile circa 700.000 voti. I”centristi” franerebbero cedendo quasi completamente i 3.500.000 voti che, tra UDC, Lista Monti e Futuro e Libertà avevano raccolto nel 2013.

Si tratta di dati ancora suscettibili di variazioni importanti ma che si ritiene di dover sottopporre comunque all’attenzione per segnalare, prima di tutto, il successo in valori assoluti del PD e, in secondo luogo, il peso dell’astensione sui voti effettivamente attribuiti al di là dell’eventuale mascheramento delle percentuali.

Tornando al piano più propriamente riferito alla prospettiva politica si può confermare come si apra per intero il discorso dell’opposizione fondata sulle grandi contraddizioni sociali, prima fra tutte quella tra capitale e lavoro da accompagnarsi con quella democratica e con quella derivante dalla devastazione del territorio e con l’evidente dilagare della “questione morale”. Una opposizione da portare avanti  sulla base di una precisa identità anticapitalista. Una opposizione da condursi senza sconti favorendo l’apertura di un ciclo di lotte, muovendoci in perfetta controtendenza rispetto al tipo di “agire politico” dominante, organizzando una adeguata soggettività politica provvista di una propria identità. Questo risultato elettorale, per il valore che può avere sul piano sistemico e della fase ci indica questo orizzonte da perseguire con immediatezza e tenacia.

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Un risultato molto chiaro. Ma non definitivo

di Aldo Giannuli

Risultato netto e di non ardua interpretazione: Renzi ha vinto, il M5s ha perso, il centro non esiste più, la destra è in via di dissoluzione, piccole ma significative affermazioni di Lega e Lista Tsipras. Inutile cercare attenuanti o giustificazioni: i numeri parlano chiaro. Ora cerchiamo di vedere cosa c’è “dentro” questi numeri, cercando di tener presenti percentuali e voti assoluti anche se non completissimi (mancano solo 60 sezioni, per cui possiamo ritenere i dati definitivi, salvo piccolissimi discostamenti finali). In primo luogo, va detto che la forte astensione prevista c’è stata, ma si è distribuita in modo molto più disomogeneo del passato: è stata molto alta nel sud e nelle isole, mentre, al contrario i risultati più favorevoli  alla partecipazione si sono avuti nei due collegi settentrionali ed, in parte, al centro.

E non si tratta di divari da poco: nelle isole ha votato il 42,7% e nel nord ovest il 66,3% con uno stacco di quasi 24 punti, nel sud il 51,7% e nel N. Est il 64.5 in uno stacco del 13%.  E questo ha, ovviamente, avvantaggiato molto chi è forte nelle circoscrizioni con una maggiore partecipazione (il Pd) e, al contrario, svantaggiato chi è radicato in quelle dove si è votato di meno (M5s, Fi, Ncd).

Veniamo all’esame dei singoli partiti, partendo dal risultato clamoroso del Pd, che prende circa il 15% in più dell’anno scorso. Un incremento mai registrato nella storia repubblicana di questo paese. In realtà, il risultato in termini assoluti sarebbe meno clamoroso: circa due milioni e mezzo di voti in più, che, su una percentuale dell’80% dei votanti (quella solita delle politiche) sarebbe dell’8-9%; ma, la flessione di oltre il 20% dei votanti, ha rivalutato fortemente sia il dato di partenza che l’incremento, raddoppiando quell’8%.

Inoltre, dato che una parte degli astenuti aveva sicuramente votato Pd l’anno scorso e qualche altro avrà cambiato voto, questo significa che i “voti freschi” sono stati oltre tre milioni. A guardare bene, il dato coincide quasi perfettamente con quello della lista Monti che nel 2013 ottenne 2.824.065 voti, cui andrebbero sommati i circa 750.000 di Casini e Fini ed i 380.756 di Giannino, per un totale di 3.972.363 voti. Detratti i voti dell’effimera Scelta Europea, quelli attribuibili all’Udc nella lista comune al Ncd, una parte di probabili astenuti e qualche piccola quota andata alla destra, restano circa tre milioni di voti, che sono, con ogni evidenza, il principale alimento dell’avanzata renziana. Qualcosa probabilmente è venuta anche dalla sommatoria Sel-Rivoluzione Civile che era di 1.854.597 voti, per cui la Lista Tsipras perde 752.526 voti, in parte andati all’astensione ed in parte al Pd.

