Trenta anni fa al Rione Traiano sono state fatte le prove generali di quello che è poi successo a Scampia negli anni ’90: un distretto della droga. Il quartiere è un regalo della speculazione edilizia del secondo dopoguerra sotto la guida di Achille Lauro, il sindaco de «Le mani sulla città» di Francesco Rosi. Se si leggono le note di commento alla progettazione, si scopre che l’urbanizzazione di quella che una volta era una zona agricola, punteggiata da masserie alle porte di Pozzuoli, dovrebbe richiamare le periferie scandinave e le park-way statunitensi. Se si viene nella conca tra Fuorigrotta e Soccavo si scoprono palazzoni a parallelepipedo disposti in file regolari o in diagonale, attraversate da vialoni il cui unico scopo è rendere ancora più complicata la socialità, aumentando il senso di isolamento delle insule condominiali. Naturalmente ognuno fa come crede: c’è chi si tiene il marrone o il celeste che riveste i palazzi, preferendo l’anonimato generale, e chi si costruisce tettoie rustiche sul balcone sorrette da colonne rococò. La buona notizia per tutti è che c’è un sacco di spazio per parcheggiare. A rendere tutto più stravagante i nomi delle strade, ispirati agli antichi romani (via Orazio Coclite, via Tertulliano…). Del resto, il rione si può scavalcarlo del tutto utilizzando la strada a scorrimento veloce che lo circumnaviga. Così il ghetto è servito.
Il quartiere è stato messo su dall’Istituto case popolari, ma ci hanno fatto affari i principali costruttori e ingegneri attivi negli anni ’50 e ’60. Le case erano destinato agli abitanti della baraccopoli di via Marina, zona pesantemente bombardata durante la Seconda guerra mondiale perché vicina al porto, dislocati al capo opposto di Napoli senza alcuna attività che creasse un collegamento con il tessuto cittadino. La mazzata finale arriva con il dopoterremoto e una seconda ondata di trasferimenti forzati dai Quartieri spagnoli e da piazza Mercato. Molti, vista la disponibilità di vani, cominciarono a occupare abusivamente, ricreando le dinamiche familiari, a volte malavitose, del centro storico. Gli alloggi erano destinati anche ai militari o a famiglie in graduatoria per una casa popolare: per entrare ci volevano le forze dell’ordine e settimane di battaglie per non farsi buttare fuori dagli abusivi, al punto da dover lasciare sempre qualcuno in casa a sorvegliare.
</CW>Gli anni ’80 sono stati lo spartiacque tra la possibilità di migliorare una zona popolare di piccola e piccolissima borghesia o lasciare che diventasse un supermarket della droga. La droga, e il soldi, hanno vinto. Al Rione Traiano non si spaccia cocaina, troppo upper class. il mercato offre h24 hascisc, eroina e kobret (fatto con lo scarto della coca). Il quartiere è controllato dai potenti clan di Pianura (Mele, Marfella, Pesce) ma spesso lo spaccio è organizzato da piccoli gruppi familiari: insediati nei singoli palazzi a cominciare dagli scantinati trasformati in appartamenti, acquistano in proprio quantitativi da rivendere al dettaglio. Quando a Scampia lo spaccio si ferma per le retate, cresce lo smercio al Rione Traiano. Quando gioca il Napoli nel vicinissimo stadio San Paolo le vendite si moltiplicano: in molti passano a prendere una stecca di fumo prima di raggiungere gli spalti. Il sistema di vedette e controlli è lo stesso di Napoli est ma qui l’hanno messo a punto prima. Nessuno entra senza essere notato.
L’attività raggiunge l’apice la notte. Per l’azione di contrasto c’è una sola volante della polizia che dovrebbe coprire Soccavo, Fuorigrotta, il Rione Traiano, il Parco San Paolo e magari anche Pianura. «Il fumo lo vendono dappertutto, nei bassi, sulla strada — racconta Riccardo, quarantenne senza lavoro -. Quando ero ragazzino c’era ’onna Maria. Vendeva abusivamente nel suo basso bibite, patatine, caramelle. La sera dicevi “onna Marì una cocacola” e quella ti passava la lattina con, sotto, la stecca di fumo. L’eroina però se eri minorenne non te la vendeva. Se andavi in farmacia di notte era pieno di eroinomani in fila per le siringhe e l’acqua ossigenata. Si andavano a fare dietro al campetto». Il campetto è la pista pubblica di atletica, calcetto e basket del quartiere, di giorno è piena di famiglie e ragazzi che si allenano. Un tesoro che nessuno vandalizza. L’alternativa al campetto sono i circoli e i centri scommesse. I cinema non ci sono mai stati, teatri neppure. Il centro polifunzionale di Soccavo è una visione psichedelica di colori nel mezzo dell’erba alta. Doveva essere affidato a Mario Martone, qualche vano è occupato da associazioni e uffici ma soprattutto è inutilizzato.
La percentuale dei disoccupati è altissima, il parroco Lorenzo Manca racconta che arrivi fino al 70%, altissima anche l’evasione scolastica. Un po’ di commercio, soprattutto negozietti di quartiere, il mercatino a Soccavo, un po’ di artigianato, piccola borghesia delle professioni che si arrangia in una zona ad affitti bassi. Il resto campa con lo spaccio, chi non spaccia rapina in altre zone (soprattutto Vomero, Chiaia e Possillipo) ma anche nel vicino Parco San Paolo: altri palazzoni della speculazione con studi, uffici, una clinica, insomma girano un po’ più di soldi, isolati da piazzale Tecchio grazie allo stradone di via Cinthia, tra la facoltà di Ingegneria e il polo universitario di Monte Sant’Angelo. Perché le istituzioni prima creano le bombe sociali e poi pensano di risolvere con delle trovate: spostare a Fuorigrotta le facoltà scientifiche. Intorno all’univeristà la vivibilità è migliore ma il Rione Traiano resta chiuso nel suo ghetto. Il segno più forte della sua emarginazione, forse, è la cancellazione della linea metropolitana che avrebbe dovuto collegarlo al resto delle linee su ferro. L’unico tratto cancellato dall’amministrazione di Stefano Caldoro dal megaprogetto di trasporto metropolitano avviato da Antonio Bassolino. «Nel Rione — conclude Riccardo — non c’è niente, nessuno ci viene se non ci vive o si deve fare. Se non sei criminale ti fai i fatti tuoi. I ragazzi alla fine cercano di imparare un mestiere ma basta poco, una fesseria fatta senza pensare alle conseguenze, e finisci schedato o a terra morto. Lo stato non c’è, non ti protegge oppure ti spara».
* Il Manifesto 5 settembre 2014
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