Ad oltre 24 ore dalla scoperta che la famosa “lettera delle Br ai No Tav” è una bufala di dimensioni cosmiche, nessun giornale ne ha dato notizia. Singolare, vero? Eppure lo scoop era apparso ieri mattina sul sito diretto da Gad Lerner, ex direttore del Tg1 e conduttore de “L’infedele”. Insomma, non uno dei tanti “controinformatori” che vivono solo nelle pieghe della Rete, ma un professionista con i fiocchi, uno che fa le verifiche secondo i canoni accettati dall’Ordine dei giornalisti.
Il contrario di quel che fanno i giornalisti tutti i giorni, insomma, quando si parla di No Tav. E figuriamoci quando si parla di Brigate Rosse…
Facciamo un esempio. Una lettera al direttore al quotidiano La Nazione – di destra, ça va sans dire, ma non c’è differenza con quelli di “centrosinistra” – cui risponde oggi (quindi ieri sera, secondo i tempi della carta stampata) il direttore in persona.
Firenze, 24 settembre 2013- GENTILE DIRETTORE, ci mancavano solo i messaggi, dal carcere, di due irriducibili delle Br a sostegno della lotta dei No Tav… Non so più cosa pensare del nostro futuro: già l’Italia arranca, rispetto a un’Europa che punta all’innovazione senza se e senza ma, e noi permettiamo a due terroristi — ché di questo si tratta — di mandare sul web (dal carcere, per giunta!) incitamenti a chi già non si fa scrupolo di colpire i poliziotti? Gli sconfitti dalla Storia, in Italia, possono tenere lezione dalla cella.
P.L.
RISPONDE IL DIRETTORE GABRIELE CANE’
CARO lettore o lettrice, ho già avuto modo domenica scorsa di dire quello che penso di certe azioni No Tav e del sostegno e incoraggiamento arrivato ora dalle cisddette «nuove Br». Ma ribadisco volentieri il concetto perché anch’io credo che questi «signori» siano nemici del progresso e nemici di chi lavora. Certo, non voglio fare di ogni erba un fascio di tutti i No Tav, perché c’è tanta gente della valle che pensa legittimamente che la natura e l’ambiente in cui vivono possano essere violati. Ma tutti i violenti che come api sul miele arrivano in val Susa per aggredire i poliziotti, intimidire i lavoratori, o addirittura incendiare i macchinari delle ditte, beh, se non sono terroristi poco ci manca. Quel poco che non manca ai Br, che continuano nei mostruosi rituali dei loro maestri con i comunicati dal carcere. Purtroppo continuiamo anche noi come Stato a permettergli di diffonderli. Sapendo che non non sono libera espressione del pensiero, ma istigazione a delinquere. Cosa che dovrebbero sapere anche molti giornalisti e politici. Quelli che scavano dietro. Senza vedere le P38 che hanno davanti.
Lo scambio è quasi paradigmatico del livello di disinformazione indotta dai mezzi di informazione. Non si sa con chi prendersela, se con il lettore che usa come strumento di auto-informazione un fogliaccio come La Nazione, oppure se con “il professionista” che ammannisce un campionario di frasi fatte di 40 anni fa spacciandolo per “attualità” (condite con refusi da paura: “cisddette”). In fondo i due si corrispondono, hanno bisogno l’uno dell’altro per trovare conferma che i propri fantasmi sono “reali” o politicamente efficaci.
Nonostante questa miseria, c’è un dettaglio che avrebbe dovuto far balzare sulla sedia ogni cronista vero. “Noi permettiamo a due terroristi — ché di questo si tratta — di mandare sul web (dal carcere, per giunta!) incitamenti a chi…” ecc.
E’ noto all’universo mondo che in carcere le comunicazioni telefoniche non sono affatto libere. Le poche chiamate che si possono fare a casa (due al mese, al massimo) vengono scrupolosamente registrate dagli “agenti di custodia”. Nessuno detenuto, mai, men che meno uno in “massima sicurezza”, può accedere a Internet, diffondere mail o documenti. E nemmeno leggerli.
Eppure lo scoop di giornalettismo.com parte da una constatazione semplice: il testo del documento sotto cui appaiono le firme di Davanzo e Sisi risulta per buona parte – e comunque nelle frasi “incriminate” dalla stampa – copiato da un sito internet neanche troppo frequentato (è al 57.192° posto nelle classifiche italiane), quello di Operaicontro.
Montalbano si farebbe dunque l’ovvia domanda: “come minchia hanno fatto due detenuti a prendere dalla Rete – cui non possono accedere – pezzi di un articolo altrui, copi-incollarlo e poi farlo arrivare su un sito svizzero”?
La cosa più difficile di questa domanda, per antica esperienza della sinistra antagonista italica, non sta nel “far arrivare all’esterno” un pezzo di carta scritto da detenuti. Al limite, infatti, un prigioniero può tranquillamente spedirlo per posta ordinaria. L'”ufficio censura” del carcere se lo legge, lo fotocopia, ne trasmette copia all’autorità giudiziaria per la verifica di eventuali reati contenuti nel testo e lo inoltra all’indirizzo indicato. Se il magistrato ravviserà un reato procederà contro il/i detenuti ed eventualmente verso chi avesse nel frattempo pubblicato il documento. Chiaro? Ok.
La cosa impossibile è che il detenuto – in un carcere speciale, oltretutto – possa avere avuto accesso a Internet, con tutto quel che ne consegue.
Cosa ne consegue?
La prima ipotesi è radicale: che quei due prigionieri non abbiano scritto affatto quel documento. In questo caso ci avrebbe pensato qualcun altro, fuori dal carcere, attribuendoglielo. E bisognerebbe per di più vedere se “a loro insaputa” o con il loro assenso preventivo (difficile infatti ipotizzare scambi di lettere per arrivare a un “testo condiviso”, ecc). Sarebbe interessante sapere chi è stato, perché dall’inchiesta che portò Davanzo e Sisi in carcere – nel 2007 – risulta la presenza di un numero francamente sconcertante di “infiltrati” (agenti dei servizi) in un gruppo classificato come “semplicemente sovversivo e non terroristico” anche in sede di sentenza. Un gruppo che proprio per queste infilitrazioni non è riuscito, ovviamente, a compiere nessuna azione militare. Sarebbe insomma interessante scoprire se qualche infilitrato si muove all’esterno presentandosi come un “militante ancora in attività”, legittimandosi con la “frequentazione” bastarda avuta con chi invece è finito in galera.
La seconda è meno contorta, ma egualmente “debilitante” per gli allarmisti di professione: qualcuno potrebbe aver stampato il testo di Operaicontro, averlo inviato per posta ordinaria ai prigionieri (come si fa per le normali riviste o libri), i quali si sarebbero appassionati così tanto nella lettura da riprodurla quasi per intero a firma propria. Un gesto scortese quanto quello di Roberto Saviano (il plagio è un mezzuccio da scansafatcihe, prima ancora che un “reato”), ma che abbasserebbe di molto il “potere intellettuale” dei due prigionieri. Non ci vogliamo neppure pensare (ti prendi così tanti anni di galera per non aver fatto niente, solo qualche riunione, e poi ti rovini la reputazione scopiazzando dalle fotocopie? maddài….). Punto.
In attesa di saperne di più, l’ultima constatazione che resta fare è che i media mainstream, in questa vicenda, hanno mostrato di aver passato ogni segno, limite, codice deontologico. Veramente non si può dire chi è il peggiore, tra gli “infilitrati” e gli scribacchini.
* Dimenticavamo. Chi vuole può provare a fare altre ipotesi….
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