La questione dell’uso ideologico dei libri di testo scolastici è un problema che si affaccia spesso alla coscienza critica degli insegnanti, soprattutto nelle fasi di sviluppo ed evoluzione della mentalità dei propri discenti. Spesso essa emerge in maniera poco o non del tutto chiara, definita e determinata, nelle proprie condizioni d’uso e così di inconsapevole attuazione. L’imposizione che tale uso ideologico effettua viene sì avvertita, ma non precisata, né tantomeno delimitata e funzionalizzata. Ci si rende conto della presenza di una finalizzazione razionale che restringe a priori lo spazio di riflessione e di scelta, ma non ci si avvede della struttura che esso utilizza nei suoi elementi evidenti, nei suoi scopi e ragioni nascoste. Anche il sottoscritto è rimasto preda di questa cattivazione mal sopportata, proprio durante l’uso del proprio manuale di geografia per le scuole medie. Diviene quindi sommamente necessario portare ad evidenza questa struttura, insiema con la sua imposizione nascosta (con le sue finalità di cattivazione di un necessario ed ineludibile consenso implicito e le sue limitate e ben confinate possibilità di temperamento), proprio per rovesciarne ed impedirme le neutralizzazioni volute.
È con la trattazione dell’argomento della globalizzazione che questo uso ideologico si presenta e si impone. Il tema della globalizzazione è naturalmente l’asse portante dell’insegnamento della storia moderna e contemporanea, sia nella trattazione che di esso viene compiuta nelle scuole medie inferiori, sia in quella più complessa delle scuole superiori. Esso consente all’insegnante di non separare, ma anzi di integrare, le discipline della storia e della geografia (soprattutto nelle scuole medie inferiori), a partire dalle prime fasi della colonizzazione europea del XV-XVI secolo sino alla seconda rivoluzione industriale (che precede la trattazione della Prima Guerra Mondiale) ed allo scontro fra mondo Occidentale e Socialismo reale nel secondo dopoguerra (sino al 1989-1991). Con gli esiti attuali della cosiddetta “guerra al terrorismo”.
Ebbene anche il sottoscritto ha dovuto sottostare e soggiacere ad una specie di sottomissione, a forche caudine non accettate e non apertamente rovesciate, come la necessità razionale e la stessa deontologia educativa imporrebbero. A proposito della globalizzazione infatti il manuale in uso presentava il quadro apparentemente neutrale di un processo che si svolgeva attraverso una relativa e corrispondente polarità. Da un lato ‒ a sinistra ‒ gli elementi positivi che la contraddistinguevano: l’apertura a livello mondiale degli scambi materiali (produzione e commercio) ed immateriali (cultura, stili di vita ed impostazioni esistenziali quotidiane), il radicamento di un processo globale di sviluppo generale delle forze produttive e quindi la possibilità dell’accesso generalizzato ad un diversificatissimo e sempre più nobile apparato di merci. Con il corollario della formazione di una mentalità globale aperta e diversificata, ad immagine e somiglianza delle merci prodotte, vendute e consumate nei quattro angoli del pianeta. Quindi un miglioramento generalizzato, sia dal punto di vista materiale che da quello ‒ direbbero i cultori della globalizzazione ‒ quasi spirituale: un nuovo ordine mondiale ed un nuovo tipo e modello d’umanità si affacciano all’orizzonte dell’evoluzione della vita sul pianeta, a mostrare l’ideale di un progresso senza fine e ‒ anesteticamente ‒ senza più dolore o sofferenza. Dall’altro ‒ a destra ‒ i possibili esiti ed elementi negativi dello stesso processo: la restrizione all’accesso delle materie prime vitali per la sopravvivenza e la stessa produzione/commercializzazione dei beni, la sottrazione e la concentrazione delle stesse nelle mani delle multinazionali, con la determinazione essenziale di una logica dell’espropriazione, alienazione e sfruttamento (umano e naturale). Con effetti immediati nei paesi del cosiddetto “Sud del Mondo” (povertà, fame, emigrazione, guerre, devastazione ambientale) e riflessi apparentemente imprevisti in quelli del “Nord del Mondo” (delocalizzazione, precarietà lavorativa, diminuzione dei diritti sociali ed economici).
Di fronte a questa compresenza i manuali sono soliti poi soddisfare la richiesta ‒ molto umana e razionale, direi ‒per una regolazione di tali effetti negativi disponendo in alto, quasi come vertice superiore di una triangolazione, un elemento dirigente ed appunto regolatore, idealmente riequilibrante: l’elemento finanziario (FMI, WTO, BM, BCE, OSCE, …). Esso, avendo a cuore i destini di miglioramento e progresso dell’umanità nella sua interezza, predispone tutte quelle modificazioni strutturali dell’economia e della società ‒ oppure oggi anche della politica ‒ che possono rovesciare gli effetti imprevisti o non voluti del sistema: in generale tutte quelle misure che possono rivitalizzare o riattuare lo sviluppo ulteriore delle modalità economiche previste dal sistema neoliberale capitalistico. Quegli elementi negativi vengono infatti, di volta in volta, attribuiti a cause esogene, non certamente proprie. Anzi, al contrario, si tende sempre a voler dimostrare che è proprio la mancata attuazione di queste misure a determinare quegli effetti ed esiti negativi. Questo messaggio è spesso veicolato in modo nascosto ed implicito nei manuali considerati (non a caso di proprietà di soggetti appartenenti al campo in causa). In questo modo il manuale svolge la stessa funzione di difesa ideologica (nei e per i ragazzi) svolta dai quotidiani mezzi di comunicazione (negli e per gli adulti). Con il risultato di una volontà ideologizzante totale.
