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Le peripezie di una traduttrice (ucraina) antifascista

È stata davvero allucinante la mia esperienza di “traduttrice” all’incontro, del 7 ottobre, con l’ucraina Natalia Shvets, presentata da alcuni  compagni come una “attivista, impegnata nei diritti umani”. La sera prima avevo contattato via internet alcuni compagni in Ucraina per sapere chi fosse questa Natalia Shvets. Nessuno la conosceva. Un motivo in più per soddisfare la mia curiosità di ascoltare qui a Napoli  l’opinione di una mia compatriota.

La sala era discretamente affollata: una trentina di persone tra cui molti intravisti nel corteo contro la BCE giorni prima. Comunque, mi siedo tra il pubblico e Natalia Shvets comincia a parlare. In un perfetto inglese. Già questo mi fa pensare. Dove avrà mai imparato a parlare così fluentemente in inglese? E chi le ha dato i soldi per arrivare fino a Napoli per tenere la conferenza? Una qualche borsa di studio erogata da una delle tante “fondazioni  culturali” americane che foraggiano (e orientano ideologicamente) tanti giovani “per bene” in Ucraina? Mah… mi sa che sono troppo sospettosa. Comunque, continuo a restare tranquilla mentre i compagni che tentano di tradurre in italiano il discorso della Shvets incontrano difficoltà crescenti. A questo punto c’è chi propone una “soluzione”: invece di fare tradurre in italiano il discorso in inglese di una ucraina, perché non utilizzare una compagna ucraina per tradurlo direttamente in italiano?

Mi guardo intorno, e noto che tutti guardano me. Io? Devo essere io a tradurre? Veramente, non mi sentivo preparata a quel compito… Ma per fare riuscire l’incontro, un piccolo sacrificio si può pur fare. Mi alzo, mi presento alla Shvets stringendole la mano e mi siedo accanto a lei.

“La protesta a Maydan era cominciata pacificamente, con migliaia di studenti democratici lì radunatisi spontaneamente.” Mentre traduco mi viene in mente mio cugino che si vantava con gli amici dei dollari che gli venivano pagati per stare giorno e notte a Maydan. Mi trema un po’ la voce, ma continuo la mia prestazione. “Poi i “berkut” (le truppe antisommossa della polizia) hanno, improvvisamente, cominciato a sparare sugli studenti uccidendoli.” Mentre sento questa frase comincio a  sentire crampi allo stomaco. Ma come è possibile raccontare queste falsità, quando ci sono foto e video che documentano che i colpi che uccidevano manifestanti e poliziotti venivano sparati da cecchini appostati sui tetti? Comunque, tiro un bel respiro e mi rassegno a tradurre esattamente le parole della Shvets. Che va avanti: “A Odessa, non è vero che i manifestanti rifugiatisi nella Casa dei Sindacati sono stati uccisi dalle milizie di Pravy Sektor. Intanto, ci sono testimonianze che molti dei manifestanti “morti” stanno ora benissimo in Russia. E poi ci sono testimonianze che attestano che Pravy Sektor ha aiutato molte persone ad uscire dall’edificio incendiato dagli stessi manifestanti”

Resto in silenzio. Tutti guardano me. Vorrei urlare che questa è una infame menzogna, ma continuo a restare in silenzio. Poi, mi alzo ed esco dalla sala a respirare una boccata d’aria. Una  “attivista, impegnata nei diritti umani”. Ma come è possibile che personaggi simili trovino credito tra i compagni?

L.

PS Nella precedente stesura di questo articolo ho erroneamente riportato  il nome di una organizzazione che avrebbe organizzato l’incontro con l’”attivista dei diritti umani” ucraina. Organizzazione che, giustamente, mi ha segnalato il refuso. Ho provveduto, quindi nel testo qui sopra a cancellare il refuso e mi scuso con i compagni dell’organizzazione da me erroneamente citata e con i lettori.

Francesco S

da https://ucrainaantifascistanapoli.files.wordpress.com

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