La vittoria renziana è stata poi propiziata dalla maggiore partecipazione delle circoscrizioni del Nord Est e del Centro, dove il Pd è collocato oltre la media nazionale (rispettivamente 43,5% e 46,6%) e del Nord Ovest (dove il Pd con il 40,4% è grosso modo al livello della media nazionale).

Simmetricamente, l’astensione è stata massiccia nelle circoscrizioni del sud e delle Isole, dove il Pd è sensibilmente sotto media. Riassumendo: il Pd mantiene sostanzialmente il voto che aveva un anno fa (salvo una quota presumibile di 6-700000 voti andati all’astensione ed, in piccolissima parte, ad altri partiti), ed “ingoia” quasi interamente il centro, oltre che una piccola quota di voti di Sel.

Perché questo voto? Togliamo di mezzo le risposte “facili” come quella degli 80 euro di regalia elettorale. I famosi 80 euro hanno avuto la loro parte in questo, soprattutto nel trattenere l’elettorato più anziano che già votava Pd, ma sono stati la componente minore.

Sulla tenuta dell’elettorato preesistente hanno influito, da un lato il risultato plebiscitario come segretario del partito, in parte il fatto che i vecchi leaders (D’Alema, Veltroni, Franceschini, Cuperlo) si sono messi a correre pancia a terra per frenare quelli che pensavano di astenersi o votare altro.

Sulla confluenza del voto di centro ha invece avuto un ruolo decisivo –che è stato il vero asso nella manica di Renzi- la campagna terroristica dei media sugli effetti che avrebbe avuto l’uscita dell’Italia dall’Euro (ricordate? Inflazione weimariana, riscaldamenti spenti per il costo del petrolio, risparmi polverizzati, mutui alle stelle non più pagabili…).

Si è accreditata l’immagine di un’uscita dall’Euro improvvisa in caso di vittoria del M5s, addirittura già da luglio. Il centro, orfano di Monti, ha individuato in Renzi il punto di riferimento per la difesa dell’Euro. Ed il Pd ha finito per assorbire la grande maggioranza di quei voti dell’area della “legittimazione europeista” che negli altri paesi si distribuisce fra popolari, socialisti, liberali e verdi. E questa è la ragione principale del successo di Renzi.

Parallelamente il M5s ha pagato il prezzo di questa polarizzazione: il suo messaggio è parso poco chiaro a chi voleva davvero un’uscita immediata dalla moneta unica (e che ha finito per votare Lega e FdI), ma insieme troppo allarmante per quell’elettorato moderato che vede la fine dell’Euro come una avventura insopportabile. Il M5s ha insistito in modo troppo monocorde sulla denuncia di questo ceto politico e delle sue ruberie, ma ha chiarito poco il suo discorso “in positivo”, finendo per accreditare l’immagine di movimento del No, che protesta ma non propone. E questo ha avuto un effetto micidiale proprio sulla questione dell’Euro: resto convinto che l’Euro sia una scelta sbagliata da superare, ma c’è modo e modo di farlo e di dirlo. Sarebbe stato necessario chiarire che a questo risultato si può pervenire nei tempi e nei modi necessari ad evitare quella dèbacle di cui i media terrorizzavano l’elettorato moderato.

E qui il M5s paga lo scotto di due “debolezze” storiche connesse fra loro: l’essere troppo centrato sul suo leader e il tono poco flessibile della sua comunicazione, che appare sempre nella versione “gridata” di Grillo (cui, peraltro, va dato atto che si è sforzato di essere rassicurante nell’ultima fase della campagna, ma forse troppo tardi).