Questa volontà si impone quindi prima con la necessità di una restrizione ‒ all’opposto pensiamo invece un’apertura universale, che coinvolga sia il naturale che il razionale, senza separazione, con un movimento rivoluzionario insieme creativo e doppiamente dialettico ‒ del naturale al soggetto umano ‒ all’umano in quanto soggetto (subjectum) ‒ poi con la sottrazione del naturale allo stesso soggetto umano, per l’investitura di una piena e completa razionalità (distorta): In senso hegeliano l’Idea che torna ad essere Ragione ‒ e ad avere ragione (su tutto e su tutti) ‒ negando ogni cosa e così affermando universalmente se stessa. Con ciò costruendo il prototipo e l’archetipo dello Stato totalitario e della dittatura (ora del Capitale). Questa volontà si impone ora soprattutto come una necessità: una necessità data dall’auto-eliminazione del vecchio nemico ideologico (il socialismo reale) ‒ e con esso si intende del comunismo sic et simpliciter ‒ e quindi dall’auto-evidente persistenza dell’unico mondo (e pensiero) possibile: quello neoliberale e capitalistico.
Per chi non credesse poi eccessivamente nelle magnifiche e progressive sorti del libero mercato e della libera concorrenza, della finalità positiva della finanza e della necessità egualmente positiva della produzione, rimane a fianco una limitata e ben confinata diversificazione. Una diversificazione che comunque si spera sempre di poter addomesticare: la diversificazione etico-religiosa. Ecco allora che i manuali di geografia per la scuola media si dilungano spesso nella trattazione di capitoli destinati all’intervento mitigatore delle opere di assistenza volontaria, civili (ONG) od ecclesiastiche. Si tratta ‒ come si può capire immediatamente, se si è però capaci di superare il quadro generale di discussione imposto ‒ di una tratta di relazione e di previo imprigionamento. Al di fuori di questi confini e della struttura che li impone ‒ hic sunt leones ‒ non è lecito andare: la funzione delle ONG e delle organizzazioni religiose ‒ come, soprattutto, della stessa religione ‒ deve restare quella della limitazione del danno e quindi della conservazione stessa del sistema. Quando non della sua affermazione, come strumenti di eventuali e sempre benedette “rivoluzioni colorate”.
Il rettangolo di gioco è quindi dato in partenza, dai suoi elementi e dai loro scopi, dalle loro legittimate relazioni, soprattutto nei suoi esiti preordinati e prefissati. Impedire uno sguardo più aperto e più profondo, libero e critico, che sia capace di mettere in questione il quadro dato e la sua immediata necessità, e che non costringa poi a semplicemente ed effettivamente giocare fra i punti di vista, come sono soliti fare altri manuali scolastici (quelli relativi alle letture di tipo antologico ed esistenziale, civile e sociale, anche con brani storici), quando proprio in relazione al fenomeno della globalizzazione propongono lo stesso schema interpretativo fondamentale e costringono i discenti ad “argomentare”, scegliendo secondo la propria sensibilità da che parte stare, accumulando sotto-elementi da un lato oppure dall’altro, in una pura e semplice apparenza di razionalità e libertà. Del resto se anche i manuali scolastici per le scuole superiori di quella “disciplina” ‒ la filosofia stessa o la sua storia ‒ che dovrebbe avere a cuore quell’apertura e quella profondità sembrano unicamente badare alla più o meno larvata ‒ e finta ‒ opposizione fra tradizione spiritualistica (o se volete idealistica e trascendentista) e tradizione materialistica (od immanentistica), mostrando la serie delle posizioni dei singoli filosofi o delle scuole filosofiche come un successivo parteggiamento per bande, che cosa potreste chiedere legittimamente a chi non solo non pretende di considerare lo sfondo di pensiero che illumina ogni cosa, ma ne chiede anche ‒ spesso con un malcelato rifiuto e disprezzo ‒ l’allontanamento, perché illegittimo ed illecito nella fase di “crescita” dei ragazzi?
P.S.
L’opposizione fra filo-platonici e filo-aristotelici è una pseudo-opposizione, perché costituisce proprio la premessa ideologica dello schema di catturamento precedentemente tratteggiato. Ne è stata e ne è ancora attualmente ‒ negli stessi giochi per bande accademici ed universitari ‒ la premessa e l’educatrice. È infatti la finta scelta fra la coppia vero-e-bene trascendenti per una realtà d’apparenza (Platone) vs realtà materiale e formale di scopo (Aristotele) ad aver nascosto ed ammazzato la speculazione precedente ‒ quella presocratica ‒ alternativa ad entrambe e da entrambe posta o sotto silenzio (Platone), o travisata (Aristotele). E proprio nella sua caratteristica fondante: il principio creativo e doppiamente dialettico. Quel principio che ha costituito la base e la movenza di ogni rivoluzione.
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