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Stato di diritto o stato d’eccezione?

Esprimere solidarietà a due mafiosi del calibro di Totò Riina e Leoluca Bagarella, come ha fatto Sabina Guzzanti, può forse essere eccessivo, benché fosse chiaro l’intento provocatorio: prima ci trattate, con i mafiosi, e poi, a vostro piacimento, ne sospendete le prerogative giuridiche! Molto probabilmente, la Guzzanti lo ha fatto  anche per attirare l’attenzione sul suo ultimo film, “La Trattiva“, che pare non stia andando molto bene. Ciò premesso – e tralasciando la Guzzanti, di cui qui non intendo parlare – è fuori discussione che, nel caso della deposizione di Napolitano dinanzi ai giudici di Palermo, per il processo sulla presunta trattativa stato-mafia, sia stato commesso un abuso di potere e siano stati violati i diritti elementari dei detenuti, incorrendo nel probabile rischio che l’intero procedimento venga annullato. Forse, è proprio quel che si vuole.

Senza però indulgere ad inutili dietrologie, mi limiterei ad osservare che o si è in uno stato di diritto, o si è in uno stato d’eccezione. D’altronde, come sosteneva, in “Teologia politica”, Carl Schmitt – teorico di quella Rivoluzione Conservatrice che rappresentò il brodo di coltura da cui nacque il nazismo – enucleando la tesi per cui la sovranità deriva dallo stato di eccezione e non dal popolo: “Sovrano è chi decide nello stato di eccezione”.

Ecco, l’Italia vive da tempo nello stato d’eccezione; e di sovrani che abbiano deciso e decidono extra legem ne ha avuti tanti. Basti ricordare le Leggi Speciali, in materia di terrorismo, varate durante i cosiddetti anni di piombo. Dispositivi ai limiti dell’incostituzionalità, come la Legge Reale (1975) e la Legge Cossiga (1980). Strumenti cui hanno pagato un prezzo abnorme decine di compagni, scontando anni ed anni di galera, magari solo perché sospettati di “partecipazione a banda armata”. Di questi tempi, in cui la repressione del dissenso sta raggiungendo limiti francamente intollerabili, è bene ricordare certe cose.

Anche perché, se Riina e Bagarella sono senza alcun dubbio criminali della peggior risma, i compagni appartenenti al Movimento NO TAV – Claudio Alberto, Mattia Zanotti, Chiara Zenobi e Niccolò Biasi – tanto per fare un esempio, di sicuro non lo sono affatto. Ma contro di loro, si è proceduto ugualmente, in deroga a qualunque senso di giustizia o almeno della realtà, per il reato di “terrorismo” solo perché accusati di aver danneggiato un compressore, nel cantiere di Chiomonte, il 14 maggio 2013. Surreale, grottesco, allucinante come un incubo kafkiano. La loro colpa sembra in realtà quella di non essere inclini ad accettare passivamente lo scempio delle nostre vite, consumate dal sistema capitalistico e dalle sue inique regole di mercato. Dunque, in conclusione, è sempre bene discernere tra uno stato di diritto ed uno stato in cui la legalità solo formale può degenerare in coprire qualsiasi sopruso autoritario. Fu appunto questo il presupposto delle dittature fasciste e del nazionalsocialismo.

Lascerei però la chiosa finale ad un certo Vittorio Alfieri, sul concetto di tirannide: «Tirannide: indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d’impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo».

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