Ormai siamo alle repliche.
La questione articolo 18 torna a riempire le prime pagine dei giornali con una ciclicità neanche tanto sorprendente ogni qual volta ci sia da alzare un polverone capace di nascondere le vere intenzioni dei vari governi che, a più riprese, ci hanno messo mano da una decina di anni a questa parte. Sembra come il gol annullato a Turone in un Juve-Roma di tanti anni fa che ogni volta che viene tirato fuori e’ capace di riaccendere gli animi e suscitare contrasti durissimi.
In verità anche questa volta la vicenda ha a che vedere con la nostra totale sudditanza all’Unione Europea, alla BCE e al FMI che non solo hanno subito mandato un loro cenno di gradimento, ma hanno di fatto subordinato la ipotetica concessione di qualche possibilità di flessibilità economica all’aumento ulteriore della flessibilità del lavoro.
Quindi la definitiva aggressione all’articolo 18 e’ un po’ di polvere negli occhi degli italiani per nascondere la enorme distanza tra le roboanti affermazioni di indipendenza dall’Unione Europea e la triste e fredda realtà dei fatti.
Renzi non ottiene assolutamente nulla in Europa sul piano della flessibilità economica e deve smantellare tutta la normativa sul lavoro per ridurre i lavoratori a sudditi come chiedono le istituzioni del capitale internazionale ed europeo.
Sul piano sindacale, che oggi promette sfracelli, c’è semplicemente da sottolineare che quando si sono massacrati gli ammortizzatori sociali, quando si è introdotto l’apprendistato a vita, quando si è reso acausale l’utilizzo dei contratti precari, quando la disoccupazione ha raggiunto livelli sconosciuti, quando si smantellano sanità scuola e previdenza e previdenza pubblica, si massacra la democrazia nei luoghi di lavoro non si è alzato nemmeno un sopracciglio per dire che forse il progetto del capitale andrebbe robustamente contrastato davvero con tutto quello che il movimento dei lavoratori e’ ancora capace di mettere in campo.
La questione dell’articolo 18 assume quindi il carattere simbolico dello scontro tra un sindacato che si è fatto per decenni “facilitatore” dei processi di accompagnamento degli interessi di impresa e che oggi viene messo alla porta perché arnese inservibile e per di più costoso – a tal proposito brilla la contemporaneità tra la querelle sull’articolo 18 e il varo in consiglio dei ministri della riduzione di fatto del ruolo dei CAF – e un governo che, come pochi altri, ha deciso di sfruttare le condizioni mai realizzate prima di avere di fronte un sindacato definitivamente e irreversibilmente inutile per obbedire ai diktat delle istituzioni europee.
La noiosa e stantia contrapposizione tra chi un lavoro c’è l’ha e chi, grazie al prevalere del dominio del capitale, sarà condannato a vita alla precarietà e alla povertà nasconde una sola verità, quella che tutti, ma proprio tutti, dovranno avere lo stesso futuro, un futuro di povertà e sottomissione a cui noi non ci rassegniamo.
Non basterà costruire con tutto il sindacalismo alternativo uno o più scioperi generali e di settore come pure faremo nelle prossime settimane, non sarà sufficiente costruire momenti di collegamento delle lotte con gli altri spezzoni della precarietà sociale come pure faremo, quello che già serve e che servirà ancora di più nel prossimo futuro e’ il rafforzamento e la crescita del sindacato di classe, indipendente e conflittuale, quello che serve davvero e che ne’ Renzi ne’ l’Unione Europea potranno mai avere a libro paga.
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