Grillo deve restare al suo posto e non deve neppure prendere in considerazione l’idea di abbandonare la politica, così come deve continuare ad esprimersi con le caratteristiche che gli sono proprie, ma deve dare più spazio agli altri esponenti del movimento, quel che, fra l’altro, consentirebbe anche una maggiore modulazione dei registri della comunicazione. E non basta solo Gianroberto Casaleggio o anche Fico, Di Battista e Di Maio o la Taverna, occorre che anche altri parlamentari vengano alla ribalta. E, per farlo, occorre anche ripensare questa scelta mediatica affidata tutta e solo al web. Intendiamoci: il web è stato una scoperta politica di grandissima importanza e di questo siamo grati a Grillo e Casaleggio che hanno innovato il modo di fare politica. Ma il web non basta, anche perché gli italiani che sono connessi alla rete non sono la maggioranza e, se vuoi andare oltre il 25%, non puoi permetterti di disertare giornali, radio e Tv.

Così come, la rete, per quanto importantissima, non può surrogare la necessità di una organizzazione territoriale. Con un partito tutto d’opinione, basato solo sulla rete, puoi reggere il 6 o l’8%, ma non il 25%.

Di Fi c’è poco da dire: è alla fine del ciclo, non solo perché ha toccato il punto più basso della sua storia elettorale e perché il suo leader ha perso ogni smalto e non ha successori, ma perché è disperatamente sola: dopo gli insulti sanguinosi che sono volati, una coalizione con il Ncd è difficile e comunque risolverebbe poco. La Lega non ha alcun interesse ad entrare in una coalizione perdente in partenza e, semmai, accentuerà il suo profilo di opposizione antieuropeista dura e pura.  Praticamente i soli FdI potrebbero avere qualche interesse a coalizzarsi, ma sempre che Fi non finisca di frantumarsi fra uscire e polemiche.

Buona l’affermazione della Lista Tsipras (unico dato positivo di queste elezioni, dal mio punto di vista) anche se non è un risultato entusiasmante, considerando i voti persi. Adesso, però, ha il problema di chiarire se il suo destino è quello di essere risucchiata dal grande magnete renziano o fare opposizione ed in quale modo. Un confronto che partirà già nei prossimi giorni.

Concludendo: il centro non esiste più, la destra si sta sfaldando, il Pd trionfa e l’unica possibile opposizione di qualche consistenza è il M5s.

Questa è la fotografia della situazione. Per cui, se è giusto parlare di sconfitta del M5s, che non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi, è sbagliatissimo parlare di tracollo o addirittura di prossima scomparsa. Il M5s ha una posizione molto forte da cui ripartire: quella di unica opposizione in grado di mantenere una dialettica democratica. Ma per farlo deve saper riflettere sulla sua sconfitta e trarne la lezione giusta.

I militanti del M5s avevano immaginato, con molto entusiasmo ed ingenuità, un susseguirsi rapido ed ininterrotto di vittorie, che li avrebbe portati a conquistare in breve il governo. Avevano scambiato la lotta politica per via XX settembre che porta, dritti dritti, da Porta Pia al Quirinale. Non è così: la lotta politica conosce alti e bassi, sconfitte e vittorie, ma soprattutto non è mai rettilinea ed è fatta di curve e dossi.

Ieri c’era un entusiasmo eccessivo e, perciò stesso, sbagliato. Oggi sarebbe sbagliato il contrario, lasciarsi prendere dallo sconforto: questa è una sconfitta ma il M5s è solidamente attestato sulla posizione di secondo partito ed unica opposizione rilevante. E di lì può far molto.

D’altra parte, Renzi ha vinto, certamente, ma sarà in grado di reggere la prova? Nonostante questa smagliante vittoria, continuo a pensare che non sia Napoleone.

 

 

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